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Kiev sconfitta dal Donbas nonostante gli armamenti della NATO

di Vladimir Putin - 24/02/2015

Fonte: Aurora sito

Putin0810eDomanda: Vladimir Vladimirovich, qual è la sua valutazione della situazione, ora che due giorni sono passati da quando l’accordo di Minsk sul un cessate il fuoco è entrato in vigore? Non si direbbe che tutto vada bene, soprattutto se si guarda a ciò che accade a Debaltsevo: lì non c’è una tregua.

Vladimir Putin: Prima di tutto, diamo molta importanza agli accordi raggiunti a Minsk. Forse non tutti sono attenti, ma ciò è particolarmente importante in tali accordi. Le autorità di Kiev hanno sostanzialmente convenuto d’intraprendere una riforma costituzionale globale per soddisfare le richieste d’indipendenza, chiamatelo come volete: decentramento, autonomia, federalizzazione, in alcune parti del Paese. Quindi si tratta di una decisione molto importante e significativa delle autorità ucraine. Ma c’è anche un altro aspetto in tali accordi, se i rappresentanti della regione del Donbas hanno accettato di partecipare alla riforma, significa che vi è un reale interesse dai soggetti interessati affinché lo Stato ucraino segua questo percorso. Naturalmente, più velocemente si porrà fine alle ostilità e si ritirerà il materiale militare, più velocemente si attueranno le condizioni reali affinché una soluzione politica della questione possa essere effettivamente raggiunta. Sul piano militare, voglio dire che abbiamo notato un generale sostanziale declino delle attività. Ma voglio anche sottolineare che dall’ultima volta, quando il presidente Poroshenko decise di riprendere le operazioni militari e poi fermarle, non era in grado di farlo immediatamente. Ciò che vediamo oggi è la riduzione non meno chiara e significativa di combattimenti ed ostilità da entrambe le parti su tutto il fronte. Sì, gli scontri sono ancora in corso intorno a Debaltsevo. Ma ancora, scala ed intensità delle operazioni sono assai inferiori rispetto a prima. Ciò che accade è comprensibile e prevedibile. Secondo quanto riferito, un gruppo di soldati ucraini vi è circondato dalla riunione di Minsk, la scorsa settimana. Ho parlato nei nostri scambi a Minsk e questo è esattamente ciò che avevo previsto: dissi che le truppe circondate avrebbero cercato di spezzare l’accerchiamento e che ci sarebbero stati tentativi dall’esterno, ma la milizia (indipendentista), che era riuscita a circondare le truppe ucraine, avrebbe resistito a tali tentativi, mantenendo e stringendo l’accerchiamento, il che inevitabilmente per un po’, in un modo o un altro, ha portato a nuovi scontri. E così un nuovo tentativo di rompere l’accerchiamento è stato fatto questa mattina. Non so cosa i media abbiano detto, non potevo seguire tutte le informazioni, ma so che alle 10 di questa mattina le forze armate ucraine hanno fatto un nuovo tentativo di spezzare l’accerchiamento. Fallendo, infine. Spero davvero che i capi del governo ucraino non impediscano ai militari ucraini di disarmare. Se non possono o non vogliono prendere tale importante decisione e dare questo ordine, dovrebbero almeno non perseguire coloro che, per salvare la propria vita e altrui, sono disposti a disarmare. Questo da una parte. Dall’altra mi auguro che i rappresentanti della milizia e delle autorità della Repubblica popolare di Donetsk e della Repubblica popolare di Lugansk non minaccino questi uomini e non gli impediscano di lasciare liberamente la zona degli scontri e dell’accerchiamento, tornando alle loro famiglie.

