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Ma sì, lasciamoli sterminare! In fondo, sono solo dei satanisti...

di Franco Cardini - 18/08/2014

Fonte: Franco Cardini



Se il mondo fosse davvero retto sui valori sui quali giurano di fermamente credere i dirigenti manageriali e i politici democratici dell’Occidente, i valori di continuo ribaditi e garantiti dai media che essi gestiscono, le poche migliaia di yazidi seminomadi che da circa un millennio abitano alcune aree montane vicine a Mosul e ad Aleppo (in quella che storicamente è “la Grande Siria”) o sono disseminati tra Caucaso e altopiano iranico dormirebbero sonni tranquilli: sono gente mite, dedita alla pastorizia, all’allevamento e a forme primitive di agricoltura, e non hanno mai dato noia a nessuno.

Se quanto meno la società nella quale viviamo fosse un pochino più attenta a quei valori culturali di cui sono in tanti a riempirsi di continuo la bocca, gli yazidi sarebbero invece tormentati di continuo da etnologi, antropologi, studiosi di culti religiosi, e torme di cineteleoperatori della BBC, della “”National Geographic” e della CNN farebbero a gara per contenderseli: e quanto meno passerebbero loro un po’ di soldi. Si tratta difatti di un “fossile antropologico” prezioso.

Ma siccome né l’una né l’altra cosa corrispondono a nulla di vero, ci sono ottime probabilità che tutti si disinteressino di queste migliaia di sventurati che i sunniti radicali dell’Islamic State del “califfo” al-Baghdadi stanno cacciando dai loro antichi insediamenti siroirakeni. La comunità yazide conta, in tutto il mondo, forse un mezzo milione di individui riuniti in piccole, spesso microscopiche comunità: si organizzerà per loro una qualche istituzione burocratico-assistenziale in seno all’ONU o all’UNESCO, che soccorra i perseguitati, fornisca loro un minimo appoggio e magari li colleghi ai loro compatrioti/correligionari sparsi per il mondo? Oppure quel che oggi appare una curiosa notizia sulla quale spargere le solide due lacrimucce democratiche a buon mercato è destinata a scomparire entro qualche giorno, fagocitata ed obliterata da altre notizie mediaticamente più ghiotte? In fondo, si fa – e a ragione – un gran parlare in questi giorni dei “cristiani perseguitati”, ma le varie comunità dei fedeli di Gesù di Nazareth una qualche voce in capitolo in fondo ce l’hanno, e nella migliore della ipotesi possano sempre sperare in quella benedetta finestra che ogni domenica si apre su Piazza San Pietro, all’ora dell’Angelus, e dalla quale piovono benedizioni, parole di conforto e anche qualche dura, coraggiosa rampogna (e sia benedetto papa Francesco, anche per questo…).

“Adoratori del Demonio”, sono stati definiti da qualcuno gli yazidi. Certo, è un nome che può far paura o. peggio, provocare grandguignolesche immagini da cinema del terrore. In effetti, tra i molti epiteti con i quali essi vengono tradizionalmente indicati, ce n’è uno che in antico persiano (l’antenato dell’odierno farsì parlato nell’Iran) suona come Shaiôān Peresht, “veneratori di Satana”. Un analogo valore ha l’espressione turca Cyrāğ Sândëren, “quelli che spengono le lampade”, che rinvia all’accusa di riti magico-religiosi da celebrarsi a luci spente (accuse del genere furono mosse anche ai primi cristiani e, nel medioevo europeo, a molti gruppi ereticali). In effetti, per quanto essi si autoconsiderino musulmani e siano emersi come confraternita specifica all’interno dell’Islam, gli altri musulmani hanno l’aria di ritenerli piuttosto non tanto degli “eretici” (non essendo detentori di istituzioni e discipline “ecclesiali”, i musulmani hanno difficoltà ad accedere al concetto di “eresia”) quanto degli “apostati”, e come tali non soggetti alla norma secondo cui le genti dette ahl al-Kitab, “popoli del Libro”, che pur non essendo musulmane hanno conoscenza del vero Dio provenuta loro da una Sacra Scrittura, hanno diritto a mantenere sotto il predominio e la protezione dell’Islam il loro culto originario. Tali sono certamente gli ebrei e i cristiani, ma sono stati considerati tali anche i “mazdei”, cioè gli zoroastriani (che difatti sopravvivono ancora, tra Iran e India nordoccidentale), e gli stessi buddhisti.

Ma la parola che li designa, Yazīdiyyūn, è di origine araba e, come l’altra di analogo valore, Dawāsin, ha un originario valore geografico: essa indica gli abitanti di un’area montana ad est della città di Mossul, il Jabal Singiār, nella quale almeno dal XIII secolo risultano insediate alcune sparse comunità di origine e di lingua curda, vale a dire iranica, caratterizzate dal culto dell’unico Dio e di alcune entità angeliche a Lui subordinate, la più importante delle quali è Melek Tā'ūs, “l’Angelo Pavone”. La presenza dell’allusione al nobilissimo volatile, presenza simbolica fondamentale nella cultura persiana preiranica, e la forte connotazione quasi biteistica che emerge dal rapporto tra Dio e l’Angelo Pavone, ha fatto pensare a lontane ma non poi troppo vaghe origine mazdaiche. L’Angelo Pavone sarebbe stato interpretato poi come figura analoga al serpente tentatore del Genesi ebraico e cristiano, a sua volta identificato nello Shaitan della fede coranica, la quale in tale figura angelica scorge lo Shaitan, l’angelo ribelle a Dio “per troppo amore”, in quanto offeso dal vedersi posposto dopo la creazione all’uomo, che Allah ha prediletto.

