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Hobbes, Nietzsche e la rivoluzione fallita di Barry Lyndon

di Giancarlo Chiariglione - 15/09/2014

Fonte: Arianna editrice


In accordo con le teorie di studiosi come Rudolf Arnheim, il quale sostiene che il pensare esige immagini e le immagini contengono del pensiero[1], da sempre critici e appassionati sottolineano come il cinema, inteso come spazio oltrenarrativo, come “immaginazione al lavoro”, come un’arte capace di mostrare un immediato “stadio estetico della materia”, possa costituire sia un oggetto della ricerca filosofica che un suo necessario correlato. E per suffragare le loro riflessioni, dal novero di autori e di opere che potrebbero entrare in un approfondimento del rapporto cinema/filosofia, costoro tirano puntualmente fuori il nome di Stanley Kubrick. Nato il 26 luglio 1928 nel Bronx e morto nel 1999 nella sua casa di Harpenden, vicino a Londra, radicato nella cultura del Vecchio Continente (i nonni paterni erano ebrei della Mitteleuropa), l’artista americano, lettore vorace, interessato a ogni argomento, ha indagato la realtà del mondo, dell’essere e della sua psiche assorbendo, rielaborando ed esprimendo temi e domande nella tradizione dei filosofi della “crisi della ragione”[2]. Con la forza straordinaria delle immagini, dei significanti e dei significati non verbali, di icone e simboli che rinviano continuamente ad altro, Kubrick ha sviluppato un ritratto dell’uomo in cui bìos e thanatos, desiderio[3] e conflitto costituiscono delle condizioni ineliminabili della sua corporeità, della sua natura. A partire dagli scontri fra pugili della prima avventura cinematografica[4], passando per le guerre di Paura e desiderio (Fear and Desire,1953),  Spartacus (1960), Orizzonti di gloria (Paths of Glory, 1957), Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, 1964), Barry Lyndon (1975), attraversando la violenza estrema delle relazioni personali, familiari, sessuali e sociali di Lolita (1962), Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971), The Shining (The Shining, 1980), Full Metal Jacket (1987), sino a giungere a Eyes Wide Shut (1999) in cui il vero potere si mostra alla “gente comune” nella sua enigmatica brutalità, l’hobbesiana guerra senza quartiere di tutti contro tutti (Bellum omnium contra omnes), rimane un autentico cardine intorno al quale il regista sviluppa tutta la sua poetica.

Tanto che si potrebbe affermare che se in opere come Shining e 2001: Odissea nello Spazio (2001: A Space Odyssey, 1968), Kubrick ha deciso di mostrare come l’essere e il tempo non siano altro che oscuri labirinti della mente[5], e quindi come il familiare possa facilmente mutarsi nello unheimlich, nell’inquietante che non da riferimenti e dentro le cui tenebre ci si può perdere per sempre, proprio attraverso il succitato Barry Lyndon, il regista statunitense ha deciso di esporre in modo esemplare la sua “rassicurante” visione deterministica della realtà in cui l’insopprimibile spinta evolutiva, l’egoistico desiderio di sopravvivenza, portano singoli e gruppi a stabilire il loro predominio sul prossimo, assumendo posizioni di potere. La storia dell’ascesa e del declino della fortuna dell’irlandese di umili origini Redmond Barry, ripresa dal romanzo di William Makepeace Thackeray, The Memoirs of Barry Lyndon (1844)[6], la cui ironia ben si sposa con la controllata e intelligente scrittura filmica kubrickiana, si dipana emblematicamente tra il 1756 e il 1789, cioè durante il sorgere di quella nuova stagione rivoluzionaria che darà la guerra d’indipendenza americana (1776-83; le date del “risorgimento” USA sono ostinatamente presenti nelle pellicole del cineasta del Bronx [Lolita, Shining]) e la rivoluzione francese: due insurrezioni storiche in cui si materializza una sfida radicale tra due visioni sociali contrapposte, l’una in rivolta contro l’altra.