Domanda: Signor Presidente, dalle vostre parole ho capito che, quando è stato firmato l’accordo di Minsk e dopo aver partecipato alle discussioni, si sapeva che il cessate il fuoco non avrebbe esattamente avuto effetto nel momento programmato. In altre parole, ci si aspettava che alcuni scontri continuassero. Pensate che i combattimenti finiranno presto? È ottimista circa le possibilità di un cessate il fuoco duraturo, o pessimista, perché se gli scontri militari in realtà s’intensificano poi gli Stati Uniti potrebbero cominciare a fornire armi all’Ucraina. Come risponde a ciò, cosa farebbe la Russia?
Vladimir Putin: Per quanto riguarda le possibili forniture di armi all’Ucraina, secondo le nostre informazioni sono già in corso, hanno già avuto luogo. Non vi è nulla di insolito in ciò. In secondo luogo, credo fermamente che, qualunque sia il tipo di armi in questione, non è mai una buona idea fornire armi alla zone di conflitto e in questo caso particolare, non importa chi sia coinvolto e quali armi siano inviate, il numero delle vittime salirebbe, naturalmente, ma il risultato sarebbe lo stesso che vediamo oggi. La stragrande maggioranza dei militari ucraini non vuole prendere parte a una guerra fratricida, soprattutto essendo così lontani dalle proprie case, mentre la milizia del Donbas ha forte motivazione nel combattere per proteggere le proprie famiglie. Dopo tutto, vorrei ricordare ancora una volta che ciò che accade oggi è legata a una cosa, e cioè al governo di Kiev che ha deciso per la terza volta di riprendere l’azione militare e utilizzare le forze armate. Tale decisione fu presa da Turchinov, che emise l’ordine di avviare ciò che chiama operazione antiterrorismo. Il presidente Poroshenko poi decise di continuare le operazioni militari e adesso vediamo cosa succede. Non ci sarà fine a tale situazione finché i responsabili non si renderanno conto che non vi è alcuna speranza di risolvere il problema con mezzi militari. Tale conflitto può essere risolto soltanto con mezzi pacifici, attraverso la conclusione di un accordo con questa parte del Paese, garantendo i legittimi diritti ed interessi di questa popolazione. Lasciatemi dire che l’accordo raggiunto a Minsk offre l’opportunità affinché ciò accada. A questo proposito, desidero sottolineare il grande ruolo che il presidente francese e la cancelliera tedesca hanno giocato nel raggiungere il compromesso. Penso che una soluzione di compromesso sia stata trovata e che potrebbe essere suggellata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Russia, come sapete, ha già presentato questa iniziativa*. In tale caso, l’accordo di Minsk guadagnerebbe status nel diritto internazionale. In caso contrario, è già un buon documento che dovrebbe essere attuato pienamente. Quindi sono più ottimista che pessimista. Permettetemi di ribadire che la situazione è relativamente calma su tutto il fronte, ora. Dobbiamo affrontare il problema del gruppo accerchiato. Il nostro compito comune è salvare la vita delle persone intrappolate nell’accerchiamento e garantire che la situazione non peggiori i rapporti tra le autorità di Kiev e la milizia del Donbas. Non è mai facile perdere ed è sempre una disgrazia per la parte soccombente, soprattutto quando si perde con persone che lavoravano nelle miniere o sui trattori. Ma la vita è vita e deve continuare. Non credo che dovremmo essere troppo ossessionati da tali cose. Come ho detto, dobbiamo concentrarci su come assolvere il compito principale, salvare la vita delle persone lì ed ora, e permettergli di tornare alle loro famiglie, dobbiamo attuare pienamente il piano concordato a Minsk. Sono sicuro che è possibile. Non ci sono altre vie da prendere.

* approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Putin e l’intermediario del Medio Oriente

Andrew Korybko (USA) Oriental Review 17 febbraio 2015

La visita del presidente russo in Egitto indica che entrambi i Paesi desiderano ristabilire i legami dell’era Nasser. La partnership tra i due ha la possibilità di trasformare qualitativamente la regione, con la ‘Jugoslavia araba’ che promuove gli interessi russi a scapito delle due potenze principali della regione, Stati Uniti ed Arabia Saudita. Su grande scala, ciò significa che l’Egitto è divenuto il terzo trampolino di lancio della proiezione della politica estera russa in Medio Oriente, con tutti gli effetti collaterali multipolari risultanti sulla regione già dominata dall’unipolarismo.

