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Attacco al Libano: una tragedia sotto gli occhi del mondo

di redazionale - 31/07/2006

 

Una tragedia di dimensioni spaventose con centinaia di vittime innocenti, soprattutto civili e soprattutto donne, vecchi  e bambini. Ogni giorno in Libano le bombe israeliane si comportano come i kamikaze palestinesi quando esplodono tra la folla. Ma se i secondi sono considerati a tutti gli effetti dei terroristi, le bombe con la stella di David hanno un che di neutro, di fatale, di predestinato, quasi di necessario.

E invece quello di Israele nel Libano, dove gli Hezbollah sono solo un parte minoritaria della popolazione, è vero e proprio terrorismo di Stato. Identico l’effetto delle bombe israeliane sui civili libanesi a quello cui mirano gli uomini bomba palestinesi quando colpiscono i civili israeliani. Identica anche la finalità ultima dei due gesti: terrorizzare per piegare, domare, isolare l’avversario.

Eppure, agli occhi del mondo, il kamikaze palestinese è un terrorista. La bomba israeliana che sfregia, strappa, macella e maciulla no: quello è un atto di guerra necessario, anzi di autodifesa.

Anche se le parole sanno distinguere, le bombe umane o no uccidono allo stesso modo.

Due pesi e due misure servono solo a perpetuare i massacri.

Se finalmente si dicesse la verità a qualcosa servirebbe.

Noi lo diciamo: tra il terrorismo dell’estremismo palestinese e quello dell’esercito israeliano non c’è alcuna differenza.

 

ATTACCO AL LIBANO (2):
COM’È REALMENTE COMINCIATA

Al di là di quello che dice la propaganda israeliana, che parla soltanto di diritto alla difesa, ad eccezione della stampa turca, nessuno ha raccontato, cronologicamente, come è cominciata l’ultima crisi che ha portato Israele ad aggredire il Libano.

Tutto comincia con il sequestro, da parte dell’esercito israeliano, di due civili palestinesi, un medico e suo fratello. Un arresto illegale o meglio un vero e proprio rapimento a cui i palestinesi rispondono con il sequestro di un soldato israeliano, proponendo subito uno scambio di prigionieri dal momento che, nelle galere di Tel Aviv e Gerusalemme, ci sono circa 10 mila prigionieri palestinesi.

Quindi nessuna azione terroristica, ma una ritorsione palestinese contro militari israeliani per il sequestro di due civili.

Da notare che questo rapimento di un militare israeliano è stato ritenuto da Israele più oltraggioso di un attentato contro dei civili. Mentre l’occupazione militare della Cisgiordania, questa sì illegale e vessatoria, è vista dall’Occidente come qualcosa di inevitabile.

Da qui, quindi, la sproporzionata e spropositata reazione delle truppe israeliane che hanno cominciato a martellare Gaza, massacrando numerosi civili. Su questa azione militare se ne è sovrapposta un’altra: militanti di Hezbollah libanesi hanno varcato il confine israeliano e hanno ucciso sette soldati israeliani, sequestrandone due. Un’azione militare? No, per Israele e per il mondo occidentale solo un atto terroristico.

Conclusione: se Israele ha il diritto di difendersi, i palestinesi e i loro sostenitori in territorio libanese non hanno questo diritto. Tutto quello che fanno gli avversari è terrorismo. Troppo facile.

 

ATTACCO AL LIBANO (3):
UN PIANO STUDIATO A TAVOLINO

Dire che Hezbollah è caduto in un tranello adesso è fin troppo facile. Di sicuro l’attacco al Libano era già stato preventivato da Israele e sicuramente ampiamente studiato e preparato a tavolino.

Quello che c’è da chiedersi è a che cosa miri questa azione militare cominciata con bombardamenti a tappeto che hanno già massacrato centinaia di civili e proseguito con un’azione da terra che sicuramente mira a distruggere le basi di Hezbollah nel sud del Libano.

Pensare che l’azione militare israeliana sia solo un deterrente momentaneo, che punti ad allontanare il più possibile le rampe di lancio missilistiche o dei semplici razzi kayiusha dal confine sud del Paese dei cedri è troppo semplicistico. Il progetto di Gerusalemme è molto più ampio e assomiglia molto al progetto (completamente fallito) del 1982 quando l’operazione Pace in Galilea mirava tatticamente ad allontanare la dirigenza palestinese dall’area (Arafat ed i suoi costretti ad imbarcarsi alla volta della Tunisia sotto protezione multinazionale) e strategicamente ad instaurare a Beirut un regime amico, nella fattispecie cristiano-maronita.

