Il cane non conosce padrone. E #smettequandovuole, dice. Neppure il cane del berlusconismo lo è stato, conscio del padrone, figurarsi se può esserlo il bau bau di questa vicenda, la giornata di ieri: italiani attenti al semestre europeo – quelli di Enrico Letta – e tutti piritolli, invece, con Matteo Renzi. Tutti incollati al monitor per lo streaming sulla direzione del Pd.
Il cane non conosce altro che il cane. E #smettequandovuole, ripete. E’ la tautologia più feroce e più innocente al contempo. Dopotutto Renzi, a quarant’anni, sta facendo quello che gli altri fanno da quarant’anni: eliminare l’avversario e tenere in piedi il nemico. Ha tolto di mezzo il presidente del Consiglio, espressione del proprio partito, e salva vieppiù Silvio Berlusconi ma il cane, qualunque cane, va sempre per fatti propri. E guida in proprio.
Ernesto Carbone, il proprietario della Smart con cui Renzi è andato a Palazzo Chigi, giustamente ne ha ricavato uno scherzo: AAA car sharing offresi. Così ha twittato. L’immaginario italiano si popola di nuovi cosi e una piccola macchina tipica da Roma nord (in innesto quartiere Monti), perfetta per speditezza, comoda da parcheggiare, è servita a sottolineare l’urgenza del cavarcene presto dalla stanchezza dei tempi. E della noia.
La Smart, dunque: a significare lo stile smart. Dall’iPhone a La7, si arriva alle Smarties. Sono i famosi ciottoli di zucchero colorato, perfetti come madeleine dell’immaginario “anni 80” del tempo perso di tutta questa gens nova già padrona del cortile italiano. Sono cose svelte e fanno album.
La Smart, però: il lapsus rivelatore. Ed è come a voler dismettere la Zigulì dell’Apparato (laddove per Zigulì non s’intenda qui la caramella bensì la limousine della nomenclatura sovietica che, fuor di metafora, è la casta rossa tutta rottamata dal giovine Renzi).
La Smart, perciò. E’ la trasfigurazione postnovecentesca del Maggiolino, quel potente tondo disegnato a suo tempo da Ferdinand Anton Porsche e dato in uso del popolo. Ci fossero ancora Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e i Gufi canteremmo con loro “la Balilla” (e nessuno venga adesso a sfruculiare con le nostalgie, nulla è più chic del cabaret milanese…) ma Carbone, che è spiritoso assai, e chic, ha rilanciato su Twitter offrendomi – dal suo parco macchine – una smagliante Torpedo blu.
Il cane non conosce padrone, alimenta una tenera leggenda – #smettequandovuole – e ha una guida smart. E siccome i segni dei tempi sono rivelatori, tutto questo rinunciare agli “universali” per farne “cose” di puro “nome” descrive un’Italia de-ideologizzata, al di sotto del bene e del male, dove sono disarcionati i padri e tutto è ridotto in orda che non ha individualità bensì egocentrismo, egolatria ed egopatia di sradicati – quasi tutti provenienti da province neglette e rinnegate – attenti che non traspaia il sangue per essere sempre up to date, aggiornati rispetto all’ultima novità (fosse pure per fare a quarant’anni quello che si fa da quarant’anni).
Renzi che del cane prende la metafora considera casa non abitabile, e che non abiterà mai, il partito che pure va creando a propria immagine. Sembra l’incarnazione di #smettoquandovoglio, il film che ha già indovinato un mercato ed è pronto a diventare un fatto politico nel sottotesto: #smettoquandovoglio con la politica.
Ha la virulenza di un hashtag, Renzi. Passa pure per bello – lui che ha quel ceffo da sinusitico cronico, in assenza di morbo sacro – e tra poco sarà acclamato anche dai reduci dei lucchetti di Ponte Milvio, giusto oggi che è san Valentino.
Sarà un’Italia peggiore, quella del cane (che non conosce padrone). Vedere sbucare Ignazio Marino in bici, ieri, tutto caracollante di piritollame per arrivare in direzione – rappresentativo di uno stile e di un costume – è stato come avere una rivelazione: sono degni di bozzetto questi qui, incapaci di generare perfino una cronaca. E però si sono impossessati di tutto. Vogliono tutto e non smetterano mai. Si sono presi l’Italiuzza adolescenziale, contingentata nei tempi come in una mezz’ora di pilates. Più di quanto avesse potuto fare la famosa egemonia culturale della sinistra che – tutta rottamata – dall’Enciclopedia Einaudi è finita a fare interfaccia con qualche app del Formaggino mio, tutto si sono presi. Più di quanto avesse potuto sfasciare – in tema di sacralità delle istituzioni – il berlusconismo che, certamente, fu anche dadaismo, ma finito in mano ai Lavitola, o peggio…
Post scriptum
La paglia e il fieno. Enrico Letta e Matteo Renzi. Sono appaiati, i due. Se ne stanno ammonticchiati nell’aia della politica e pur ciuccio, per come sono, non mordo l’uno né mastico l’altro perché non c’è frumento che possa saziarmi.
Neppure il paradosso di Giovanni Buridano, tra Aristotele e Averroè, può macerarmi di dubbio. E se solo ci fosse la variante, la terzietà – quella dell’acqua di Dudù – non farei di quel secchio, di certo, la mia tazza di tè. Sono a-pota, per dirla con Giuseppe Prezzolini. Mi butto digiuno. E poi, a dirla tutta, nel libro di Fabio Nicolucci che trovate recensito a pagina tre sono indicato dai servizi segreti italiani come ispiratore di terroristi. Mi butto a terra. Dal ridere. E #smettoquandovoglio. Tra paglia e fieno.