050bdcae7292023eb239ffd3c6fc76fdf2871e6fLe preoccupazione di Washington
Al-Sisi gioca un ruolo molto strategico nel bilanciare le relazioni tra Washington e Mosca, con l’obiettivo che legami più stretti con quest’ultima comportino un accordo migliore con la prima. Il mondo è senza dubbio in preda ad una ‘nuova guerra fredda’, solo che ora invece di essere tra capitalismo e comunismo, è tra unipolarità e multipolarità. Gli Stati Uniti erano abituati a controllare Cairo con Mubaraq, ma dopo aver tradito il vecchio alleato per guidare un’inevitabile transizione della leadership, finirono sul lato sbagliato della storia quando il loro uomo dei Fratelli musulmani fu rovesciato da al-Sisi. Comprensibilmente, l’attuale presidente non si fa illusioni sulla natura infida degli Stati Uniti, ma sa anche che non è saggio (né possibile) rompere completamente i legami con il Paese, soprattutto quando è patrocinato dagli Stati del Golfo filo-USA. In queste condizioni e nel dispiegarsi della ‘nuova guerra fredda’, al-Sisi cerca un rapporto più pragmatico ed equilibrato con tutti i principali attori regionali e globali, sperando che questa politica possa portare maggiori dividendi al suo Paese. Ciò rende l’Egitto uno dei tanti Paesi cardine attualmente impegnati in politiche multipolari, affiancandosi a Vietnam, India e Turchia, per esempio. Detto questo, non importa quanto le politiche di al-Sisi siano giuste ed equilibrate, gli Stati Uniti saranno sempre preoccupati da un Egitto che ‘si allontana’ dalla loro orbita, come qualsiasi movimento verso il mondo multipolare sia una sconfitta relativa per quello unipolare. Lo scopo di tale articolata politica egiziana è accrescere l’importanza del Paese negli affari regionali e riportarlo alla precedente leadership, in gran parte abbandonata subito dopo la morte di Nasser con l”alleanza’ da sottomesso con Stati Uniti e Israele. Un forte Egitto al sicuro dal dominio statunitense, che non può essere completamente controllato da Washington, a sua volta diventa una ‘mina vagante’ regionale che potrebbe ostacolare la ‘gestione’ regionale degli USA. L’aquila egiziana che allarga le ali multipolari si rende conto che la piena dipendenza da un mecenate la pone in una posizione di estrema vulnerabilità, da ciò la delicata ricalibrazione politica del Paese verso regni del Golfo e Russia e una presa di distanza dagli Stati Uniti. Sul vettore eurasiatico, Mosca ha interesse nel vedere un forte e multipolare Egitto ristabilire ordine e stabilità al Medio Oriente, agendo da cuscinetto contro i piani unipolari (direttamente o meno), spiegando la confluenza attuale degli interessi strategici dei due Stati. Verso il Golfo, l’Egitto è nella posizione unica di avvicinare Arabia Saudita e Russia, aiutandole a risolvere le crisi in Siria e del petrolio che hanno messo in ginocchio le relazioni bilaterali, e in caso di successo, sarebbe l’ennesima sconfitta strategica della politica statunitense in Medio Oriente.

La risoluzione delle controversie della Russia con i sauditi
Mentre si è finora parlato di strategia e teoria, è il momento di esaminare di come al-Sisi possa agire da vero intermediario nel Medio Oriente. Arabia Saudita e Russia hanno posizioni assolutamente divergenti sulla crisi siriana e la guerra dei prezzi del petrolio, e l’unico Paese in grado di contribuire a colmare il divario è l’Egitto, corteggiato da entrambi nell’ultimo anno e mezzo. Diamo uno sguardo in dettaglio:

