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Sangue a Beirut: 75.05 dollari al barile

di Greg Palast - 01/08/2006

 

Il tentativo fallito di fermare lo spargimento di sangue in Medio Oriente, i profitti da record di Exxon e il gioco nucleare del gatto col topo dell’Iran hanno qualcosa in comune: il petrolio

Non saprei dire come sia cominciato – questa è una guerra che si è combattuta sin dai tempi in cui i Leviti si scontrarono con i Filistei – ma posso dire perché il caos attuale in Medio Oriente non è stato fermato. Si tratta del petrolio.

Non sono un’esperto di Palestina o di Libano, e preferisco non far finta di esserlo. Se volete sapere cosa sta succedendo, leggete Robert Fisk. Lui vive lì. Parla arabo. State lontani dagli espertoni il cui unico legame con il Medio Oriente è lo stand di felafel sotto casa.

Quindi, perché sto scrivendo adesso? La risposta è che, se è vero che non conosco l'arabo o l'ebraico, parlo fluentemente il linguaggio del petrolio.

Non c’è bisogno di una laurea in geologia per sapere che non c’è petrolio in Israele, in Palestina o in Libano. (Qualche settimana fa stavo prendendo in giro Afif Safieh, l’ambasciatore dell’Autorità Palestinese negli Stati Uniti, chiedendogli per quale motivo stesse combattendo per ottenere un pezzo dell’unico territorio in Medio Oriente senza petrolio. Beh, adesso c’è poco da scherzare.)

Cominciamo dai fatti sui quali tutti possiamo concordare: i folli guerrieri barbari stanno avendo la meglio. Pazzi che fino a un mese fa venivano screditati adesso sono al comando, tizi con pistole più grandi del cervello e con coscienze ancora più piccole.

Ecco una lista:

– L’indice di popolarità del Primo Ministro israeliano Ehud Olmert si era abbassato, nel mese di giugno, ad un livello ”da Bush” – al 35%. Oggi però, il consenso tra gli elettori israeliani è più che raddoppiato, arrivando al 78%, di pari passo con la sua sanguinaria pratica alla John Wayne di “eliminare gli insetti nocivi”. Non dimentichiamolo: Olmert non può nemmeno andare in bagno senza l’approvazione di George Bush. Bush potrebbe fermare Olmert domani stesso. Non lo farà.

– Hezbollah, un partito politico rifiutato in modo schiacciante dagli elettori libanesi, stanchi dal suo appoggio all’occupazione siriana, occupa soltanto 14 seggi su 128 nel parlamento del paese. Hezbollah avrebbe dovuto affrontare la richiesta di deposizione delle armi avanzata sia dalla maggioranza non sciita del Libano, sia dalle Nazioni Unite. Adesso, pochi libanesi cosiglierebbero di sottrarre loro i missili. Non dimentichiamolo: senza l’Iran, Hezbollah è semplicemente una gang di strada fondamentalista. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad potrebbe fermare i missili di Hezbollah domani stesso. Non lo farà.

– Hamas, pochi giorni prima di rapire e uccidere alcuni soldati israeliani, stava affrontando una sorta di lotta interna per mano della maggioranza dei palestinesi, pronti ad accettare l’esistenza di Israele, come proposto da un manifesto di pace redatto da influenti prigionieri palestinesi. Adesso la brigata missilistica di Hamas è di nuovo al potere. Non dimentichiamolo: Hamas sarebbe al verde se non fosse per il bottino e l’autorità dell’Arabia Saudita. Il re Abdullah potrebbe fermare Hamas domani stesso. Non lo farà.

Perché no? Perché coloro che abbiamo ironicamente chiamato i “leader” di Usa, Iran e Arabia Saudita non hanno richiamato all’ordine la loro progenie mascalzona non hanno tagliato loro i fondi e non li hanno tenuti a bada per un tempo necessario di sei mesi?

Forse perchè caos e morte in Medio Oriente sono decisamente redditizi per i sostenitori di questi figuri dotati di bombe e missili. L’America, l’Iran e l’Arabia Saudita hanno una cosa in comune: sono governate da regimi petroliferi. Più alto è il prezzo del greggio, più alti sono i profitti, e più felici sono i presidenti e i signorotti di queste repubbliche del petrolio.

Giovedì ci si aspetta che Exxon dichiari le entrate più straordinarie per il secondo trimestre rispetto a qualsiasi altra corporation dai tempi dei faraoni: 9.9 miliardi di dollari di puro profitto in soli tre mesi – grazie agli oleodotti in fiamme in Iraq, agli attacchi dei signori della guerra in Nigeria, alle conseguenze del sabotaggio del sistema petrolifero venezuelano sin dai tempi di uno sciopero nel 2002… la lista potrebbe continuare.

