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Fenomeni come l’Uomo Grigio del Ben Macdhui si possono spiegare in termini solo razionali?

di Francesco Lamendola - 18/05/2014

Fonte: Arianna editrice


 


 

È capitato a molte persone di provare, in particolari circostante, una strana e inspiegabile sensazione: di non essere sole, dove avrebbero dovuti esserlo; di avvertire una misteriosa presenza estranea, sia all’interno di abitazioni e luoghi chiusi, sia in luoghi aperti, per esempio durante una escursione in montagna o nel fitto di una foresta.

Queste persone hanno avvertito la presenza di qualcuno, o di qualcosa, accanto a loro, dietro di loro; hanno, talvolta, sentito dei passi, o comunque dei rumori, alle proprie spalle, là dove niente indicava che vi fossero altre persone; hanno perfino visto, o intravisto, delle figure umane, o umanoidi, nel mezzo di un sentiero solitario o in una landa, in una brughiera invasa dalla nebbia o appena rischiarata dalla luce lunare.

Esistono anche dei luoghi, sia chiusi sia aperti, nei quali una tradizione talvolta antica, talvolta relativamente recente, parla di oscure presenze; di aliti spettrali, di fruscii o scricchiolii inspiegabili, ad esempio in antiche case abbandonate o su delle brulle e inabitate pendici montane; luoghi ove si sente aleggiare la presenza di qualche cosa di estraneo, di qualche entità che si manifesta, ma sempre in maniera indistinta, ora come benevola, ora, e forse più spesso, come ostile o, quanto meno, come oscuramente minacciosa.

Uno di questi luoghi “infestati”, e non in senso positivo, è il Monte Ben Macdhui, nelle Highlands scozzesi, precisamente nella catena dei Caingorm, alto 1.309 metri e che è, pertanto, la seconda vetta più elevata di tutta la Gran Bretagna, dopo il più famoso Ben Nevis. Da secoli – e non, come afferma l’autore di cui fra poco parleremo, da alcuni decenni - si racconta che quanti si avventurano lungi le sue pendici, avvertono una strana e spiacevole sensazione: quella di essere seguiti da una indefinibile presenza; e si dice che alcuni escursionisti hanno visto, o intravisto,  una creatura di fattezze umanoidi, ma assai più grande del normale, nella luce incerta del tramonto o fra le nebbie che avvolgono sovente la cima. In questo senso, il cosiddetto Uomo Grigio del Ben Macdhui - così è stato chiamato il misterioso e indesiderato abitatore di quelle remote solitudini alpestri – sarebbe un lontano parente del cosiddetto Spettro del Brocken, in Germania; o anche, forse, dell’elusivo Sasquatch delle Montagne Rocciose, una sorta di versione nordamericana dello Yeti, l’abominevole uomo delle nevi dell’Himalaya. In comune con queste creature, o con queste allucinazioni - a seconda dei punti di vista –, l’Uomo Grigio del Ben Macdhui avrebbe questa caratteristica: di provocare uno stato di inspiegabile malessere nell’animo di chi lo vede, o di chi ne percepisce, pur senza vederlo, la presenza; uno stato di tristezza, di scoramento, di  angoscia; uno stato d’animo nel quale i soggetti perdono tutto il loro coraggio, tutto il loro sangue freddo, tutta la loro forza morale, e si sentono particolarmente vulnerabili, esposti e impauriti - non si sa bene da cosa.

Peraltro, non sempre – vi abbiamo accennato – la sensazione di una presenza estranea si accompagna a sentimenti ed emozioni di segno negativo; talvolta, al contrario, si tratta di una sensazione estremamente confortante, che viene  in soccorso di persone in difficoltà, e vale a rianimarle e a guidarle verso la salvezza. Tale, ad esempio, è stata la sensazione provata dall’esploratore britannico Ernest Shackleton allorché, nel 1916, impegnato a cercare soccorsi per i suoi compagni rimasti intrappolati fra i ghiacci dell’Antartide, osò scalare da solo le montagne della Georgia Australe, impresa mai tentata prima da alcun essere umano, e riferì di aver avuto la costante impressione di una presenza benevola al suo fianco, durante quei giorni di fatiche sovrumane e di incessanti preoccupazioni; sensazione che, come avrebbe scoperto più tardi, allorché si decise  a parlarne, era stata condivisa dai suoi due compagni di viaggio (ne avevamo parlato in un articolo di alcuni anni fa, al quale rimandiamo il lettore desideroso di approfondire l’argomento: «Possiamo contare solo su noi stessi nel cammino verso l’oltre-uomo?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 11/09/2007).