Il sistematore dello yazidismo nella forma sincretistica nella quale lo conosciamo sarebbe stato un sufi vissuto tra XI e XII secolo, Shaykh Adi ibn Muzafir, presentato come discendente della grande famiglia califfale degli umayyadi che dalla loro capitale di Damasco dominarono un Islam ancora sostanzialmente unito tra VII e VIII secolo. Il termine “yazidi” si spiega anche, secondo alcuni, mediante il ricorso alla memoria di un califfo umayyade, Yazid, caro alla memoria sunnita e inviso invece a quella sciita.

Pur essendosi organizzati difatti in qualche modo all’interno dell’Islam sunnita, gli yazidi compartecipano di credenze diffuse semmai in alcune sette minoritarie sciite, come la metempsicosi: la loro complessa e non sempre chiara teologia ospita difatti – appunto sincretisticamente – anche elementi gnostici, ebraici e cristiani. Particolarmente pronunziata è la loro affinità con il cristianesimo nestoriano, a sua volta diffuso tra Irak, Iran e subcontinente indiano. Ad ogni modo condividono con i “fedeli di Abramo” i grandi princìpi generali dell’immortalità dell’anima e della retribuzione eterna per i giusti, mentre i peccatori appaiono soggetti al destino della metmpsicosi.

Parte essenziale del culto è il pellegrinaggio annuale al predetto santuario dello Shaikh ‛Adi; le “Scritture Sacre” sono due, il “Libro nero e il “Libro della Rivelazione”; alcune espressioni cultuali di tipo estatico sembrano rinviare a pratiche oggi osservate soprattutto nell’Islam sciita, l’influenza del quale nel mondo mesopotamico-persiano è stata, nei secoli, molto pronunziata. Al mondo sciita sembra appartenere anche la complessa gerarchia “religioso-sacrale” che distingue i fedeli “privilegiati” (i capi dei quali, gli shaikh, vantano discendenza califfale dagli umayyadi), tra cui esistono accoliti, inservienti, cantori e danzatori estatici, dai semplici murīdān, gli “aspiranti”. Una distinzione del genere, di tipo originariamente gnostico, vigeva nel medioevo occidentale all’interno del catarismo (sètta d’origine in effetti gnostico-manichea) tra “perfetti” e “credenti”. Tra XII e XIII secolo i catari quasi conquistarono l’Europa, e furono necessari una crociata sterminatrice e un lungo lavoro inquisitoriale per distruggerli. Che gli yazidi siano, in qualche modo, discendenti di qualche sètta imparentata con quella fede che nel Duecento affascinò tanti trovatori provenzali e alla quale appaiono per alcuni aspetti collegate le leggende del Graal? Un termine iranico, Īzed, equivale ad “angelo”: se potessimo avvicinarlo a quello che designa gli yazidi, esso sembrerebbe quasi indicare un’origine appunto iranica preislamica, di tipo gnostico-mazdaico-manicheo, a questo culto diffuso tra montanari curdi che lo avrebbero mantenuto preservandolo nonostante la conquista musulmana dell’altipiano persiano fra VII e VIII secolo.

I mongoli, che conquistarono la Persia a metà Duecento, protessero o comunque lasciarono a quel che pare in pace tanto i cristiani nestoriani (forti anche nella loro compagine tribale) quanto i curdi yazidi, che dovettero viceversa subire forti persecuzioni dalle varie ondate turche avvicendatesi nell’area tra XI e XVI secolo, rigorosamente sunnite (anche il grande Tamerlano se la prese con loro, come con tutte le varie sette sciite che si trovò sul suo cammino tra Uzbekistan e Siria); qualche noia essi dovettero sopportare anche dall’amministrazione ottomana, che aveva nell’area mesopotamica i suoi vilayat (“governatorati”) di frontiera e che favoriva semmai i curdi musulmani sunniti. Furono però le tormentate vicende della confinazione siro-irakena, maldestramente avviate nell’immediato primo dopoguerra dall’ignoranza geoetnica e dalla prepotenza politica di un brutale e maldestro funzionario inglese di nome Winston Churchill, a determinare nuove difficoltà: la scia di esse, insieme con la fine del regime baath di Saddam Hussein che tra i suoi mille difetti non annoverava l’intolleranza religiosa, ha condotto al recentissimo nuovo episodio di violenza della quale la pacifica comunità yazide è vittima nel generale clima del nuovo fanatismo islamo-sunnita. Auspichiamo che almeno papa Francesco si ricordi, nel prossimo Angelus, di questi miti fedeli dell’Angelo Pavone, collega dell’Arcangelo Gabriele venerato messaggero della Vergine Maria.