Dopo poche ore dall’omicidio di Boris Nemtsov, appare già chiaro chi sia il mandante e di chi siano le responsabilità della morte del politico russo. Le voci sulla responsabilità di Vladimir Putin sono state talmente veloci e solerti da rendere quantomeno consigliabile una analisi più accurata, che sappia snodarsi tra diversi punti oscuri e interpretazioni singolari.

Singolare è, per esempio, notare come a cadavere ancora caldo sia bastata una occhiata pure piuttosto superficiale alla carriera politica di Nemtsov per etichettarlo come portabandiera della Democrazia e delle Libertà nella Russia oscurantista, nonché come “leader dell’opposizione” al governo moscovita. Sarebbe senz’altro più utile invece notare come il partito co-fondato da Nemtsov, ovvero l’Unione delle Forze di Destra (Sojuz Pravych Sil in russo)  godesse di un consenso elettorale piuttosto basso, con addirittura un 1% collezionato nelle elezioni del 2007. Lo stesso Nemtsov era addirittura fuoruscito dal partito già dal 2004, cercando di non intralciare il cammino di altri candidati di impostazione liberale, come Michail Kas’janov, opposti alla gestione di Putin, rimanendo sempre nell’alveo di una partecipazione politica che definire marginale è eufemistico.
Resta quindi un mistero come si possa definire Nemtsov un pericolo per Putin, quando le percentuali di consenso, pure volendo analizzare i dati non elettorali, vedono il presidente russo in continua ascesa e i partiti facenti capo all’area della destra liberale pro-europea in crisi da decenni, in particolar modo dalla non felicissima parentesi Eltsin. Sarebbe un po’ come definire Pannella il leader dell’opposizione italiana, e voler vedere un ipotetico interesse da parte del Renzi di turno per una sua eliminazione, addirittura fisica. E’ un atto che a prima vista sembrerebbe piuttosto stupido, dato che rischierebbe di far scoppiare un caso di dimensione internazionale e che verrebbe amplificato da qualsiasi organo di stampa occidentale, il tutto per ottenere l’eliminazione di un politico confinato ormai all’oblio, la cui irrisoria dimensione politica poteva addirittura far comodo ad un presidente come Putin. Considerando la complessità del mondo russo, i difficili rapporti tra le oligarchie, i non sempre chiari meccanismi di potere di una certa classe economica dominante nel mondo russo, pare che la pista “governativa” dell’omicidio Nemtsov sia quella meno credibile, quantomeno una delle più difficili.

Fin qui invece vi è stata una assoluta assenza di una analisi esterne al circolo putiniano per cercare possibili moventi o persone interessate all’eliminazione di Nemtsov. Pare difficile analizzare la politica russa con una ottica volta a considerare tutto quel che si oppone a Putin come un qualcosa di angelico e sostanzialmente candido, quando invece il gioco delle oligarchie, dei poteri economici è fortissimo a Mosca e dintorni. Probabilmente lo sapeva bene anche Nemtsov, vicino al consiglio di amministrazione di “Oil” e al suo presidente Igor Linshits. Questa società era vicinissima ad ambienti criminali, e secondo i pubblici ministeri russi realizzava proventi illeciti vicini ai 57 miliardi di rubli. L’attenzione della giustizia russa costrinse Linshits a fuggire a Londra, e lo stesso Nemtsov ad allontanarsi dal mondo della politica. Un personaggio quindi coinvolto in parecchie questioni oscure, in un mondo non privo di rischi, ritorsioni e soluzioni pure violente, sul confine piuttosto labile che separa legalità e illegalità.
Pure l’ipotesi delle prove che Nemtsov avrebbe avuto per le mani, prove riguardanti il coinvolgimento della Russia nel conflitto ucraino, appare leggermente debole, visto che documenti più o meno forti sul coinvolgimento di Mosca nel conflitto se ne producono da mesi. Dalle foto di confine spacciate per testimonianze incontrovertibili, dalle interviste alla popolazione, da confessioni di personaggi di estrazione militare, viene da chiedersi perché ci fosse un bisogno così urgente di ulteriori prove del coinvolgimento russo nel conflitto, in presenza di una propaganda così martellante che da mesi parte da Kiev verso occidente, e pure da occidente verso Kiev. Questo stesso percorso inoltre pare piuttosto collaudato, e i buoni rapporti che intercorrono tra il nuovo esecutivo ucraino e i suoi partner occidentali fin qui non avevano impedito di riempire l’informazione nostrana di uscite contro Putin o di filippiche sul presunto militarismo russo, e sul suo rappresentare un pericolo per l’angelica democrazia europea, ma se possibile le avevano favorite. In un gioco delle parti pure piuttosto pruriginoso, in cui l’invenzione, la mistificazione e la menzogna non sono estranee all’agire quotidiano, ne costituiscono anzi una parte non trascurabile.

Piuttosto che provare a scandagliare versioni alternative e forse un po’ più feconde, fin da subito si preferisce dipingere un politico di questo calibro addirittura come il Matteotti russo, un paragone che, con il rispetto della vittima, pare leggermente fuori luogo soprattutto se analizziamo la caratura politica e morale del socialista veneto da una parte, e la quantomeno dubbia estrazione del liberale russo dall’altra. Ma si sa, tutto quel che può servire contro Putin fa gola e viene usato senza problemi. Ci si chiede però se, più che la democrazia in Russia, il problema non sia l’informazione in Italia e in occidente.