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Il terzo millennio e l'etica neo-liberale

di Antonio Avvantaggiato - 29/12/2013

Fonte: lintellettualedissidente


Il pensiero neo-liberista, dopo aver sbaragliato l’autenticità, l’austerità del cristianesimo e dopo aver affossato l’ideologia comunista, attraverso il suo carattere tipicamente predatorio si arroga il diritto di poter determinare quale siano i quesiti fondamentali con i quali l’umanità tenta di trovare i propri punti di riferimento esistenziali.

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Il 17 maggio 1973 Pier Paolo Pasolini pubblicava sulCorriere della Sera un articolo, dal titolo Analisi linguistica di uno slogan, in cui analizzava la sconfitta della religione e della Chiesa cattolica, causata dello strapotere del neocapitalismo che in quegli anni era riuscito a realizzare una vera e propria mutazione antropologica degli italiani (e più in generale degli abitanti dei Paesi del blocco capitalistico occidentale), in direzione dell’edonismo di massa e della smania di consumo, anticipatori dell’imminente depoliticizzazione delle masse. Uno slogan pubblicitario dei giorni nostri, ponendosi in linea di continuità, sembra addirittura radicalizzare questo fenomeno, presentando come un fatto compiuto e irreversibile la vittoria delle logiche neo-liberiste non soltanto sui fenomeni religiosi o su una determinata istituzione clericale, ma addirittura sulla possibilità di ogni uomo di indagare a fondo i misteri dell’esistenza.

Recita uno spot pubblicizzato da una banca: “Chissà se nello spazio siamo soli, oppure c’è qualcuno che non vediamo, alieni. Ma la vera domanda è: perché devo pagare quando prelevo col bancomat? Le grandi domande sono cambiate!”. Lo slogan rispecchia chiaramente quali siano i ruoli di forza nel contesto dell’egemonia culturale e politica in atto a livello mondiale. Il pensiero neo-liberista, dopo aver sbaragliato l’autenticità, l’austerità del cristianesimo e dopo aver affossato l’ideologia comunista, attraverso il suo carattere tipicamente predatorio si arroga il diritto di poter determinare quale siano i quesiti fondamentali con i quali l’umanità tenta di trovare i propri punti di riferimento esistenziali. Non c’è più spazio per gli ideali, per un tentativo di metafisica; qualsiasi concetto che non proponga un richiamo economicistico è messo al bando. E’ in questa maniera che la logica neo-liberista si giustifica come l’unica possibile, giungendo non soltanto al monopolio economico o politico, ma soprattutto a quello ideologico. Il fine pedagogico di un tale slogan è soltanto quello di ridurre, nel vero senso della parola, l’uomo a una e soltanto una dimensione, quella che rispecchia il suo lato di produttore e consumatore.

E’ evidente che se all’individuo o ad un’intera comunità viene tolta, esplicitamente o implicitamente, la possibilità di aspirare a qualcosa di diverso, a un cambiamento che metta in discussione l’attuale situazione esistente, difficilmente può nascere un pensiero critico in grado di mettere in moto processi alternativi capaci di realizzare un altro tipo di società, basata su un altro tipo di valori e al cui interno i popoli possano esistere in maniera differente. Ed è proprio il sistema vigente, quello oggi maggiormente capace di imporsi, che rifiuta categoricamente tutto ciò che possa rappresentare un’alternativa al sistema di valori già imposti; rifiuta i tentativi di esistere non soltanto dei suoi avversari storici, ma anche di ciò che possa scaturire dalla profondità, dalla diversità di ognuno, dalla sua capacità di relazionarsi con la realtà e di esprimere un giudizio. Viene così negato lo spazio per capire come giustificare la propria esistenza, l’ideologia neo-liberista offre già un modello vincente: un modello che si pone come l’unico possibile, come l’unica incarnazione della libertà, ma che, in quanto a violenza e antidemocraticità, non ha rivali.