Oggi lo scenario è identico. Tatticamente si tratta di indebolire (sconfiggere è impossibile) Hezbollah. Strategicamente l’obiettivo rimane quello di un governo fantoccio a Beirut.

Obiettivo quest’ultimo impossibile da realizzare, pena una nuova guerra civile libanese che non vedrebbe però alcuna possibilità di azione moderatrice da parte della Siria che alla fine sarà la vera sconfitta di questa truculenta partita.

Ma con un effetto collaterale micidiale per Israele: la crescita politica e di supporto militare dell’Iran che resterebbe l’unica forza anti-israeliana presente nell’ara mediorientale. Esattamente lo scopo a cui mira Ahmadinejad, al momento il padrone di Teheran che in questo modo vedrebbe compattarsi attorno a sé non solo l’establishment religioso iraniano, ma anche la popolazione.

Ed ecco, in definitiva, lo scopo vero di Israele, cieco e folle allo stesso tempo: spingere gli Stati Uniti e la comunità occidentale ad attaccare l’Iran, un’impresa che, dopo il disastroso fallimento della guerra in Iraq, aprirebbe scenari che definire apocalittici è dire poco.

 

ATTACCO AL LIBANO (4):
OLMERT FA FINTA DI IGNORARE
I GUAI DEL 1982 

Anche gli israeliani, come gli americani, mostrano di conoscere bene la geografia ma molto poco la storia.

Il premier israeliano Olmert, in particolare, sembra non ricordare quale iattura fu per Israele aver spedito il macellaio Sharon in Libano in quel lontano 1982, quando il generale comandò la disastrosa operazione militare, coprendo anche delle ignobili stragi di donne e bambini, come quella avvenuta nei campi profughi di Sabra e Chatila, una delle più grandi vergogne di Israele.

Doveva durare 48 ore, come Sharon aveva promesso. Terminò dopo 18 anni. Nel 1982, infatti, con l’attacco al Libano, Israele infilò i suoi piedi nel pantano libanese, provocando la nascita, la crescita e oggi l’espansione capillare nel Paese dei cedri di Hezbollah che all’epoca non esisteva e che fu invece un prodotto di esportazione, favorito dall’Iran e garantito dalla Siria.

Fu poi il fondamentalismo religioso sciita di Hezbollah a dar vita, per imitazione, alla nascita di quello sannita di Hamas all’interno della Cisgiordania, certamente una complicazione sulla via di una possibile pacificazione, ma soprattutto un grave pericolo per l’esistenza stessa di Israele.

Ora l’errore viene ripetuto. A cosa può portare l’attacco alla Libano da parte israeliana se non a un compattarsi della popolazione musulmana libanese attorno ad Hezbollah? Cosa può produrre tutto questo in Cisgiordania se non la crescita della stella sanguinaria di Hamas?

Il dubbio, o meglio la certezza, allora, è che in realtà Israele non voglia la pace in medioriente che avrebbe come diretta conseguenza la creazione dello Stato palestinese, ma una perenne instabilità, fino alla resa dei conti definitiva con i palestinesi. Passando magari, e qui sta l’errore storico, sul cadavere dell’Iran.

Saremo pure facili profeti: ma dall’attacco israeliano al Libano deriveranno solo, ancora una volta, nuovi pesanti sofferenze per Israele, ma soprattutto per il suo già martoriato popolo che invece la pace la meriterebbe.

Il problema oggi è che a Gerusalemme e a Tel Aviv non comanda più la politica, ma i militari. Proprio come nel 1982.

 

ATTACCO AL LIBANO (5):
CHI FACILITA CHI?

di Manlio Dinucci

Dopo il colloquio «molto cordiale» col presidente Bush, Prodi ha dichiarato che nessuno può essere mediatore nella difficilissima situazione in Medio Oriente: l'espressione più seria per il ruolo che ha l'Italia è quella di «facilitatore». Si tratta però di sapere chi viene facilitato. Ecco una cronologia dei fatti.

 

Nell'aprile 2001 Israele firma al quartier generale della Nato a Bruxelles l'«accordo di sicurezza», impegnandosi a proteggere le «informazioni classificate» che riceverà nel quadro della cooperazione militare.