 Kubrick presenta, infatti, il protagonista come un popolano libero dal giogo della religione, da ogni preconcetto morale o ideologico, nonché dai vincoli della ragione; un freigeist (“spirito libero”) nietzscheano[7] che prova a farsi largo in una società europea (l’universo del film è ambientato tra la Germania prussiana e la Gran Bretagna) rigidamente divisa in caste; palesemente basata su quella ricchezza che abili e cinici aristocratici hanno sottratto a contadini e borghesi inetti. Gli sfortunati duelli individuali (quello con il ricco capitano inglese John Quinn che, alla fine, gli sottrae l’amata cugina Nora o quello con due ladri da strada che, durante la sua fuga verso Dublino, lo derubano di tutti i suoi averi), così come le brutali esperienze nelle fila dell’esercito inglese e di quello prussiano impegnati nella guerra dei Sette anni (1756-63), ossia in un conflitto di cui il regista statunitense evidenzia, come di consueto, il carattere truculento e predatorio mostrando migliaia di uomini morire al solo fine di stabilire la supremazia di una dinastia e di una religione[8], convincono l’irruente irlandese che se, in generale, la vita è una dura partita a scacchi ove il minimo errore può portare alla rovina[9], per popolani intraprendenti come lui, solo il denaro, la divinità nascente della nuova era borghese[10], è in grado di offrire inedite, insperate prospettive di promozione sociale.

La vera ascesa di Redmond, infatti, inizia quando viene inviato dai comandi prussiani a raccogliere informazioni sul cavaliere di Balibari, un abile giocatore d’azzardo irlandese sospettato di essere una spia degli austriaci, il quale, dopo averlo preso in simpatia, decide di portarselo appresso ai tavoli da gioco di mezza Europa[11] per mostrargli quanto questa attività edonistica sia ormai diventata espressione di tutte le manifestazioni della vita associata del periodo (a iniziare dai salotti più esclusivi in cui il nostro apprenderà le belle maniere)[12]. Il vecchio “professionista” e il giovane aiutante, che ripropongono a un livello più sofisticato e spettacolare la coppia di briganti che derubò proprio il protagonista in fuga dal villaggio natio, sfidano sul loro terreno nobili debosciati (Balibari li inganna al gioco e l’abile spadaccino Redmond li batte in duello), corrotti dalle frivolezze borghesi, incapaci di compattarsi per evitare l’intrusione nei propri ranghi di parvenus agguerriti, scaltri e individualisti. Una nobiltà ben simbolizzata dall’anziano lord Charles Lyndon a cui Redmond strappa la moglie provocandone le ire che lo condurranno prematuramente alla tomba, ma anche dal rassegnato re Giorgio III alle prese con sommosse interne anti-cattoliche[13] e, soprattutto, con una rivoluzione nel Nuovo Mondo ideata dalla massoneria[14] e attuata da personaggi come l’ambizioso irlandese.

L’intera seconda parte del film, infatti, mostra l’inconciliabile contrasto tra l’orgoglio e la volontà d’indipendenza di due popolani (Redmond e sua madre) e i costumi di casa Lyndon. Come aveva fatto all’inizio della sua parabola, il novello Figaro[15] utilizzerà ogni arma a sua disposizione per ottenere il titolo dei Lyndon e completare così la sua scalata sociale (con atteggiamenti al contempo impudenti e servili Barry sovvenzionerà opere, corromperà nobili e si offrirà persino di aiutare la corona a stroncare la rivoluzione americana[16]), ma il suo carattere si rivelerà troppo anarcoide per adattarsi ad un universo che, seppur fatto di apparenze, è stato edificato su regole ferree. Personificazione di quegli istinti occultati dalla società, indi nemico giurato di qualsiasi ipocrisia moralistica (alla Rousseau)[17], Barry non solo tradirà ripetutamente lady Lyndon sotto i suoi occhi (solo la nascita dell’esuberante Bryan riavvicinerà i coniugi), ma a furia di brutali punizioni si inimicherà anche il già scostante figliastro Bullingdon, vero erede del sangue dei Lyndon[18].

