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La Privatizzazione del Potere

di Marco Della Luna - 31/08/2006

Sul piano più superficiale le privatizzazioni sono operazioni patrimoniali con cui lo Stato (o altri enti pubblici) vendono beni propri, pubblici (immobili, quote azionarie), comperati o costruiti con i soldi dei cittadini, a soggetti privati, al fine di procurarsi denaro di cui dichiara di aver bisogno. Se il prezzo di vendita fosse vantaggioso e se lo Stato avesse veramente bisogno di far cassa, allora, almeno su questo piano, le privatizzazioni sarebbero logiche e opportune. Però i prezzi sono solitamente svantaggiosi e, nella realtà, lo Stato non ha bisogno di vendere per risanare i suoi conti, disponendo di ben altre risorse.
Tali operazioni di vendita sono sovente operazioni di svendita in favore di gruppi imprenditoriali che in cambio ‘sostengono’, in tutti i sensi, gli uomini e i gruppi politici che le eseguono.
Privatizzazioni di industrie strategiche Vi sono grandi industrie pubbliche che hanno una funzione positiva, vitale, per una nazione, ben al di là dalla loro redditività in termini monetari, perché possiedono la tecnologia, il personale, gli impianti e le dimensioni idonee per fare ricerca, per mantenere la competitività dell’intero sistema-paese nel mondo e una certa autonomia scientifico-tecnologica, permettendo allo Stato di non dipendere da altri paesi, anche in ambito politico e militare. Per capirci, la supremazia degli USA nel mondo è dovuta essenzialmente all’industria militare e alle ricadute tecnologiche (e imperialistiche) che ne conseguono: dall’informatica alla biologia, dall’aerospaziale allo spionaggio (Echelon).
La politica dei governi italiani si è rivolta alla cessione e allo smantellamento delle imprese di questo tipo, del loro potenziale scientifico-tecnologico e strategico. Le cessioni e gli smantellamenti sono andati a beneficio di gruppi non solo privati, ma anche e soprattutto stranieri. Oramai la grande industria nazionale, soprattutto quella capace di ricerca, non esiste quasi più, l’Italia è ridotta a colonia tecnologica ed economica dei suoi ‘alleati’: la grande distribuzione (seconda industria nazionale) è in mani tedesche e francesi, il mercato dell’automobile (terza industria nazionale) è all’80% coperto da produzione straniera, passando per la chimica e la cantieristica. Perché i politici italiani si prestano a siffatta operazione antinazionale?
Imprese mono-oligopolistiche: risorse limitate In un mondo dove già la maggior parte delle risorse naturali è nelle mani di cartelli come l’Opec, lo Stato, anzi i politici, privatizzano anche imprese mono od oligopolistiche, soprattutto eroganti servizi vitali per la collettività: energia (Enel, presto Eni), trasporti (autostrade) telecomunicazioni. Sovente, queste imprese già ‘contengono’, o acquisiscono in seguito, la concessione dell’uso di risorse collettive limitate, come le bande di frequenza radio e le risorse idriche. Anche gli enti pubblici locali privatizzano le loro aziende di servizi (gas, trasporti, rifiuti, pompe funebri), oggi dette multiutilitiy. La giustificazione addotta a queste operazioni è quella che la gestione privata consentirà risparmi di denaro pubblico e migliori servizi a minor costo (e prezzo) grazie alla concorrenza e alla logica aziendale. Non è esattamente questo, però, che abbiamo ottenuto. Anzi, mentre i conti degli enti pubblici interessati rimangono critici, vediamo molti servizi peggiorare qualitativamente e quantitativamente, a fronte di un rincaro di costi e tariffe. Vediamo una crescente esterizzazione del capitale di queste società di diritto privato. Vediamo le nomine ai loro vertici sempre più legate al peggiore clientelismo, anziché al merito. Vediamo il loro stile nei confronti del cittadino farsi sempre più elusivo e disattento nel dare, impositivo e aggressivo – quando non fraudolento – nel prendere. Quando, nel 2004, il Dollaro crollò sull’Euro di circa il 30% e scesero anche i prezzi dei combustibili, consentendo così il dimezzamento delle tariffe per gas ed elettricità, quante multiutilitiy fecero gli interessi dei cittadini e dell’economia nazionale, abbassando di conseguenza il costo di gas ed elettricità (costi che, notoriamente, in Italia sono altissimi e costituiscono una delle più gravi malattie dell’economia)? Dove andarono i grandi incrementi di profitti così realizzati? Forse nell’acquisto di mass media e di attività industriali e finanziarie, magari all’estero, nell’interesse dei dirigenti, degli amministratori e di coloro che li avevano messi su quelle poltrone. Forse in stipendi, prebende, consulenze d’oro, opere inutili appaltate a caro prezzo. E i mass media, in effetti, tacquero su questa scelta delle multiutilitiy privatizzate, contraria agli interessi della collettività dei cittadini, e contraria agli statuti di questi soggetti. Una scelta che non sarebbe stata possibile se invece di società di diritto privato avessimo avuto enti pubblici, regolati dal diritto pubblico.
Un salto di qualità: il privato impone le tasse Stiamo assistendo a un interessante quanto allarmante fenomeno politico-economico: numerose società multiutilitiy di diritto privato, ma con partecipazione pubblica (del comune, della provincia), pretendono sempre più di farsi pagare non solo per i servizi che erogano effettivamente al cittadino (servizi perlopiù e a tariffa imposta, rispetto a cui il cittadino non ha alcuna facoltà di scelta o di negoziazione), ma persino per servizi non erogati – o meglio, esigono soldi indipendentemente dal servizio che realmente erogano. Queste società di diritto privato, che realizzano profitti (in proprio o a favore di soci e di terzi beneficiari politico-industriali), si servono del potere pubblico (il Comune, la Provincia) per imporre i loro servizi ai cittadini senza che questi possano contestare inadempimenti e inefficienze, o preferire altri appaltatori; poi, di nuovo, si servono di questi enti pubblici per farsi pagare anche per ciò che non fanno. E con ciò si fa un fondamentale salto giuridico, da tariffa a tassa: si passa dal pagamento di una tariffa per i servizi ricevuti da un soggetto privato che svolge un servizio pubblico, al pagamento di una tassa indipendente da ciò che questo soggetto fa. Il privato impone una tassa alla collettività con l’appoggio dell’ente pubblico che dovrebbe rappresentare e tutelare la collettività stessa (però magari il sindaco siede nel consiglio di amministrazione…). Tutto questo è gravissimo, perché implica che lo Stato, gli enti pubblici territoriali, stanno privatizzando non più semplici beni (come le case popolari), non più funzioni (come i servizi pubblici), ma lo stesso potere pubblico, la sovranità politica, nella quale rientra, appunto, il potere di imporre le tasse. In simili vicende si riconosce la vera realtà delle cose: i politici, i pubblici amministratori e funzionari tendono diffusamente a venire eletti o nominati, e ad agire, nei loro ruoli pubblici, come mandatari di interessi economici privati. Va quindi rovesciata la prospettiva: non è che acquisiscano le loro cariche e poi vengano portati a fare certe cose, bensì vengono messi in condizione di accedere a quelle cariche in quanto faranno determinate operazioni.

Leggi l’articolo completo sul numero 7 (sett./ott. 2006) de Illa Consapevole! In edicola e in abbonamento postale