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Mogherini agli Esteri UE? Il vero vincitore è Putin

di Claudio Moffa - 01/09/2014

Fonte: l'indro



Mogherini ce l’ha fatta, e grazie alla tela diplomatica di Renzi la politica estera va a lei, e la presidenza a Donald Tusk, il premier polacco alla testa di uno dei paesi confinanti con la Russia, come tale a rischio di attrazione da parte dell’oltranzismo occidentale pro-Poroshenko. Ma anche e soprattutto Putin ce l’ha fatta: nonostante la campagna di stampa contro Mosca, nonostante le accuse di aver sostenuto i ribelli delle regioni russe dell’Ucraina orientale, e nonostante la richiesta di Kiev di aiuti militari, il Consiglio europeo ha infatti minacciato solo nuove sanzioni, e lo stesso premier italiano è intervenuto per smorzare i toni bellicosi di chi chiedeva un ‘ultimatum’ contro la Russia.

Tutto bene, dunque. La vittoria di Putin è in particolare notevole, anche per le modalità con cui è stata conseguita: un’alternanza continua tra azioni e proposte umanitarie, e contro-minacce alzo zero in risposta alle velleità interventiste emerse nell’UE. Prima infatti il presidente russo ha fatto entrare aiuti vari nelle regioni ribelli dell’Ucraina orientale; poi i ribelli, così aiutati, hanno circondato alcuni reparti di Kiev, e di fronte al rischio di un bagno di sangue Putin ha chiesto loro di aprire un corridoio umanitario. E’ a questo punto, di fronte a tale pericolo, che il presidente russo ha dato il via libera all’intervento militare? E’ vera questa notizia? Sì o no, Mosca è andata avanti: con le accuse alle truppe di Poroshenko di comportarsi come i nazisti durante la II guerra mondiale; con l’avvertimento all’Europa sul rischio blocco gas dopo quello delle importazioni alimentari che stanno causando gravi danni anche al nostro paese; poi ancora – è un punto su cui riflettere – con l’annuncio dello stesso Putin del rilancio del progetto nucleare russo a fini non solo di pace e di sviluppo, ma anche di potenziamento militare della Russia.

A Bruxelles, anche così si afferma la saggezza italiana e tedesca. E Mosca allora torna al dialogo: ricorda che ci sono almeno tre paesi europei contrari a una politica antirussa – Ungheria, Cipro,
Slovacchia; saluta la nuova UE di “una socialista italiana” e di “un conservatore polacco” come fattore di equilibrio nelle relazioni tra Russia e Europa; usa parole morbide persino su Poroshenko – “una persona franca con cui si può discutere” – il tutto per lanciare la sua proposta strategica come via d’uscita definitiva dalla crisi scatenata dal golpe di Kiev ordito, come noto, da George Soros: non mere e inefficaci ‘soluzioni tecniche’ – dice Putin - ma una soluzione strategica, un nuovo Stato nell’est dell’Ucraina.

Proposta sicuramente pesante: un’idea sbagliata? Un trucco che nasconde trame espansioniste di Mosca? Posto che è semmai la NATO che sta attuando una politica di assedio alla Russia, la proposta si Putin è una richiesta sensata, corretta, legittima. Sensata perché visto il punto cui sono arrivate le cose è l’unica via per evitare il pericolo di un allargamento e  aggravamento del conflitto a proposito del quale il papa ha evocato il rischio di una III guerra mondiale. Corretta, perché riflette la geografia di popolamento dell’attuale Ucraina, le cui regioni dell’est sono demograficamente russe: fu Kruscev a ridisegnare i confini tra Russia e Ucraina – probabilmente per controbilanciare certe spinte  centrifughe nei confronti di un governo centrale, identificato con le stragi criminali di ucraini degli anni Trenta  - ma quell’operazione avveniva nel contesto di uno stato unitario, l’URSS

Infine, la richiesta si Mosca è sostanzialmente legittima, pur nella cesura di fatto esistente tra il vecchio diritto di autodecisione dell’epoca della decolonizzazione e della guerra fredda  (i confini non si cambiano unilateralmente, e l’integrità degli Stati è priorità assoluta: art. 2 della Carta dell’ONU, Patto di Helsinky, liberazione delle colonie senza mettere in discussione i confini stabiliti spesso a tavolino dalle potenze coloniali; 1514/1960 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Carta  dell’OUA, Carta di Algeri …) e il ‘nuovo’ diritto di autodecisione post-bipolare, che venne applicato durante la crisi jugoslava del 1991 - per la prima volta dalla fine della guerra - a parti e regioni degli Stati membri dell’ONU. Questo diritto di autodecisione nuovo, dentro un processo generale di lesione continua delle sovranità statali da parte dell’oltranzismo occidentale oggettivamente rafforzatosi dopo la scomparsa dell’URSS (no-flyzone in Irak 1991, disgregazione della Jugoslavia, sostegno alla ribellione armata dei bengasini …), è stato applicato con disinvoltura estrema da Uniti e Europa, vedi il caso del Kosovo: e dunque o non vale per il Kosovo, o vale adesso per le regioni russe inglobate nello Stato ucraino.

Il tutto con una analogia e con notevoli differenze a favore di Mosca tra i due specifici scacchieri: l’analogia sta nel fatto che in entrambe i casi, le popolazioni secessioniste confinavano e confinano con dei preesistenti Stati  etnicamente omogenei (non è così per esempio nel rischioso caso curdo).

Le differenze – entrambe a vantaggio della legittimità della proposta di Mosca – sono da un lato che nelle regioni ucraine russe non si sono verificate persecuzioni e furti di terre e abitazioni di altre comunità, come nel Kosovo ai danni dei Serbi, e dall’altro lato, che mentre la secessione kosovara violava l’integrità e la sovranità di uno Stato unitario esistente – al di là delle forme politico-ideologiche – fin dalla fine della I guerra mondiale, la secessione dei russi dell’ Ucraina orientale va contro uno Stato esistente da soli 23 anni, e con alle spalle una convivenza di fatto dentro una struttura statuale unitaria che dura non dal 1917 – la nascita dello stato sovietico – ma da lunghi secoli, l’Impero zarista.

La strada indicata da Putin dunque è  ben negoziabile:  il successo europeo di Renzi e il lavoro della Mogherini potrebbero favorire la soluzione strategica per uscire dalla guerra d’Ucraina, una minaccia per la pace mondiale. Ma è ovvio che questa è solo una speranza: tra l’altro i falchi occidentali non se ne staranno fermi – si è già fatto sentire il predecessore di Tusk, Van Rompuy - e continueranno a tramare per favorire quella strategia del caos che, nei loro piani, e non solo nello scacchiere europeo, deve servire a gettare il pianeta nelle fauci di un nuovo conflitto epocale.