 Sarà, anzi, una selvaggia, incauta aggressione a quest’ultimo che lo aveva abilmente provocato a sancire il suo declino: screditato e isolato dalla comunità aristocratica che si stringe attorno alla vittima, Barry viene infatti assediato da tutti i suoi creditori, i quali provocano il collasso finanziario dei Lyndon. Proprio nel momento in cui la rivoluzione massonico-borghese [19] deflagra anche in Europa travolgendo il sistema di potere clerico-aristocratico. In tal senso Redmond Barry, che alla fine non riesce a mutarsi in Barry Lyndon[20], può essere in parte considerato l’antesignano di quei nuovi gruppi dominanti la cui forza si fonda sui capitali e su uno spregiudicato spirito d’impresa; autentiche “oligarchie del denaro” che a partire dall’età napoleonica[21], puntando sulle mire imperialistiche, le agitazioni sociali e, soprattutto, i bilanci traballanti delle nazioni, instaureranno una sorta di colossale gioco senza frontiere che cambierà per sempre il volto del nostro mondo.

Ma l’irlandese è, appunto, per dirla con il filosofo britannico John Locke, un homo economicus[22] a metà, un borghese/affarista incompleto, dato che la sua tipologia umana risulta abbastanza in contrasto con la civiltà del «profitto a ogni costo», dei baconiani idoli del mercato”, della macchina, dell’omologazione (e della manipolazione) contemporanea. Con quel «progresso» che appare soprattutto come un’idea moderna, cioè un’idea falsa. Prova ne è che il suo ideale epigono, lo “spirito libero” Alex De Large, rispetto, ad esempio al medico Bill Harford protagonista del succitato Eyes Wide Shut, tipico uomo-massa dominato dal desiderio di conquiste materiali e di una grandezza temporale che conducono nella direzione di una disgregazione elementare piuttosto che verso quell’onnipotenza luciferina cui tende un esponente della nuova “razza padrona” come lo psicopatico milionario Victor Ziegler[23], sfugge a qualsiasi tentativo di strumentalizzazione e di integrazione sociale[24] e, come il comandante David Bowman di 2001, lancia un ponte a quell’Übermensch (il “superuomo” o oltreuomo”) teorizzato ancora dal filosofo di Röcken e raffigurato proprio dallo Star Child della celebre Odissea kubrickiana[25], il quale, manifestandosi come un essere che esprime prima di tutto la sua essenza più autentica («diventa chi sei per essere felice» afferma Nietzsche), è capace di dare un senso all’universalità del mondo, ma anche alla relatività della sua verità[26], rappresentando un ulteriore stadio dello sviluppo etico e culturale della nostra specie.

 

 

note

[1] R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi, 1974, p. 299.

[2] Le perturbazioni che hanno scosso il Novecento, periodo della storia occidentale assimilabile alla fine del mondo greco-romano o alla rivoluzione francese, si materializzano filosoficamente in un conflitto tra una tendenza “conservativa” che chiede una rielaborazione dei fondamenti del sapere in continuità con la tradizione della ragione e un movimento che invece punta l’indice contro la cosiddetta “civiltà della ragione”. Edmund Husserl, ad esempio, era convinto che la crisi del Vecchio Continente fosse radicata in un razionalismo erroneo e avesse solo due sbocchi «il tramonto dell’Europa nell’estraneazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia», E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie 1954), trad. it. di E. Filippini, il Saggiatore, Milano 1961, p. 358.

[3] Il desiderio è da intendersi come sforzo per attestare la propria esistenza, come una forza di tipo fisico; quasi un flusso energetico che permea l’intero cosmo dando un senso a ogni cosa.

[4] Nel 1951 il regista del Bronx, che stava lavorando come fotografo per la rivista Look, dirige il film-documentario Il giorno del combattimento (Day of the Fight) che descrive una giornata del peso medio Walter Cartier, dal risveglio mattutino alla vittoria nel combattimento serale. Realizzata con 3900 dollari, l’opera fu infine rivenduta alla RKO per poco meno.

