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Quanti lecchini di Renzi

di Stenio Solinas - 01/06/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


È solo l’inizio, ma prepariamoci alla melassa. Ha vinto Calandrino, al secolo Matteo Renzi, e...


È solo l’inizio, ma prepariamoci alla melassa. Ha vinto Calandrino, al secolo Matteo Renzi, e il conformismo italiano va già di corsa. È così boyscout (come no), così simpatico (come no), così statista (come no).

Come indossa il chiodo lui, non lo indossa nessuno, come ha fatto fuori Enrico Letta lui, non l’ha fatto nessuno. È un genio, ha asfaltato Beppe Grillo, è un supergenio, ha rottamato l’ex Cavaliere nero. È moderno, usa Twitter, è ganzo (siamo tutti toscani), usa le slide, va in bicicletta (è trendy), va sempre di fretta (era ora), ha persino la pancetta (simpatica, mica è il grasso sfatto della destra)… È già nel Pantheon, con Quintino Sella e il conte di Cavour, ha riconciliato la sinistra con la sinistra (giù le mani da Berlinguer), è il figlio, intelligente, di Veltroni, il nipote, preferito di D’Alema, il fidanzato ideale del ministro Boschi… Così giovani, così carini, così occupati.

Nel Decamerone, Calandrino si era convinto di aver trovato, «giù per lo Mugnone», la pietra che rendendo invisibili lo avrebbe fatto ricco. Così, riempì di botte la moglie Tessa che si ostinava invece a vederlo… Noi italiani rischiamo di fare la fine della sua consorte, ma ci piace credere alle favole: adesso andremo a Bruxelles, batteremo i pugni sul tavolo, torneremo a prosperare. L’elitropia di Renzi-Caladrino è l’alchimia perfetta: 80 euro in busta paga, che la festa cominci…
La Confindustria lo ha già abbracciato. Gli industriali, si sa, corrono sempre in aiuto del vincitore, se poi sta a sinistra corrono ancora più in fretta. E un riflesso pavloviano: sono familisti, ma ci tengono ad apparire progressisti, si fingono liberisti, ma vogliono che lo Stato gli ripiani i debiti. Dalla Fiat a De Benedetti, è una lunga tradizione.
Poi ci sono gli intellettuali, scrittori e registi, giornalisti tutti. Essere andati alla Leopolda è un po’ come aver fatto la Marcia su Roma. Uno, dieci, cento, mille Baricco… Nei prossimi mesi vedremo la crescita esponenziale degli «antemarcia», non ci sarà un straccio di poeta, artista, polemista, che non dichiarerà di aver puntato su di lui sin da subito, che sin da subito non ne aveva colto le qualità salvifiche: un leader, una guida, un capo spirituale e in più «uno di noi». Non per nulla ha messo un romanziere (Dario Franceschini un romanziere? Certo, ha scritto dei romanzi…) alla Cultura.
È il nuovo che avanza, e nessuno vuole restare indietro. Lo abbiamo già visto, è già successo, eppure dà sempre un leggero senso di vertigine. Si dirà, guarda il fascismo: tutti col duce sino al 25 luglio, tutti fieramente contro il giorno dopo. Ma lì almeno c’era stato un ventennio vero, un partito unico, una dittatura, una guerra, una sconfitta. È dopo che l’aiuto al vincitore ha assunto toni surreali: tutti democristiani, poi tutti comunisti: in sonno i primi, perché non era elegante, sbandierati i secondi, perché era à la page… Non c’erano la prigionia o il confino per i dissidenti, c’era soltanto la voglia matta di stare comunque con chi garantiva una rendita di potere.

Ha vinto il riformismo, dice estasiato tutto un mondo che sino a ieri lo aveva relegato fra i ferri vecchi dell’odiata socialdemocrazia. Come si vede, il materialismo dialettico continua ad avere una sua forza e a produrre sintesi mirabili. Un riformista rivoluzionario, ecco pronto il nuovo kit di Renzi, re taumaturgo. Tra un po’ gli basterà l’imposizione delle mani per guarire un popolo di scrofolosi.

Siamo un Paese strano, ma ancora più strani sono i nostri opinion leader, cortigiani per indole e non per necessità. Gli piace stare con lo Zeitgeist, lo Spirito del Tempo, soffrono se non sono nel vento, si avviliscono… Prepariamoci a nuove biografie immaginifiche, trionfali passerelle televisive, rilucidature di vecchie speranze: il Blair italiano del terzo millennio, l’Obama che gli Stati Uniti non hanno saputo avere, il Mitterrand in salsa toscana (del resto quello d’oltralpe non era soprannominato Le florentin, «il fiorentino», per la sua abilità politica?).
Dategli tempo, tanto non ne occorrerà molto: è già pronta la fanfara, si stanno già accordando i tromboni, i maestri del coro sono già sul podio. Più che un Vincerò, è un Abbiamo vinto. Siamo noi che abbiamo creduto in lui, da sempre, naturalmente. Criticato prima? Un corpo estraneo alla sinistra? Un infiltrato della destra? Ma no, ma non siamo stati capiti, ma era tutto un equivoco. Matteo über alles, in tedesco, va da sé.