Benevola o malevola questa inesprimibile presenza, sia come sia: la domanda che simili racconti ci pongono è fondamentalmente la stessa: si tratta di forme di autosuggestione, di allucinazioni, insomma di fenomeni tutti interni alla psiche delle persone che li hanno vissuti, oppure di fenomeni che potrebbero anche chiamare in causa dei fattori “esterni”, dei fattori immateriali e, al limite, dei fattori di ordine soprannaturale?

Vale la pena di riportare il ragionamento dello psicologo Graham Reed «L’esperienza abnorme» (titolo originale: «Anomalous Experience», Hutchinson & Co Ltd, 1972; traduzione dall’inglese di Alessandra Pallini, Roma, Tattilo Editrice, 1973, p. 76-78):

 

«Lo stesso meccanismo [quello, cioè, della “pareidolia”: percezioni erronee di uno stimolo esterno, come chi veda una figura zoomorfa in una formazione nuvolosa] è probabilmente coinvolto in quel fenomeno noto come la sensazione della presenza di terzi  che si riferisce all’impressione di non essere soli, per quanto nessun altro sia materialmente presente, né esistano segni  uditivi, visivi o di altri campi sensoriali che lo rivelino. Nelle sue forme più gravi, è classificato dagli psichiatri  tra le allucinazioni e si riscontra nella schizofrenia,  nell’isteria e in tutte le sindromi patologiche. Tuttavia si verifica di frequente anche tra persone normali e sane, qualora ne esistano le condizioni. Chi cammina da solo in una notte senza luna, per esempio, è facile che avverta la sensazione che qualcuno lo stia seguendo. Cerca di rassicurarsi convincendosi dell’estrema improbabilità dell’evento, oppure rimproverando se stesso per essersi lasciato trascinare dalla propria immaginazione, ma, tanto per essere sicuro,  esaminerà senz’altro i dintorni. L’esperienza è tra le più comuni in contesti strani soprattutto se dotati di connotazioni paurose o sinistre. Ne è prova l’evidente senso di sollievo di chi esce all’aria aperta dopo aver visitato le rovine di un castello abbandonato. Situazioni del genere incoraggiano l’autosuggestione e predispongono ad un certo stato d’animo, soprattutto se le persone in questione sono timide e dotate di una immaginazione molto fervida. Eventi naturali come una corrente d’aria o un’eco si prestano facilmente ad essere mal interpretati senza che la persona se ne accorga e al suo stato d’animo già incline all’allarme egli fornisce un contenuto adatto a convalidarlo. Il fatto che non si esperiscano illusioni ottiche contribuisce solo ad aggiungere un senso di disagio alla situazione già di per sé vaga. L’invisibilità della “presenza” suggerisce l’ipotesi che si tratti di un “qualcosa” anziché un “qualcuno”.

La stanchezza arreca spesso dei disturbi alle nostre capacità critiche e indebolisce i meccanismi di controllo dell’ego rendendoci perciò più vulnerabili nei confronti dell’autosuggestione, delle illusioni e delle allucinazioni. Ad essa e al senso di solitudine che si sprigiona dal contato con la Natura sono imputabili forse quelle esperienze di cui sono vittime, occasionalmente, escursionisti e montanari, gente che normalmente dispone di uno stato di salute fisica e mentale ottimo. Questi eventi danno adito a strane leggende a proposito della tale della tale foresta o del tale precipizio, le quali condizionano a loro volta lo stato d’animo degli ulteriori visitatori del luogo. Sono storie di fantasmi dal’aspetto talvolta umano talvolta animalesco, oppure forze ataviche, figure senza volto  o spropositate nelle dimensioni. Ne è un esempio tipo lo “spettro del gigante” che infesta il monte Ben Macdhui (4.296 piedi), il più alto della catena del Caingorn, in Scozia. Questa leggenda, di origine piuttosto recente,m risale alla fine degli anni ’20, quando una storia, raccontata da un vecchio scalatore e stimato scienziato, raggiunse le pagine dei giornali. Una volta che si trovava da solo sulla sommità del monte Macdhui, il professor N. J. Collie, F. R. S. [cioè Fellow of the Royal Society; nota nostra], ebbe la sensazione di udire dei passi nella neve come se qualcuno, o meglio “qualcosa”, lo stesse seguendo. La sensazione si fece così intensa che egli fu costretto ad abbandonare di corsa la cima. Da allora questa cosa misteriosa e invisibile ha perseguitato molti dei solitari frequentatori delle cime innevate  e uniformi del monte Macdhui, mentre camminavano tra i suoi picchi scoscesi e le sue fenditure desolate.