[5] Il dedalo innevato di siepi che si trova all'esterno dell’Overlook Hotel su cui Jack Torrance si sofferma e dentro il quale trova la morte, rispecchia il labirinto temporale e interiore in cui è intrappolato il medesimo protagonista. La sua figura congelata, identica all’immobilità temporale che fa di lui da sempre il custode dell’inquietante albergo, ci dice che per il cineasta del Bronx, probabilmente esiste un centro immobile del Tempo coincidente con il suo eterno ritornare. Un’eternità che colloca il film 2001: Odissea nello Spazio al centro geometrico del pensiero kubrickiano (nel noto monolito critici e studiosi vedono Dio, la Coscienza, le Tavole della Legge, il Primo Mattone dell’Universo, un essere extra-terrestre ecc), dato che a partire da quest’opera inizia un percorso nel quale ciascun film si collega a ogni altro attraverso una serie ricchissima di rimandi, temi, citazioni intertestuali, obiettivi, crescita sapienziale.

[6] Le memorie di Barry Lyndon è un romanzo picaresco pubblicato “a puntate” nel 1844 sulla rivista inglese Fraser's Magazine con il titolo The Luck of Barry Lyndon: A Romance of the Last Century by Fitz-Boodle e incentrato sulle avventure di un membro della piccola nobiltà di campagna irlandese, il quale cerca in ogni modo di farsi cooptare nell’aristocrazia inglese. Thackeray, basatosi sulla vita dissoluta e criminale dell’ufficiale irlandese Andrew Robinson Stoney (1747 – 1810), lo ripubblicò nel 1856 (vi fu anche un’edizione pirata del 1852) con il titolo The memoirs of Barry Lyndon, esquire of the kingdom of Ireland, dividendolo in 19 capitoli anziché 20 (gli originari capitoli 1-2 vennero accorpati).

[7] l’aggressività, l’esuberante vitalismo di Redmond, sostanzialmente assimilabili a quelli del drugo Alex De Large di Arancia meccanica (per entrambi non esiste alcuna legge al di là dei propri desideri, delle proprie idee), ci ricorda che Friedrich Nietzsche oppone all’uomo, inteso come “spirito libero” che «penetra le carni della vita», i valori “antivitali” della società borghese contemporanea. Nell’Anticristo (Der Antichrist, 1888), ultima sua opera, ad esempio, il filosofo di Röcken riconosce il cristianesimo come una tecnica di controllo e annientamento della vita, dato che attraverso la strumentalizzazione della paura della morte, esso impone la repressione degli istinti, costringendo al senso di colpa, all’angoscia e alla sofferenza in nome di una falsa promessa (il paradiso).

[8] Come aveva già fatto in Paths of Glory e come farà nel futuro Full Metal Jacket, Kubrick presenta la guerra come uno scontro tra “branchi” in cui la violenza, le mutilazione, i saccheggi e gli stupri sono l’atroce corollario della feroce lotta per il Potere in cui sono impegnate nazioni o, come in questo caso, le aristocrazie europee cattoliche e protestanti di antico regime. Invano le eleganti marce di Mozart (dall’Idomeneo, 1781), quelle festose del repertorio militare, gli sgargianti colori delle raffinate uniformi dei soldati e il procedere di questi ultimi in geometriche schiere durante gli assalti, cercano di mascherare una realtà fatta di morte e sofferenza (si accenna perfino alla barbara pratica del rapimento di giovani, forzatamente arruolati negli eserciti che anticipa il destino di Barry allorché, scoperto nel suo tentativo di diserzione dal capitano Potzdorf, viene a sua volta cooptato di forza nel temibile esercito prussiano). In futuro il protagonista amerà raccontare all’amato figlio Bryan una versione eroica, indi totalmente inventata, di queste sue esperienze militari; in tale manipolazione per bambini il regista allude alle falsificazioni di tante vicende militari contenute nei testi retorici e pseudostorici, il cui scopo è semplicemente quello di propagandare un’ideologia e i suoi eroi-martiri (il candido Bryan, va da sé, incarna la disponibilità ingenua della gente comune nei confronti della Cultura ufficiale, in toto asservita al Potere).

