Il bollettino di guerra dalla Libia, sempre più cospicuo di giorno in giorno, s’arricchisce oggi della notizia dei bombardamenti dell’aviazione egiziana sulla città di Derna. Per adesso si tratta ancora di una rappresaglia seguita all’esecuzione dei prigionieri Copti da parte dei miliziani dell’ISIS, e non si può ancora stabilire con esattezza se ad essa seguiranno anche altre operazioni, tali da delineare un vero e proprio intervento egiziano in territorio libico. Le probabilità che questo avvenga, comunque, non sono remote ed anzi, secondo molto osservatori, starebbero aumentando d’ora in ora.
Si comprende quindi l’urgenza dei paesi occidentali, primi e diretti responsabili per il caos in cui la Libia è stata precipitata con l’aggressione del 2011, d’attuare una loro operazione militare, avente lo scopo d’assumere il controllo del paese proprio prima che a farlo siano gli egiziani. Non dev’essere infatti tralasciato il fatto che sin dai primi giorni del suo insediamento al Sisi stia aiutando le milizie gheddafiane concentrate nel sud della Libia, e che probabilmente un suo intervento diretto nel paese potrebbe portare alla restaurazione di uno status quo non di molto dissimile da quello precedente al 2011. Questo, perlomeno, è ciò che temono le cancellerie occidentali, che hanno assistito impotenti e sgomente alla cacciata di Morsi ed all’avvicinamento dell’Egitto alla Cina e alla Russia, oltre ad essersi fortemente spese per appropriarsi della Libia sovrana trasformandola in una loro dipendenza coloniale, di cui non vogliono essere derubate per nessuna ragione.
Saif al Gheddafi, in tutta questa operazione, potrebbe rappresentare una figura di ricomposizione e di riconciliazione nazionale ideale. Avrebbe tutto il prestigio, il carisma e le capacità politiche per garantire alla Libia una guida sicura, in grado di ricostruire la nazione e riaffermare lo Stato. Ma il suo è, probabilmente, solo il nome più altisonante tra i vari che vengono scanditi da chi conosce la situazione politica libica: ma si tratta sempre e soltanto di nomi strettamente legati a Muammar al Gheddafi, l’uomo che ha fondato la Jamahiriya e guidato il paese per quarant’anni. Per gli egiziani non vi sarebbero molte altre alternative: tolti costoro, in Libia restano solo i fondamentalisti di varia appartenenza e i “liberali” dell’ex CNT, quattro gatti ormai politicamente esauriti. In entrambi i casi, si tratta di soluzioni o d’alternative irricevibili ed impraticabili per l’Egitto, dal momento che sono notoriamente e palesemente collusi con l’Occidente e con le petromonarchie del Golfo, inaffidabili e divisi e pertanto incapaci di governare, e nemici dichiarati dell’attuale governo egiziano. Se l’Egitto vorrà metter meno alla situazione politica libica, non potrà optare che per gli uomini di Gheddafi, che del resto già aiuta neanche troppo sotterraneamente.
Per contro, i paesi della NATO si trovano davanti ad un percorso molto più difficile. Dal momento che sostenere uomini legati alla Jamahiriya e a Gheddafi è fuori discussione per motivi facilmente intuibili, e che la variegata coalizione nata dal CNT s’è praticamente messa fuori gioco da sola, non rimarrebbe altro da fare che seguire un copione iracheno, sperando in tal caso d’eseguirlo meglio. Ovvero: occupare interamente la Libia con una missione ufficialmente di peace-keeping o di state-enforcing ma in realtà di guerra, pattugliandola e militarizzandola in ogni dove in modo da ridurre al minimo la percentuale di rischio per gli stessi occupanti e garantire, grossomodo, una certa qual pacificazione. Si noti bene che, esattamente com’è avvenuto in Iraq, ciò non metterebbe comunque al riparo i nostri uomini, militari ed operatori, dal rischio d’attacchi e d’attentati, che avverrebbero in ogni caso. Quindi si dovrebbe procedere a ricostruire lo Stato libico, giacché attualmente esso non è in grado di provvedere a sé stesso e men che meno ai fabbisogni dei propri cittadini, sia in termini d’ordine pubblico che di sicurezza materiale. Anche in tal caso il precedente iracheno non brilla e ci fa capire come ingenti quantità di risorse, umane ed economiche, dovranno essere dilapidate senza la certezza d’ottenere un risultato certo od apprezzabile. Infine bisognerebbe individuare delle forze politiche a cui consegnare la Libia, e che risultino affidabili agli occhi dell’Occidente. Quest’ultime, molto semplicemente, non esistono e non si possono certo creare dal nulla dall’oggi al domani. Pure in questo caso l’esempio iracheno costituisce, per i paesi occidentale, un monito terribile.
Che dire? Molto probabilmente la NATO dovrà tornare in Libia per starci degli anni, lasciando sul suolo qualche soldato e qualche miliardo. Il terrorismo ed il fondamentalismo, in assenza di forze politiche valide e realmente rappresentative del paese e d’istituzioni efficienti, non saranno mai del tutto debellati e potranno, anzi, conoscere persino nuovi momenti di gloria. In Libia l’Occidente ha numerosi interessi da tutelare, che vanno dal petrolio alla ricostruzione post-bellica, e pur di metterli in salvo è disposto anche ad un nuovo decennio di purgatorio nel deserto libico.
Ne vale la pena? La realtà è che, affidandosi ad una simile ricetta, la Libia non recupererà mai l’uso delle proprie gambe e sarà pertanto, malgrado il tanto petrolio che sgorga dal suo ricco sottosuolo, un paese eternamente fallito, o sull’orlo d’esser tale. Proprio come l’Iraq, che era stabile con Saddam e che poteva tornare ad esserlo nella forma di una repubblica a guida sciita e filo-iraniana: peccato, però, che l’Occidente non accettasse né l’una né l’altra soluzione. Imporre alternative differenti e soprattutto impraticabili, ha condannato l’Iraq all’eterna instabilità. Purtroppo, a meno che non ci mettano una toppa gli egiziani, dietro ai quali si muovono russi e cinesi, anche per la Libia il destino sarà lo stesso.
Filippo Bovo