La guerra in Siria
Russia sostiene il governo popolare e democratico del Presidente Bashar Assad, mentre l’Arabia saudita sostiene rabbiosamente un cambio di regime a tutti i costi (compreso uno terroristico). L’Egitto, pur essendo il destinatario di miliardi di dollari dal Golfo, in realtà si oppone alla “politica saudita, soprattutto perché al-Sisi si oppone al terrorismo (come anche al Qatar che sponsorizza i Fratelli musulmani, per non parlare del SIIL). Le sue opinioni indipendenti non costituiscono una minaccia per i sauditi, dato che non supporta alcuna azione militare contro i loro interessi (come ad esempio l’invio di armi all’Esercito arabo siriano), ecco perché non l’hanno rinnegato e tagliato i cordoni della borsa. Non solo, ma l’Egitto riemerge come Stato chiave negli affari regionali, e non è probabile che i sauditi compromettano le loro relazioni semplicemente per la posizione di al-Sisi sulla Siria, con o senza invio di armi al governo. Anche se avessero voluto, l’unica vera leva che potrebbero usare è sostenere i gruppi terroristici in Egitto, ma al-Sisi li sta spazzando via da quando è salito al potere, mitigando l’impatto globale di tale opzione destabilizzante. Naturalmente, i sauditi e i loro fantocci del Golfo potrebbero smettere di finanziare il Paese, ma poi al-Sisi si avvicinerebbe ancor più a Russia e Paesi BRICS (proprio come la Grecia ha minacciato di fare se l’UE l’escludesse), nel tentativo di sostituire gli investimenti perduti, che rappresenterebbero una grave perdita strategica per Riyadh, permettendo a Cairo di praticare una politica indipendente verso la Siria. In tale posizione, i sauditi sono costretti ad acconsentire alle recenti mosse di al-Sisi nel consolidare l”opposizione’ siriana. Mentre in superficie tale mossa sembra sostenere la strategia saudita, in realtà, qualcosa di molto diverso prende forma, effettivamente sabotandola e spianando la via alla pace in Siria. Russia ed Egitto sono infatti impegnati in una diplomazia complementare riunendo le fazioni dell”opposizione’ siriana con l’intenzione di diminuirne il controllo occidentale e del Golfo e di facilitare soluzioni ragionevoli con Damasco. Mosca assembla un’opposizione non-terrorista (NTAGO) nel suo Dialogo Inter-siriano, mentre Cairo raccoglie tutti gli altri. Putin e al-Sisi hanno affermato la loro opposizione comune al terrorismo e la volontà di risolvere pacificamente la crisi siriana, quindi è chiaro che entrambi i Paesi coordinano le loro politiche su tali temi scottanti. Detto questo, l’Egitto può quindi agire da ponte tra i delegati dell’Arabia Saudita (se non direttamente cooptandoli il più possibile) e il governo legittimo di Damasco, mentre la Russia lo fa con la NTAGO. Potrebbero forse anche andare oltre, se entrambe le fazioni dell’opposizione si consolidassero tramite la diplomazia di Mosca e Cairo, trovando il modo d’unificarsi in un’entità che sarebbe più flessibile (e ragionevole) verso il raggiungimento della soluzione pacifica alla crisi del Paese. Più sarà maggiore iò successo dell’Egitto nel diluire il controllo saudita sui suoi ascari, filtrando gli elementi radicali e moderando i restanti rappresentanti, più è probabile che tale scenario si avveri, anche se è certamente assai difficile raggiungerlo e ancora ci vorrà molto tempo. Tuttavia, se al-Sisi otterrà ciò, farà risaltare il ruolo del suo Paese in Medio Oriente, affermandone l’indipendenza multipolare dall’Arabia Saudita, e continuando a interagire con tutti i principali attori regionali, sulla base di un maggior rispetto.

