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Il parlamento europeo conta poco più di nulla

di Eugenio Orso - 08/04/2014

Fonte: pauperclass


Resto fermo nella convinzione che un’efficace lotta contro il sistema di dominazione e sfruttamento europide, tassello importante della globalizzazione neoliberista, potrà avvenire solo se gruppi politici con un piede dentro il sistema si ribelleranno, rischiando l’osso del collo, e scardineranno il sistema dall’interno. Rivoluzioni “di popolo”, dalla Grecia alla Danimarca passando per l’Italia, in questo momento storico sono altamente improbabili. Tanto meno potranno bastare le elezioni, per un parlamento come quello europoide che ha una semplice funzione di controllo “di democraticità” sulla famigerata commissione – organo esecutivo di prima importanza che promuove le leggi – che deve esaminarne le proposte legislative, approvare il bilancio con il consiglio unionista e istituire, se del caso, le commissioni d’inchiesta. Essendo molto ottimisti, il parlamento in questione è al più “colegislatore”. Più realisticamente, un ausiliario della commissione in ambito legislativo. Questo parlamento monco di funzioni non può fare cose d’importanza vitale, come modificare i trattati-capestro e nominare la commissione, la cui “proposta” di nomina, nella persona del presidente che poi nomina i commissari, spetta al consiglio europeo ed è sottoposta alla (scontata) approvazione parlamentare. Fra l’altro, anche il presidente della bce – l’organo europide importante almeno quanto la commissione – è nominato dal consiglio europeo.

Il vero problema che abbiamo davanti non è “cambiare l’Europa” tenendo in vita il sopranazionale, perché il sistema è immodificabile e funziona a dovere così com’è. Essendo stato concepito dalla grande finanza che diventava egemone nel mondo e voleva imporre i suoi interessi privati. Attivato una prima volta il 1° novembre 1993 (entrata in vigore del trattato di Maastricht), ha conosciuto un grande sviluppo nei decenni successivi con bce, moneta unica e trattati per fottere i popoli europei e mettere sotto gli stati nazionali (soprattutto quelli con evidenti “debolezze” come l’Italia).

Il vero problema è semplicemente questo: scardinare le porte dell’eurolager, facendo collassare tutto l’impianto di potere unionista, per consentire ai popoli di uscirne e salvarsi.

Scritto quanto precede, è bene sottolineare una volta di più che non si arriverà mai alla liberazione dei popoli d’Europa:

(1)    Semplicemente grazie agli esiti elettorali per il rinnovo del parlamento di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, sempre che non siano assolutamente clamorosi.

(2)    Fidando su un’improvvisa rivoluzione “dal basso”, scatenata dagli effetti delle politiche di austerity, perché questa dovrebbe riguardare non un popolo isolato, ma una pluralità di popoli che dovrebbero agire in modo coordinato e organizzato, contro il mostro sopranazionale, sulla base di programmi politico-strategici coerenti.

La chiave del problema può essere la comparsa sulla scena di gruppi e personalità politiche antagoniste, ma (almeno) parzialmente interni ai sistemi politici liberal-democratici, che si oppongano con chiarezza, durezza e determinazione – non solo in campagna elettorale – al complessivo progetto europoide. Questo deve accadere non in un solo paese, per quanto importante possa essere (come, ad esempio, la Francia), ma in un buon numero di stati soggetti all’euro, o comunque inglobati nell’unione. Se l’affermazione del socialismo è stata possibile in un solo paese, la Russia sovietica isolata e assediata (prima che diventino socialcomuniste anche la Mongolia e poi la Cina), in questo passaggio storico non è possibile un’affermazione anti-europoide in un solo paese. Le tessere del mosaico devono cadere rapidamente una dopo l’altra, altrimenti il paese “ribelle” potrà essere isolato con un ferreo cordone sanitario, destabilizzato e punito severamente (com’è accaduto per l’Iraq, la Serbia, la Libia, la Siria).

Si dirà, a tal proposito, che in Francia c’è Marine Le Pen con il suo FN in costante ascesa, in Ungheria Viktor Orban e la Fidesz al momento imbattibili, in Inghilterra Nigel Farage con il suo UKIP sulla strada del successo elettorale. Eccetera, eccetera. Ma trovare un minimo comun denominatore politico fra questi gruppi, molto legati alle specificità e alle istanze delle nazioni di appartenenza, pare un’impresa difficile. Anche per una grande statista del calibro di Marine Le Pen – per quanto “figlia d’arte” inserita nel sistema liberaldemocratico dei mediocri. Nonostante la comune avversità all’euro e all’unionismo elitista, le vecchie differenze di ordine politico-ideologico fra questi gruppi sembrano riproporsi ancora. Ovviamente ci sono, previsti in crescita di consensi, anche i falsi oppositori, collusi con l’unionismo e favorevoli alla permanenza nell’euro, come le liste “di sinistra” che si richiamano al greco Tsipras. Una sorta di quinta colonna nell’”euroscetticismo”, che produce liste civetta per scongiurare il pericolo di una rottura dei patti unionisti. Poi c’è Grillo, in Italia, che in vista delle europee sfrutta sapientemente i temi dell’Europa unita, dei trattati e dell’euro, anche se questi non sono i suoi cavalli di battaglia originari. Il punto è che procedendo in ordine sparso, con l’orizzonte rigorosamente limitato alla dimensione nazionale, non si andrà da nessuna parte, perché il nemico è troppo potente e ancora ben saldo.

Grandi attese e grandi timori si diffondono, in vista dell’esito elettorale di maggio. Oltre al segnale dato da un buon incremento degli “euroscettici”, nei recenti appuntamenti elettorali in Francia e Ungheria, c’è però ben poco d’altro da segnalare. Costoro, pur con decine di deputati (poniamo sessanta o settanta, o anche di più) saranno isolati in un parlamento che manterrà una maggioranza assoluta euroserva. Se il parlamento europide conta quasi un cazzo – avendo al più la funzione di controllare e approvare quello che altri, non eletti dal popolo, hanno deciso – i parlamentari euroscettici conteranno meno di un cazzo. Questa è la triste realtà. Bisognerà attendere che le forze cui fanno riferimento dilaghino nei paesi d’origine, vincendo le elezioni politiche nazionali (le presidenziali francesi si terranno nel 2017), mettendo in minoranza gli euroservi, e che da lì parta la demolizione effettiva dell’impianto di sfruttamento europoide. Data la situazione socioeconomica e le urgenze che questa pone, si potrebbe dire, sconfortati, campa cavallo che l’erba cresce! Ma i tempi richiesti dalla storia, per produrre cambiamenti di rilievo, non rispettano le nostre attese e i nostri desideri. L’unica possibilità è una clamorosa quanto improbabile vittoria, nelle elezioni di maggio, dei vari Farage e Orban, e delle varie Le Pen. Clamorosa fino all’inverosimile, conquistando ben oltre la metà dei 751 seggi in palio. In quel caso, ma solo in quel caso, i suddetti potrebbero mettere i bastoni fra le ruote della commissione e tentare di sfiduciarla, anche se per questo è prevista una maggioranza qualificata quasi bulgara.

Che nessuno si faccia troppe illusioni, perché non mancano meno di due mesi al collasso dell’unione e dell’euro!