È interessante notare che, nello sviluppo dei bambini, esiste una fase durante la quale essi si mostrano riluttanti  a salire al piano di sopra per andare a letto,  a meno che non siano in grado di udire la voice dei genitori, il suono della radio o altri rumori dell’ambiente domestico  che faccia loro compagnia. Anche agli adulti che rimangono soli in casa capita del resto di tenersi su col morale fischiettando o cantando sottovoce qualche motivo musicale. Questo accompagnamento sonoro sembra che li rassicuri assolvendo contemporaneamente due funzioni: copre, in primo luogo, quei piccoli rumori che potrebbero essere mal interpretati, in secondo luogo, provvede uno sbocco familiare alle risorse attenzionali, che altrimenti si indirizzerebbero altrove. Il silenzio può o tranquillizzare oppure arrecare disturbo, a seconda della disposizione e del rado di vigilanza di ciascuno, e l’assenza totale di stimoli che destino interesse si presta speso al libero gioco di quelle interpretazioni che riflettono lo “stato d’animo” di quel momento. Provvedono uno sfondo privo di qualsiasi struttura che agisce da schermo alla proiezione del proprio disagio e che permette la presa di coscienza di paure fino ad allora indistinte.»

 

La povertà, la limitatezza, il minimalismo preconcetto e il riduzionismo ideologico di questo approccio emergono da ogni frase, da ogni riga, da ogni singola affermazione. Fra l’altro, l’Autore non si prende nemmeno il disturbo di fare una distinzione tra i fenomeni relativi a presenze minacciose e malevole, e quelli ove sembra coinvolta una presenza benevola e amorevole: eppure, si tratta chiaramente di cose fondamentalmente diverse, che andrebbero valutate in maniera differente e con criteri diversificati.

Graham Reed – che, infatti, piace e viene citato volentieri da quegli autori nostrani, come Massimo Polidoro del C.I.C.A.P., che, con scarsa onestà intellettuale, si presentano come “aperti” e liberi da pregiudizi sulle problematiche del paranormale, mentre, in pratica, hanno scelto come missione della loro vita quella di chiudere ogni possibile spiraglio ad una spiegazione non scientista di esse, sempre e comunque – parte dal presupposto che non valga nemmeno la pena di vedere, e tanto meno di discutere, una eventuale origine ”oggettiva” dei fenomeni misteriosi, come quello della percezione di una “presenza” estranea. Dà per scontato, da buon psicologo saldamente trincerato nella fortezza della “scienza” positiva, che ogni e qualsiasi fenomeno di quel tipo debba, per forza, aver luogo dentro la testa del soggetto che lo percepisce: non in senso filosofico – non, cioè, nel senso dell’”esse est percipi” di Berkeley -, ma nel senso piattamente conformistico dell’espressione: non avrai altro Dio che la scienza materialista e razionalista, dunque non ammetterai, mai e poi mai, la possibilità che esistano altri dèi, altre verità, all’infuori di essa.

Con una serie di pseudo-ragionamenti ellittici e tautologici, Graham Reed dice, sostanzialmente, che le persone suggestionabili sono portate alla suggestione e all’autosuggestione; e, pertanto – con logica impeccabile -, che quando si trovano in situazioni di stress, di fatica, di solitudine, sono inclini a lasciarsi suggestionare dai loro stessi fantasmi, scambiando errori della percezione in vere e proprie entità, in “presenze” inquietanti, insomma in qualcosa di concreto e oggettivo, benché vago e indefinibile, che le perseguita e le minaccia.

Aggiunge, questo campione della scienza che non dubita mai del proprio illimitato potere di spiegazione circa qualunque fenomeno, che tali disavventure capitano specialmente alle persone «timide e dotate di una immaginazione molto fervida». Sono timide, che volte farci, dunque hanno la tendenza a spaventarsi di tutto, perfino della loro ombra; e hanno una immaginazione molto fervida, pertanto sono inclini a scambiare continuamente lucciole per lanterne! Insomma, credenze come quella dell’Uomo Grigio del Ben Macdhui sono spiegabilissime come semplici illusioni e allucinazioni; così come predispone ad esse quel senso di vaga inquietudine che ci assale quando siamo soli in casa, magari in una uggiosa serata di pioggia, e allora ci teniamo su con il morale canticchiando o fischiettando qualche allegro motivetto, tanto per esorcizzare le nostre paure infantili. Il richiamo ai bambini che si mostrano riluttanti ad andare a letto salendo, da soli, al primo piano, dovrebbe essere la ciliegina sulla torta psicanalitica: è una cosa che appartiene alla psiche infantile, lo sanno tutti, e siccome in ogni adulto persiste qualche residuo dell’infanzia, oplà, il gioco è fatto: il fenomeno delle “presenze” misteriose è bello e spiegato, e non c’è altro da dire.