La guerra petrolifera
A differenza della guerra in Siria, dove l’Egitto ha alcune carte diplomatiche da giocare, sulla guerra del petrolio, Cairo non ha vantaggi. Invece, la sua posizione nella risoluzione della guerra in Siria (a danno dell’Arabia Saudita) è sufficiente per attrarre l’attenzione di Riyadh, che a sua volta può decidersi a parlare con la Russia a porte chiuse. Perciò, l’Arabia Saudita deve avere una motivazione, che attualmente manca. Ancora una volta, qui è laddove il nuovo atteggiamento siriano dell’Egitto può entrare, dato che s’ingrana perfettamente con ciò che la Russia fa (all’opposto dell’approccio dell’Arabia Saudita) e potrebbe quindi essere ragione sufficiente per ravvicinare le due parti. Se i diplomatici russi e sauditi iniziassero a discutere sulle loro controversie sui metodi scelti per la risoluzione del conflitto in Siria, i russi prenderanno l’iniziativa anche sulla questione del petrolio. Sebbene sia improbabile che l’Arabia Saudita modifichi il corso del confronto energetico intrapreso, sarebbe sempre meglio avere modo di dialogare (per quanto vago e forse prematuro) piuttosto che non averne del tutto l’opportunità, esattamente il vuoto che l’Egitto potrebbe riempire in tale situazione. Va detto che la questione siriana è solo un mezzo per avvicinare Russia e Arabia Saudita discutendo della guerra petrolifera, senza dedurre in alcun modo che la Russia possa mai sacrificare la Siria per i prezzi dell’energia (come il New York Times ha falsamente asserito). Non solo la Russia ha categoricamente negato che ciò possa mai accadere, ma sarebbe del tutto controproducente per l’azione multipolare della Russia in Medio Oriente negli ultimi dieci anni, per non parlare del tradimento del suo solo alleato. Non importa che la corrotta dirigenza politica saudita (che non ha limiti morali, etici, o di principio) possa ancora pensare che tale accordo sia possibile, decidendo di parlare direttamente alla Russia usando l’Egitto per trasmettere i suoi desideri. Questo è esattamente lo scenario che la Russia vuole, cioè che la sua posizione sulla Siria (indefettibile e solida) sia l”esca’ per raggiungere i sauditi usando l’Egitto come mezzo. Non importa che tali colloqui probabilmente non comportino alcun progresso, invece, i punti chiave sono che la Russia stabilisce un dialogo indiretto con i sauditi, usando l’Egitto. L’importanza di Cairo per Riyadh sarà pertanto ancora più elevata, con i (falliti) colloqui segreti russo-sauditi utili più ai propri interessi che a quelli degli altri due attori. Ma in un’altra direzione, tutto ha un senso, dato che la ‘ricompensa’ dell’Egitto che collabora con la Russia sulla Siria (nonostante la comunanza di interessi) sarebbe la Russia che trova un modo per rendere l’Egitto indipendente dall’Arabia Saudita, e allo stesso tempo, anche più importante. Sarebbe una situazione vantaggiosa per le relazioni russo-egiziane, approfondendone la partnership strategica emergente. Si ricordi, proiezione di potenza e influenza in questo caso funziona solo in una direzione, quella della Russia contro l’Arabia Saudita verso l’Egitto, in quanto non è affatto prevedibile che l’Arabia Saudita possa utilizzare l’Egitto per fare pressioni sulla Russia. Tale realtà sottolinea la natura complementare dei legami russo-egiziani nel perseguire l’ordine multipolare in Medio Oriente.