[9] Le vicende del protagonista, che si snodano tra gli sfortunati duelli con Quinn e con il figliastro Bullingdon, entrambi accompagnati dalla Sarabanda di Haendel, sono punteggiate dal caso e da imperdonabili cedimenti emozionali: a causa del primo Redmond si ritrova nel gorgo infernale della guerra (è la rapina subita dai due briganti a spingere il nostro ad arruolarsi nell’esercito inglese) ma anche al di fuori di esso (per pura fortuna l’irlandese riesce a giocare le inflessibili autorità prussiane e a fuggire verso il cavaliere di Balibari), mentre sulla sua fatale decisione di risparmiare Lord Bullingdon (quest’ultimo lo ferirà gravemente alla gamba e poi gli offrirà un vitalizio a patto che abbandoni per sempre l’Inghilterra), influiscono la morte del prediletto Bryan, nonché il fatto che in quel giovane furioso Barry rivede se stesso nel duello con il capitano inglese.

[10] Il ‘700 è il «luogo» dove si forma il mondo moderno. Esso è infatti il secolo dei Lumi, delle fabbriche, dei rapporti di produzione, della nascita dell’industria culturale (con i giornali e i primi romanzi a grande tiratura), dell’Inghilterra che realizza la propria egemonia coloniale sulle altre nazioni europee (con la Pace di Parigi del 1763 ottiene dalla Francia le sue basi in India e in Africa, il Canada e tutti i territori da lei occupati ad Est del Mississippi, compresa parte della Louisiana, mentre dalla Spagna la Florida) e, soprattutto, è il secolo in cui nasce la moneta a corso legale (emessa dalla privata Bank of England), la quale diventerà ben presto lo strumento e il simbolo più diffuso del capitalismo.

[11] Attraverso il cavaliere di Balibari, la più importante figura paterna che accompagna Barry nel corso delle sue avventure (il capitano Grogan e il capitano Potzdorf sono gli altri due personaggi che, in qualche modo, sostituiscono il padre del giovane morto in un duello), Kubrick sembra alludere all’importante ruolo svolto in Europa dai sofisticati sistemi di spionaggio, tra i quali, quello austriaco raggiunse proprio in quei decenni un livello di eccellenza “sovietico”, («degno di Stalin»), Roberto Gervaso, Indro Montanelli, La storia d’Italia. Vol. 6: L’Italia del Settecento - 1700-1789, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2010, p. 64.

[12] In un secolo in cui il denaro si pone sempre più al centro della vita delle persone, banchi di gioco d’azzardo siti in appositi stabilimenti (ma anche in splendidi palazzi ceduti in affitto da aristocratici squattrinati) e le onnipresenti lotterie (spesso utilizzate da re e ministri per coprire spese straordinarie o buchi di bilancio) sono presi letteralmente d’assalto da philosophes e moralisti, libertini e legislatori, borghesi in ascesa e nobili decadenti (l’aristocrazia europea, che solo un secolo prima si era distinta per una tendenza all’omogeneità dei comportamenti, vede nel Settecento affiancarsi alla sua anima più antica e illustre una nuova nobiltà legata all’esercizio delle funzioni amministrative, imprenditoriali e mercantili portatrice di una raffinata rilassatezza dei costumi). Dalla Francia all’Inghilterra, da Venezia (dove nel 1638 venne allestita la prima casa da gioco pubblica in un palazzo appartenente alla nobile famiglia dei Dandolo di San Moisè) a Napoli, passando per Roma, dove dopo un periodo di “proibizionismo”, il 12 dicembre 1731 papa Clemente XII, con un motu proprio, decreta che il Lotto sia introdotto una volta per tutte nella città e in tutto lo Stato Pontificio (Claudio Rendina, I peccati del Vaticano. Superbia, avarizia, lussuria, pedofilia: gli scandali e i segreti della Chiesa cattolica, Roma, Newton Compton, 2010, pp. 101-104), i confini tra gioco, affari, sociabilità ed eros si rarefanno, fino a scomparire. 

