L’Italia in recessione e il complotto anti-Renzi
di Filippo Bovo - 18/08/2014
Fonte: Stato e Potenza
Che l’Italia fosse in odor di recessione lo si sapeva già da tempo, visti i numeri registrati dalla sua economia: -2,4% nel 2012, -1,6% nel 2013 e -0,3% nei primi sei mesi del 2014. Nei primi tre mesi la crescita è stata negativa per lo 0,1% e la seconda flessione negativa dei tre mesi successivi, pari allo 0,2%, a giudizio dell’ISTAT riporta il nostro paese in recessione da un punto di vista tecnico e quindi anche ufficiale. Sempre secondo l’ISTAT, il ribasso accusato dal PIL nel secondo trimestre andrebbe ascritto all’indebolimento della domanda oltre confine. Il contributo al PIL dato dalla domanda interna sarebbe praticamente nullo, mentre quello della domanda esterna risulterebbe addirittura negativo. Per un’economia come quella italiana, caratterizzata dalle PMI a seconda dei casi fortemente dipendenti dal mercato interno così come dalle esportazioni, questa combinazione di fattori risulta praticamente micidiale. La notizia ha portato la Borsa di Milano a bruciare 12,81 miliardi di euro, chiudendo con un secco -2,62%.
Il Ministro dell’Economia Padoan e quello del Lavoro Poletti si sono immediatamente affrettati a garantire che, stando l’attuale e rigoroso controllo dei conti, non ci sarà comunque bisogno d’alcuna manovra aggiuntiva. Devono, in un modo o nell’altro, correre ai ripari: sul governo incombe la spada di Damocle di una crisi economica per la quale non si riescono ad intravedere vie d’uscita. Mesi di proclami rischiano di scontrarsi con la dura realtà dei fatti rappresentata da un’Italia per la quale non bastano certo poche e sapientemente propagandate riforme cosmetiche o qualche palliativo ben sbandierato per invertire la rotta. Il tessuto industriale è necrotizzato, l’agricoltura è in ginocchio e i servizi sono sottoposti da anni ad una feroce dieta dimagrante. Come si può pensare, in queste condizioni, di rimettere il paese in carreggiata?
Non a caso Renzi, rendendosi conto che tanti problemi dell’economia nazionale derivano proprio dai vari lacci e lacciuoli imposti dall’Unione Europea, e che spaziano dal controllo dei conti alle politiche agricole, ha cercato d’ottenere da Bruxelles qualche concessione che tuttavia i maggiorenti della “eurocrazia” hanno immediatamente rispedito al mittente. A questo punto viene da chiedersi cosa potrà fare il premier, ritrovandosi con le mani legate: tirerà a campare alla maniera dei vecchi democristiani? La buon’anima di Moro diceva: “qua ogni giorno che passa è un giorno guadagnato”. Si può tuttavia supporre, già solo per il carattere che lo contraddistingue, che Renzi difficilmente si rassegnerà a vivacchiare senza inventarsi qualcosa di nuovo. Magari qualche altra trovata sulla falsariga degli 80 euro, che come abbiamo già capito non sono serviti a rivitalizzare la domanda interna e quindi men che meno il PIL. Basterà per continuare a galleggiare, in attesa e nella speranza d’agganciare una ripresa che potrebbe anche non arrivare?
C’è un vasto partito trasversale, che ha la sua punta di diamante nella vecchia guardia del PD e nei suoi alleati mediatici ed imprenditoriali momentaneamente “addomesticati” e costretti al silenzio dallo sfolgorante successo raccolto da Renzi alle Europee, che non attende altro che un passo falso del premier per linciarlo e sbranarlo. L’economia che perde colpi potrebbe essere l’occasione ideale per dare addosso ad un Renzi che gli orfani de “L’Unità” e compagnia bella tollerano sempre più a fatica. Di ragioni per pugnalarlo ne hanno più d’una: basti pensare che, partito esageratamente filoamericano, una volta al governo Renzi ha corretto il tiro avvicinandosi a paesi non proprio ben visti in quel di Washington come Russia, Cina e Kazakistan. Confermando il suo zelo, il premier non ha trascurato neppure il Vietnam, l’Angola o l’Eritrea, paese quest’ultimo dove ha sguinzagliato il viceministro degli Esteri Pistelli per “un nuovo inizio”. E che dire della Mogherini? Anch’essa inizialmente fin troppo scrupolosa nel suo atlantismo, ha finito col tempo per scivolare verso una linea giudicata da Washington e da Bruxelles come troppo colloquiale e paziente con la Russia.
Insomma, Renzi sta compiendo lo stesso percorso già a suo tempo intrapreso da Berlusconi: quanto basta per cercare qualche buon motivo per farlo fuori. Prima o poi capiterà. Basti sapere che qualcuno sta già affilando i coltelli.