Il trampolino per invertire la ‘primavera araba’
Le relazioni in espansione tra Russia ed Egitto, ne faranno il terzo trampolino d’influenza regionale di Mosca, insieme a Siria e Iran; tutti attori intenti a invertire il caos provocato dalle rivoluzioni colorate della ‘primavera araba’. Mentre il ruolo di Siria e Iran nel determinare questa visione regionale condivisa è stata postulata in un precedente articolo, questa parte sarà specificamente dedicata alla tessera dell’Egitto nel grande puzzle. Russia ed Egitto hanno firmato numerosi accordi bilaterali durante la visita di Putin, tra cui, soprattutto, l’accordo di libero scambio con l’Unione Eurasiatica e i piani della Russia per la costruzione di una centrale nucleare. Il carattere strategico di questi accordi è d’importanza fondamentale, in quanto simboleggiano rapporti assai profondi e forte attività diplomatica prima del vertice che ha contribuito a portare tali grandi accordi a buon fine. Pertanto, si possono considerare i legami russo-egiziani avanzare costantemente, lontano da occhi indiscreti, domandandosi quali siano attualmente i veri rapporti politici. Si può ipotizzare che questi probabilmente riguardino la Siria (come detto), e forse anche la nuova guerra al terrorismo di al-Sisi contro il SIIL in Libia, essendo improbabile che gli attacchi siano una reazione emotiva del momento. La cosa più probabile è che l’Egitto contemplava tali mosse da qualche tempo (già sospettato di aver effettuato attacchi coperti l’anno scorso), e che al-Sisi abbia notificato a Putin le sue mosse durante la visita di quest’ultimo. Dopo tutto, capire che ci siano relazioni russo-egiziane più profonde di quanto le parti rendono pubblico, ed esaminando le loro dichiarazioni congiunte antiterrorismo, è logico concludere che tale interazione ci sia. Se è così, allora dimostrerebbe il livello profondo di fiducia che le parti hanno rispettivamente, favorendone la cooperazione in Siria. Inoltre, Putin sostiene le campagne antiterrorismo coordinate con lo Stato ospitante e con il governo ufficiale libico, che aveva chiesto sostegno internazionale in passato. La guerra legale di al-Sisi al SIIL è in netto contrasto con quella illegale che Stati Uniti e soci conducono in Siria contro la volontà e senza il coordinamento di Damasco. La Russia sostiene pertanto un Egitto abbastanza sicuro da far valere i propri interessi sulla sicurezza al di fuori dei confini (e in modo legale), facendone un attore multipolare più forte e capace di una leadership regionale, adempiendo agli interessi strategici anche del partner nel ristabilire l’ordine nel caotico Medio Oriente post-primavera araba.

Conclusioni
I legami russo-egiziani sono sul punto di tornare ai livelli dell’era Nasser, stretti e coordinati anche se la differenza principale è che Cairo cerca di emulare questo modello contemporaneamente con altri attori del mondo multipolare. Anche così, ciò simboleggia un terremoto geopolitico in Medio Oriente, dato che la nazione araba più popolosa ed ex-leader regionale ancora una volta avanza tracciando un corso indipendente dagli interessi gli Stati Uniti. Vi sono ancora molti altri passi complicati e contorti da effettuare prima di raggiungere questo ambizioso obiettivo, ma è indiscutibile che l’Egitto del Presidente al-Sisi sia intento a ripristinare orgoglio perduto e ruolo regionale del Paese, e che la Russia ne aiuta attivamente la rinascita geopolitica. Ciò presenta enormi opportunità per la Russia nell’inaugurare la transizione al multipolarismo globale, e l’Egitto è il partner giusto per realizzare questa visione in Medio Oriente.

41d53685274fd40204cbAndrew Korybko è analista politico e giornalista di Sputnik, attualmente vive e studia a Mosca, in esclusiva per Oriental Review.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Libia, NATO, Qatar e intervento dell’Egitto