[13] Durante la seconda metà del ‘700 le classi alte inglesi furono travolte da un singolare filo-giudaismo, nonché dall’idea di essere investite dell’alto destino messianico di prendere il potere temporale sul mondo, i quali favorirono un feroce odio anti-cattolico che il 2 giugno 1780 esplose a Londra provocando violenze di massa con centinaia di vittime. L’evento, passato nella storia inglese come «Gordon Riots» dal nome del suo istigatore Lord George Gordon (1751-1793), fu originato dalla Catholic Relief Act, una legge che attenuava le discriminazioni ed esclusioni a danno dei sudditi cattolici imposte dal Popery Act del 1698, le quali prevedevano il divieto di acquistare terreni, la privazione del diritto di ereditare e il «perpetual imprisonment», l’ergastolo, per chi «laico o clerico papista», osasse aprire una scuola. Per uno studio del fenomeno si legga Ian Haywood & John Seed, The Gordon Riots: Politics, Culture and Insurrection in Late Eighteenth-Century Britain, Cambridge University Press, 2012.

[14] Meglio di altri, lo storico francese Bernard Faÿ ha sottolineato come in America la massoneria non solo appoggiò tramite i suoi esponenti più importanti (si pensi a Benjamin Franklin “il giornalista più in vista del Nuovo Mondo”, George Washington, John Hancock o James Otis, Jr.), qualsiasi forma di resistenza nei confronti della soffocante egemonia inglese, ma compì anche un lavoro pacato, profondo e prudente per preparare le tredici piccole colonie così dissimili per governo, genere d’amministrazione, religione, costumi, abitudini sociali e razze a quell’unità «senza la quale non poteva esserci la libertà americana, senza la quale non sarebbero esistiti gli Stati Uniti d’America», B. Faÿ, La Massoneria e la rivoluzione intellettuale del secolo XVIII, Traduzione dal francese di Giuseppe Perotti, Einaudi, Torino, 1939, p. 92.

[15] Durante la nota sequenza del tavolo da gioco in cui un nobile perde e sottoscrive il suo debito, la colonna sonora è costituita dall’aria amorosa “Saper bramate” del Barbiere di Siviglia (1782) di Giovanni Paisiello. In relazione a quanto abbiamo appena detto, la scelta di Kubrick non pare casuale, dato che tale opera è una riduzione della nota commedia satirica Le Barbier de Seville (1775) del drammaturgo Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (uno scrittore giramondo che attraverso il marchese de La Fayette trafficava in armi e finanziava la contemporanea rivoluzione americana), la quale propone in Figaro non tanto un servo astuto che cerca di avere la meglio sul padrone di cui è un servitore, ma un personaggio dinamico e intraprendente; una personalità «in aperta ribellione contro soprusi che ritiene inammissibili», Lidia Bramani, Mozart massone e rivoluzionario, Mondadori Bruno, Milano, 2005, p. 85.

[16] Consapevole che pur avendo sposato una ricca nobildonna, non ha nulla intestato a sé, Barry si impegna a fondo per ottenere l’agognato titolo nobiliare. Dopo aver tanto brigato, il nostro riesce infine a partecipare a un ricevimento in cui è presente re Giorgio III e a comunicare a quest’ultimo di aver armato a sue spese una compagnia e di averla inviata nelle Americhe a combattere contro i ribelli. Questo gesto che contiene elementi ridicoli (un ex popolano arma dei mercenari per combattere una rivoluzione promossa da gente come lui), mostra sino a che punto si è indebolita la classe dominante, tanto che in un impeto d’orgoglio, il disgustato sovrano invita il nostro ad armare un altro battaglione e a partire con esso.

