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I giornali italiani dicono che Hollande minaccia la guerra per (o in?) Ucraina. Ma sa cosa è?

di Gianni Ceccarelli - 10/02/2015

Fonte: rischiocalcolato



Nei giorni scorsi, il Presidente socialista della Repubblica Francese, commentando i colloqui da lui avuti, insieme con la Cancelliera tedesca Merkel, col Presidente Putin, ha affermato che si trattava di “une des dernières chances de trouver un accord, sinon c’est la guerre”.
Non è male, credo, ricordare a tutti gli europei, che sembrano aver dimenticato cosa sia “la guerre” la descrizione che un tedesco – Winfried Georg Maximilian Sebald – ha fatto nel suo “Storia naturale della distruzione”

(uscito in Germania nel 2001 e da noi nella Biblioteca Adelphi tre anni dopo) di un bombardamento nel corso della II guerra mondiale. Si tratta del bombardamento di Amburgo della notte del 28 luglio 1943.

“Durante l’attacco, che iniziò all’una di notte, furono sganciate diecimila tonnellate di bombe dirompenti ed incendiarie sulla zona residenziale a est dell’Elba, zona densamente popolata … Nel giro di pochi minuti, sui circa venti chilometri quadrati dell’area attaccata, scoppiarono ovunque giganteschi incendi e si propagarono così rapidamente che, già un quarto d’ora dopo la caduta delle prime bombe, l’intero spazio aereo divenne –a perdita d’occhio- un unico mare di fiamme.

E in capo ad altri cinque minuti, all’una e venti, si scatenò una tempesta di fuoco così tremenda che nessuno mai, fino a quel giorno, l’avrebbe creduta possibile. Il fuoco, levandosi nel cielo in vampe alte duemila metri, attirava a sé l’ossigeno con una violenza tale che le correnti d’aria raggiunsero la forza di uragani e rintronarono come poderosi organi nei quali fossero stati tirati all’unisono tutti i registri. L’incendio continuò così per tre ore.

Giunta al culmine, la tempesta prese a sollevare i cornicioni e i tetti delle case, fece mulinare nell’aria travi e intere file di pannelli pubblicitari, sradicò alberi e trascinò con sé esseri umani trasformati in fiaccole viventi. Dietro le facciate che crollavano, lingue di fuoco alte come palazzi salivano al cielo: simili a una mareggiata, si riversavano nella strade a una velocità di oltre centocinquanta chilometri all’ora, come rulli di fuoco rotolavano con ritmo animalo su piazze e luoghi aperti. In alcuni canali ardeva anche l’acqua.

Nella carrozze dei tram si scioglievano i finestrini, mentre nelle cantine delle pasticcerie le provviste di zucchero entravano in ebollizione. Chi era scappato dai rifugi cadeva adesso, in grotteschi contorcimenti, sull’asfalto liquefatto che si gonfiava in grosse bolle. Nessuno sa con certezza quanti abbiano perso la vita quella notte o quanti siano impazziti prima di essere colti dalla morte.

Al sopraggiungere dell’alba, la luce estiva non riuscì a fendere la cappa di piombo che sovrastava la città. Il fumo aveva raggiunto gli ottomila metri di altezza e lassù si era allargato in un gigantesco ammasso nuvoloso e cumuliforme, simile a una incudine.

Vampe di calore, che i piloti dei bombardieri raccontavano di aver avvertito attraverso i loro apparecchi, continuarono a levarsi per un pezzo dagli ammassi di pietre che ancora ardevano fumanti. Quartieri residenziali con un fronte su strada di ben duecento chilometri furono distrutti … ovunque corpi orribilmente dilaniati. Su alcuni, guizzavano ancora le fiammelle azzurrognole del fosforo; altri bruciando avevano assunto un colore bruno o purpureo e si erano ridotti a un terzo della loro grandezza naturale.

Giacevano contorti nelle pozze del loro grasso in parte già solidificato. …. [In seguito] all’interno di quel perimetro di morte vennero trovate persone che, stordite e uccise dal monossido di carbonio, erano ancora sedute al tavolo o con la schiena contro la parete. M si rinvennero anche ammassi di carne e di ossa o intere montagne di cori, lesati nell’acqua bollente che era schizzata fuori dalle caldaie esplose; altri ancora furono scoperti ormai carbonizzati e ridotti in cenere a causa del calore c he aveva superato i mille gradi, sicché per rimuovere i resti di inter e famiglie bastava adesso un semplice cesto della biancheria.”

Naturalmente non è l’unico resoconto del genere, e il libro ne cita e ne riporta parecchi altri sui quali, prima di esprimersi come ha fatto Monsieur Hollande, bisognerebbe a lungo meditare.