Alessandro Lattanzio 22/2/2015

Al-Qaida ha dato istruzioni alle cellule dormienti affinché tornassero a galla. I membri di queste cellule hanno attaccato caserme e commissariati per prendere le armi. E’ successo a Bengasi e a al-Bayda, dove si è sparato. La situazione è grave per tutto l’occidente e tutto il Mediterraneo. Come possono, i dirigenti europei, non capirlo? Il rischio che il terrorismo si estenda su scala planetaria è evidente” (Muammar Gheddafi, 7 marzo 2011)libya2Alla domanda se l’Italia vuole intervenire contro l’Egitto e l’Algeria, su mandato di Stati Uniti, Turchia e Qatar, per impedire ad Egitto e Algeria di stabilizzare la situazione in Libia, il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, rispondeva: “Se l’Italia interviene, lo farà anche indirettamente per aiutare l’Egitto a prendersi un pezzo di Libia ed eventualmente l’Algeria a prendersene un altro. Non è affatto vero che certe organizzazioni islamiche stiano invadendo la Libia o controllino la Libia. E’ assai improbabile quello che abbiamo letto ovvero che controllerebbero Sirte o Tripoli. In realtà ci sono delle schegge di queste organizzazioni disperse in particolare in Cirenaica, dove lo stato islamico ha una funzione rilevante di legittimazione dell’intervento egiziano. Perché l’Egitto vuole riparare al torto che la geologia gli ha fatto, vale a dire non disporre di importanti risorse energetiche. Dalla dissoluzione della Libia è uscita la Cirenaica, che si trova a pochi chilometri dal suo confine, pertanto l’Egitto sta premendo in tutti i modi per convincere il resto del mondo a legittimarlo in un’operazione di polizia in Libia che di fatto, se dovesse andare a buon fine, significherebbe l’ingresso dell’Egitto almeno in una parte della Libia. Un altro paese che ha qualche interesse a che questa situazione perduri è la Francia”.
Paragonate tale risposta al commento dell’autore inglese Dan Glazebrook, “Gli Stati africani che nel 2010 avanzavano economicamente, beneficiando degli investimenti cinesi su infrastrutture e produzione, allontanandosi da secoli di dipendenza coloniale e neocoloniale dalle predatrici istituzioni finanziarie occidentali, affrontano gravi nuove minacce terroristiche da gruppi come Boko Haram, dotati di nuove armi e strutture su gentile concessione dell’umanitarismo della NATO. Algeria ed Egitto, ancora governati dagli stessi movimenti indipendentisti che rovesciarono il colonialismo europeo, vedono i loro confini destabilizzati, ponendo le basi per attacchi debilitanti pianificati ed eseguiti dalla nuova miliziocrazia libica della NATO. Questo è il contesto in cui l’Egitto avvia la reazione regionale contro la strategia di destabilizzazione della NATO“.
La conclusione che se ne trae è semplice, Caracciolo, spacciato per massimo esperto di geopolitica in Italia, perora le operazioni di distruzione della regione Africa-Mediterraneo-Medio Oriente, ideate da Washington e Londra, finanziate dal Qatar e Quwayt, e sostenute da Turchia e Israele, esibendo un ridicolo pacifismo, opportunistico, il cui scopo è in sostanza impedire che l’asse del blocco eurasiatico SCO-BRICS, rappresentato in questo caso da Egitto e Algeria, risolva la situazione d’instabilità inoculata, scientemente, dalla NATO per sabotare, appunto l’opera di risanamento economico-infrastrutturale avviatavi dalla Cina, così come i grandi programmi di investimenti pan-africani previsti dalla Jamahiriya Libica. L’allineamento a tale programma di sterminio, volto, ancora una volta, non a costruire un blocco filo-occidentale in Africa, ma solo a devastarne le terre per rallentarvi l’espandersi dell’influenza dei Paesi BRICS, vede protagonisti non solo l’asse atlantista USA-UK-Israele, ma anche le relative propaggini turca, qatariota, petroemiratina, e le varie furiose sette islamiste (alimentate dalle intelligence atlantiste), capeggiate dalla Fratellanza musulmana, come Hamas, che invocano il ‘non-intervento’ contro i ‘fratelli’ libici che devastano la Libia (oltre che Siria, Mali, Tunisia ed Iraq), terminando nella grottesca coda italiana, un ripugnante impasto dalle varie ‘anime': i presunti redivivi ‘realpolitiker’ del gruppo Espresso/Repubblica, dai rapporti intrecciatissimi con lo sponsor del terrorismo mediorientale del Qatar, la rete di ONG/giornalini online filo-islamista, capeggiata da Famiglia Cristiana (o meglio Famiglia Wahhabita), che funge da coper