[17] Barry, che come detto non è un libertino che limita la propria azione a un futile piacere di eversione ma un autentico agente del caos, una forza dionisiaca, sembra ricordarci che anche pensieri come quello di Rousseau, il quale prefigura con largo anticipo una visione di “democrazia pluralista” nei termini che saranno descritti brillantemente da Joseph Schumpeter nella seconda metà del XX secolo (la nota competizione tra élites che si contendono il consenso popolare), hanno contribuito all’edificazione di quel mondo fittizio, di quel castello di vetro tramite cui il Potere afferma il proprio dominio sulla vita.

[18] Nella pellicola sono numerose le vicende che testimoniano come Lord Bullingdon abbia sempre visto nel patrigno un uomo contraddittorio, rozzo e opportunista. Sostanzialmente un insopportabile “intruso”.

[19] Oltre che nelle Americhe, anche nell’Europa attraversata da crisi politiche, economiche, finanziarie (nella Francia ancora rurale come quasi tutti gli Stati europei del tempo, i capricci di Luigi XIV, i denari utilizzati per costruire e migliorare le numerose residenze regali nonché le incaute manovre del ministro Calonne, Controllore generale delle finanze sotto Luigi XVI, contribuirono ad aggravare in modo allarmante il debito pubblico transalpino che nel 1783 sfiorò il picco insostenibile di 1.640 milioni di “livres”), nonché da fermenti rivoluzionari, le molte correnti massoniche (si pensi alla massoneria scozzese o rossa, volta ad utilizzare la sua struttura a fini politici o cospirativi, la massoneria della Stretta Osservanza impegnata a riprendere tradizione e scopi dell’Ordine Templare distrutto agli inizi del sec. 14°, oppure a nuovi sistemi muratorî quali i Clerici Templari di J. Stark, la Massoneria Eclettica di Francoforte e soprattutto i potenti Illuminati di Baviera), giocarono un ruolo di primissimo piano nel determinare gli eventi di quei decenni. Kubrick ce lo ricorda con il manifesto del film, il quale mostra un personaggio armato di pistola che, col piede, schiacciando il gambo di una rosa, origina una figura a croce. Pistola e rosa-croce sono i due elementi dell’ascesa sociale della borghesia, ovvero violenza rivoluzionaria e diffusione degli ideali di fratellanza, uguaglianza e libertà fondamentali già negli enigmatici manifesti dei Rosacroce (la Fama Fraternitatis Rosae Crucis del 1614 che raccontava la vita di Christian Rosenkreuz [Cristiano Rosa Croce], probabile fondatore del noto ordine e la Confessio Fraternitatis del 1615), tentativo seicentesco di creare una confraternita segreta che verrà compiutamente realizzata solo con la massoneria del secolo successivo.

[20] Alla stregua di quasi tutti i magnifici finali kubrickiani, l’ultima immagine di Barry Lyndon mostra una muta e desolata stanza dell’ex sontuosa dimora dei protagonisti dove una dolente lady Lyndon firma il vitalizio per l’avventuriero irlandese mentre risuonano ancora le note del “incantevole” Trio schubertiano, sorta di emanazione nostalgica della donna nei confronti di colui che l’ha sedotta e rovinata: nel mondo che sta nascendo, sembra suggerirci Kubrick, per mantenere le posizioni di forza non saranno più sufficienti titoli nobiliari e prerogative giurisdizionali, ma solo grandi quantità di denaro.

[21] Non bisogna dimenticare che Barry Lyndon nasce al posto del soppresso Napoleone kubrickiano, il quale avrebbe probabilmente raccontato in maniera più chiara e diretta la nascita del “nuovo mondo”, nonché il violento diffondersi in tutta Europa degli ideali del 1789.

[22] Se è stato ancora Hobbes, nel suo arcinoto libro Il Leviatano del 1651, a descrivere in modo insuperato la dinamica della società del mercato in statu nascendi, in cui ciascuno è un atomo egoistico che cerca di far prevalere il proprio interesse su tutto e su tutti, fu il filosofo e medico britannico John Locke a teorizzare il tipo umano dell’homo economicus, il quale «cerca la società al solo fine di massimizzare il proprio profitto», Diego Fusaro, Il mito del mercato: la civiltà di Robinson Crusoe, 2013.