I profitti faraonici di Exxon riflettono semplicemente l’assioma secondo il quale compagnie e nazioni petrolifere non fanno profitti grazie alla scoperta di petrolio. Li fanno grazie alla scoperta di guai. La scoperta di nuovi giacimenti aumenta gli approvvigionamenti. Maggiori approvvigionamenti significano prezzi più bassi. La scoperta di guai – guerre, colpi di Stato, uragani, qualsiasi cosa possa disturbare gli approvvigionamenti – il prezzo del petrolio lo fa schizzare all’insù.

Eccone un paio di esempi tratti da un’agenzia Bloomberg della settimana scorsa:

“Il greggio è stato scambiato a più di 75 dollari al barile a New York mentre i combattimenti tra gli israeliani e gli Hezbollah appoggiati dall’Iran continuano da 14 giorni… il prezzo del petrolio è salito il mese scorso a causa del timore che gli approvvigionamenti dall’Iran, il quarto produttore al mondo, potrebbero essere compromessi dalla sua controversia con le Nazioni Unite a proposito dell’arricchimento dell’uranio… [E, come afferma un agente di borsa] ‘Nonostante tutto ritengo che 85 dollari entro l’estate sia un evento plausibile. Sono davvero sorpreso di non aver ancora assistito ad un uragano’”.

A Teheran, il presidente Ahmadinejad potrà disporre o meno di un piano per costruire una bomba atomica, ma, senza dubbio, sa che ogni mero accenno a questa possibilità alza il prezzo dell’unica cosa che possiede realmente, il petrolio. Ogni volta che abbaia, “Mahmoud il Pazzo” sa che sta spingendo in alto il greggio. Anche solo un premio “fai esplodere il Medio Oriente” di 10 dollari al barile consegna al suo regime quasi un quarto di miliardo di dollari a settimana (considerando anche il beneficio che ne trarrebbe il valore del gas naturale iraniano). Una ricompensa in fondo piuttosto generosa in cambio di un po’ di rumore.

Cosa ricava l’Arabia Saudita dai guai? Valutando anche solo un aumento di 10 dollari al barile a causa del caos mediorientale, ci sarebbero 658 milioni di dollari a settimana in più nelle mani di Abdullah. E a Houston potete sentire i registratori di cassa che tintinnano, mentre le esplosioni a Kirkuk, a Beirut e nel delta del Niger risuonano come i campanelli della slitta di Babbo Natale. A 75.05 dollari al barile, non lo chiamano greggio “dolce” per niente. Il petrolio è aumentato di più del 27% rispetto a un anno fa. La fondamentale differenza rispetto ad allora: la scia infuocata dei missili.

I profitti del secondo trimestre di Exxon possono polverizzare i record, ma il trimestre successivo potrebbe farli impallidire – dal momento che il ”premio Libano” e l’insurrezione in Iraq hanno gonfiato i prezzi a una media dell’11% negli ultimi tre mesi. Pertanto, i fornitori di armi non hanno poi così tanti incentivi per convincere i propri pupilli a deporre i loro giocattoli assassini. Il punto è che l'argomento è dannatamente redditizio.

Siamo abituati a pensare ai conflitti in Medio Oriente come ad esplosioni in forma moderna di antiche animosità tribali. Tuttavia, per svelare il reale motivo per il quale le fiamme non si estingueranno tanto presto, vale la solita regola: seguire i flussi di denaro.

Sto per caso dicendo che i signori del petrolio di Teheran, Riyad e Houston hanno organizzato un complotto per scatenare una guerra? Non posso immaginarlo. Ma penso – questo sì – che se Bush non avesse concesso a Olmert una settimana in più di bombardamenti, o se i potentati del Golfo Persico non avessero consentito ad Hamas e ad Hezbollah di proseguire con i propri mortali fuochi d’artificio, il prezzo del petrolio sarebbe crollato. Voi ed io sappiamo che se questa guerra avesse sottratto un solo boccone alla Exxon o alla Casa di Saud, sarebbe stato imposto un cessate il fuoco prima ancora di poter dire “andiamo a trivellare l’Artico”.

Alla fine, ci sarà comunque un cessate il fuoco. Ma gli azionisti di Exxon possono stare tranquilli. Il surriscaldamento globale ha reso gli oceani sufficientemente caldi da potersi aspettare un’infernale – quanto redditizia – stagione di uragani.


Greg Palast è autore dell'introduzione a Censura 2005 – Le 25 notizie più censurate ed è tra gli autori di Tutto quello che sai è falso – Manuale dei segreti e delle bugie. Palast è giornalista d'inchiesta nei settori della frode corporativa e del racketing. La rivista 'Tribune' l’ha definito “il reporter investigativo più importante dei nostri giorni”. È meglio noto negli Stati Uniti, suo paese d'origine, per la propria indagine su come in Florida centinaia di afroamericani non abbiano potuto votare in occasione delle elezioni del 2000.

 


Fonte: The Baltimore Chronicle
Traduzione a cura di Giusy Muzzopappa per Nuovi Mondi Media