Nel luglio 2001 il Pentagono da il nullaosta per la fornitura a Israele dei primi 1000 kit Jdam, realizzati dalla Boeing in collaborazione con la joint-venture italo-inglese Alenia Marconi Systems: questo nuovo sistema di guida rende «intelligenti» le bombe aeree «stupide», permettendo agli F-16 israeliani di colpire simultaneamente più obiettivi a oltre 50 km di distanza.

Nel giugno 2003 il governo italiano stipula con quello israeliano un memorandum d'intesa per la cooperazione nel settore militare e della difesa, che prevede tra l'altro lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema di guerra elettronica.

Nel gennaio 2004 un aereo radar Awacs della Nato atterra per la prima volta a Tel Aviv e il personale israeliano viene addestrato all'uso delle sue tecnologie.

Nel dicembre 2004 viene data notizia che la Germania fornirà a Israele altri due sottomarini Dolphin, che si aggiungeranno ai tre (di cui due regalati) consegnati negli anni '90. Israele può così potenziare la sua flotta di sottomarini da attacco nucleare, tenuti costantemente in navigazione nel Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico.

Nel febbraio 2005 il segretario generale della Nato compie la prima visita ufficiale a Tel Aviv, dove incontra le massime autorità militari israeliane per «espandere la cooperazione militare» e in particolare per «combattere la proliferazione delle armi di distruzione di massa» (ignorando che Israele è l'unica potenza nucleare in Medio Oriente).

Nel marzo 2005 si svolge nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta Israele-Nato: il comando del gruppo navale della «Forza di risposta» è affidato alla marina italiana che vi partecipa con la fregata Bersagliere.

Nel maggio 2005, dopo essere stato ratificato al Senato e alla Camera, il memorandum d'intesa italo-israeliano diviene legge: viene così istituzionalizzata la cooperazione tra i ministeri della Difesa e le forze armate dei due paesi riguardo l'«importazione, esportazione e transito di materiali militari, l’organizzazione delle forze armate, la formazione/addestramento».

Nel maggio 2005 Israele viene ammesso quale membro dell'Assemblea parlamentare della Nato.

Nel giugno 2005 la marina israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Golfo di Taranto.

Nel luglio 2005 truppe israeliane partecipano per la prima volta a una esercitazione Nato «anti-terrorismo», che si svolge in Ucraina.

Nel giugno 2006 una nave da guerra israeliana partecipa a una esercitazione Nato nel Mar Nero allo scopo di «creare una migliore interoperabilità tra la marina israeliana e le forze navali Nato».

 

In tal modo l'Italia, nel quadro della Nato, ha facilitato militarmente e politicamente una sola parte: Israele.

Ha così contribuito a rendere più efficienti le forze aeree, navali e terrestri israeliane che stanno martellando il Libano e Gaza.

Se il governo italiano volesse realmente svolgere il ruolo di «facilitatore», dovrebbe - come richiede la mozione dell'Assemblea del 15 a Roma - «cominciare dalla revisione dell'accordo di cooperazione militare con Israele e dalla richiesta di un intervento di interposizione dell'Onu nei Tenitori occupati».

Fonte: il manifesto, 18 luglio 2006

 

ATTACCO AL LIBANO:
IL GIOCO DELLE PAROLE 

Nell’informazione quotidiana che ci vediamo propinata c’è in questi giorni un abuso di frasi fatte, parolette chiave e menzogne di cui è bene essere consapevoli.

Qualche esempio: se Hezbollah, senza attaccare i civili, compie un’azione militare in territorio israeliano, uccidendo sette soldati con la stella di David e sequestrandone due, siamo in presenza di un “atto terroristico”. Invece se il tanto democratico Stato di Israele attacca con gli F16 abitazioni civili libanesi, ammazzando in pochi giorni più di 400 persone, il suo è un “atto di difesa”, e non, come invece è, un’azione terroristica.

Ci sono poi i rimandi storici. Quando Israele avverte che per ogni razzo scagliato da Hezbollah ci saranno dieci attacchi missilistici sul Libano il pensiero torna a qualcun altro che attuava rappresaglie con la stessa proporzione: uno a dieci. Non riusciamo a ricordare chi fu. E voi?

Sta di fatto che quel metodo e quella proporzione non portò fortuna a chi lo applicava. Il timore è che, anche in questo, la storia si ripeta.