[23] Ziegler, dopo i dialoghi cerimoniosi con cui accoglie Bill alla sua festa prenatalizia, rivela la sua vera natura allorquando a contatto con la giovane Amanda vittima di un’overdose (a cui lo stesso protagonista cerca di prestare le cure del caso), dimostra di avere fretta di liberarsi di quel corpo ormai “inefficiente”. In Eyes, dove niente è nascosto, a partire dal titolo occhi-spalancati-chiusi radicalmente modificato rispetto a quello del racconto schnitzleriano Doppio sogno (Traumnovelle) di cui viene mantenuto il traliccio narrativo, Kubrick contrappone l’esistenza venale di Bill (le sue ambizioni piccolo-borghesi, le sue ubbie consumistiche, la sua assoluta dipendenza dal denaro), alla cinica concretezza della confraternita massonica a cui appartengono Ziegler e altri importanti personaggi del gotha finanziario, politico e industriale, la quale si celebra mascherata e silenziosa (come vuole la nota regola del silenzio e del segreto dell’Ordine) in solenni castelli settecenteschi (a sottolineare la stretta continuità con i dominatori di un tempo), tramite tenebrosi rituali di sesso e di sangue rivolti a potenze infere ritenute capaci di accrescere la capacità di appropriarsi delle anime altrui. In questo evidente rovesciamento del cristianesimo, tale élite apolide e mondializzata ribadisce la sua comunione con Lucifero («luce divina e terrestre, allo stesso tempo Spirito Santo e Satana» come lo definisce la “madre” dell’occultismo moderno Helena Petrovna Blavatsky) dimostrando, come nell’episodio della morte della prostituta Mandy, il potere assoluto di cui dispone. «Chi credi che fossero quelli ? Non era mica gente qualsiasi. Se ti dicessi i loro nomi, e non te li dico, ma se te li dicessi non dormiresti più tranquillo» dice, infatti, Ziegler all’interdetto Bill dopo l’agghiacciante cerimonia (culmine della pellicola) a cui ha assistito.

[24] Alex, che nell’esercizio della sua amata “ultraviolenza” è felice come un bambino, è il trionfo dell’irrazionalità, del dionisiaco, dell’inconscio. Il Potere che non riesce a “rieducarlo” (la cura Ludovico) e cerca infine una riconciliazione con lui pensando di servirsene per mantenere lo status quo, dimostra di non averlo ancora compreso, di non averne ancora preso le misure. I suoi scagnozzi gozzuti al limite del cretinismo, quindi ideali prodotti della società odierna, viceversa, sono mossi dallo spirito di emulazione, dall’avidità, dal conformismo e lo dimostrano sia nel momento in cui tradiscono senza esitazione il loro capobanda lasciandolo inerme nelle grinfie della polizia, sia quando diventano essi stessi poliziotti.

[25] Nel pensiero del cineasta del Bronx, il feto astrale con cui si conclude 2001 incarna molto verosimilmente l’Übermensch nietzschiano. Tale ipotesi è suggerita sia dall’indizio che il principio e la fine del film sono accompagnati da un commento musicale tratto dal poema sinfonico Così parlò Zarathustra (1896) di Richard Strauss, ispirato, appunto, all’omonimo capolavoro di Nietzsche del 1883-85, in cui l’antico profeta persiano Zarathustra, ritornato sulla Terra, annuncia l’avvento dell’oltreuomo, che dal fatto che Nietzsche, nel discorso di Zarathustra intitolato Le tre metamorfosi, paragona l’oltreuomo proprio a un bambino.

[26] Nietzsche presenta il superuomo come un essere che è soprattutto corpo, passione, pensiero dionisiaco; una creatura capace di indicare il «senso» di ciò che ci circonda come nessun’altra «Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il vaneficio», Così parlò Zarathustra, “Prefazione di Zarathustra”, Opere, Vol.6 - Tom.1, trad. M.Montinari, Adelphi, Milano, 1986, p. 6.