Ora, a questo tipo di sedicenti indagatori dei fenomeni misteriosi non passa neanche per l’anticamera del cervello che simili “spiegazioni” possano, certamente, andar bene per moltissimi fenomeni, ma non per tutti; che una cosa è la spiegazione teorica, e un’altra cosa l’aver “dimostrato” che tale spiegazione chiude definitivamente la questione; che una cosa, insomma, è la possibilità, altra cosa la realtà; e, inoltre, che esiste una ricchissima casistica che non si lascia liquidare con tanta disinvoltura, perché alla fine rimane una percentuale, piccola ma significativa, di fenomeni che rimandano a qualche cosa di oggettivo, di esterno alla psiche del soggetto, e, dunque, di non spiegato e di non spiegabile in termini di mera psicopatologia. Totalmente sprovvisto di bagaglio filosofico e di sensibilità per ciò che la scienza non sa spiegare – in altre parole, di autentico stupore davanti al mondo e di autentico senso del mistero, cosa che implica il senso del limite – Reed pensa di aver risposto esaurientemente a una domanda, qualora abbia elencato una serie di circostanze che sarebbero, teoricamente, sufficienti a soddisfarla, ma solo a patto che la realtà sia disposta a lasciarsi SPIEGARE nel senso desiderato dai riduzionisti. Il fatto che una visione si possa spiegare in termini di allucinazione, o di errore percettivo, insomma, non ci autorizza a concludere che TUTTE le visioni discendano da illusioni o da errori percettivi. Il fatto che tutti i soldati che ho visto sfilare indossino la divisa bianca non mi autorizza a concludere che TUTTI i soldati del mondo vestono l’uniforme bianca; e il fatto che tutti i lattai della mia città passino a fare le consegne prima delle otto del mattino non mi autorizza a inferire che esista una regola universale che stabilisca, sempre e ovunque, il rispetto di tale consuetudine.

Per rendere il suo argomentare un po’ più “scientifico” e persuasivo, il nostro autore lo infarcisce di espressioni tecnicistiche dal sapore pseudo-accademico, per esempio parla di “risorse attenzionali” alle quali si cerca di offrire uno sbocco, per distrarle dal fissarsi su particolari che potrebbero generare inquietudine o allarme. Evidentemente non bastava dire qualcosa come «quel potenziale di attenzione consapevole verso la realtà di cui tutti siamo dotati»; e forse non bastava per una buona, anzi ottima, ragione: perché sarebbe apparso in maniera più evidente il carattere tautologico dell’affermazione, cosa che egli voleva accuratamente nascondere. Perché, ridotta ai minimi termini, la sua affermazione suonerebbe press’a poco così: «ciascun soggetto, specialmente se timido e dotato di fervida immaginazione (sic), possiede un potenziale di attenzione non utilizzato, che però teme inconsciamente di utilizzare, perché, se lo facesse, finirebbe per vedere ombre e “presenze” dappertutto,e dunque tende a distrarlo, a soffocarlo, a indirizzarlo verso oggetti e situazioni familiari, in modo da difendere la propria pace e il proprio bisogno di sicurezza». Ma una tale affermazione spaccia per dimostrato proprio ciò che pretende di spiegare: il fatto che esistano “cose” capaci di inquietarci e procurarci un senso di disagio, anche se non sappiamo come e perché, anche se non esistono ragioni oggettive per ammetterne l’esistenza.

Le deduzioni che si possono trarre dal fatto che, al mondo, esistono migliaia di credenze come quella relativa all’Uomo Grigio del Ben Macdhui; che generazioni di esseri umani, non solo incolti, ma anche studiosi, vi abbiano prestato fede o, quanto meno, le abbiano prese molto sul serio; che alcuni di tali racconti siano accompagnati da fenomeni “oggettivi”, quali impronte sul terreno o testimonianze convergenti: tutto ciò non viene preso minimamente in considerazione. Eppure, per un vero amante della scienza, non sono interessanti i novantanove casi spiegati, o almeno probabili, di allucinazione, bensì quell’unico caso che non si lascia spiegare in tal modo: proprio quell’unico caso (ma sono migliaia, a livello planetario) che resiste alle spiegazioni razionali finora avanzate e non si sottomette al nostro desiderio di avere sempre ogni cosa sotto controllo. È dall’attenzione che si rivolge ai casi inspiegati e apparentemente inspiegabili che si riconosce la stoffa dell’autentico scienziato, e la si distingue da quella del propagandista di verità scientiste a buon mercato, fabbricate al solo scopo di eliminare il pungolo del dubbio. Persone come Graham Reed sono incapaci di dubitare, forse perché hanno troppa paura di ammettere la possibilità che non tutto si lasci spiegare nell’ambito di una scienza infallibile. La loro sicumera, il loro atteggiamento di sufficienza verso il mistero nascono da una insicurezza di fondo. Non vogliono essere scambiati con le persone timide o dotate di una immaginazione troppo fervida, loro: vogliono far vedere che sono uomini tutti d’un pezzo, positivi e razionali, che non si lasciano ingannare da niente e da nessuno…