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La Russia sta uscendo dalla crisi

di Jacques Sapir - 07/04/2015

Fonte: Polemos




Giorno dopo giorno è stato detto che la situazione economica in Russia era spaventosa. Ma la situazione economica in Russia è tutt’altro che catastrofica. E’ quel che hanno scoperto, con grande amarezza e non poco stupore, alcuni analisti occidentali. Infatti, fino a pochi giorni fa, non era questo che sostenevano i media occidentali, in particolare in Francia e negli Stati Uniti. Tuttavia, la verità finisce sempre per filtrare attraverso i media. Un cronista di Bloomberg ha appena vuotato il sacco [1]. Ben inteso, l’articolo di Matthew Winkler si concentra sulle opportunità di investimento in Russia. Ma il suo tono è in netto contrasto con quanto si poteva leggere e sentire in questi ultimi mesi sulla Russia. Il paese sta diventando una “terra di opportunità”. Non c’è più alcun problema di “default”, o di qualsiasi altro tipo di catastrofe. Adesso siamo in grado di misurare il livello di disinformazione a cui siamo sottoposti sulla situazione economica in Russia. Ma, alla fine, l’assurdità della situazione sta venendo alla luce.


Russia, una tessa promessa per gli investimenti?

L’articolo di Matthew Winkler sottolinea due elementi importanti. Da una parte, il rendimento dei prestiti sottoscritti dalle società russe è attualmente elevato. Si sta avvicinando al 7,3%, mentre il rendimento dei prestiti alle società, come misurato dall’indice MSCI dei mercati emergenti, è pari solo al 1,7%. D’altra parte, il deprezzamento del rublo, che è stato notevole, fa si che le partecipazioni in società russe (azioni e obbligazioni) siano a buon mercato. Sicché, con il rublo che tende ad apprezzarsi, e con le performance delle società russe che restano buone, un investitore può sperare di vincere su entrambi i fronti, sul cambio di valuta (dove può aspettarsi un apprezzamento del rublo di almeno il 10%) e sul valore delle azioni. Winkler rileva inoltre che il 78% delle società quotate sul MICEX (l’indice del mercato azionario di Mosca, il Moscow Stock Market) ha aumentato le proprie quote di mercato, molto più della media delle imprese dei paesi emergenti.
Questi vari elementi sono in larga parte gli effetti indiretti del deprezzamento del rublo, che ha accresciuto la produttività delle imprese russe. Inoltre, i dati degli ultimi dieci anni dimostrano che gli aumenti di produttività dell’industria russa sono molto consistenti, e largamente superiori a quelli di altri paesi industrializzati, con l’eccezione della Cina.
Tutto questo conferma la presenza di un forte potenziale industriale. In questo quadro, si può comprendere che la Russia sia presentata come una “terra di opportunità” per gli investitori stranieri. Naturalmente, deve essere considerato il problema di una possibile estensione delle sanzioni, in particolare nel settore finanziario. Questo costringerà gli investitori a rinunciare alle valute che rischiano di essere i vettori di tali sanzioni, come ad esempio il dollaro USA e l’Euro, e ad operare in altre valute, come lo yuan cinese. Questo è ora possibile grazie allo sviluppo di un mercato basato sullo Yuan a Mosca, aperto anche ai non residenti. Tra parentesi questo mercato ha appena avuto una nuova estensione, con l’apertura di un comparto per le quotazioni dei future con operazioni in Yuan. Ne abbiamo avuto un buon esempio con l’ultimo prestito chiesto dalla società francese TOTAL per lo sviluppo delle sue attività in Russia, per un importo di 15 miliardi di dollari, fatto in Yuan. Questo dovrebbe eliminare la necessità di utilizzare il dollaro o l’euro per la copertura a termine delle operazioni di investimento.
Questa valutazione delle opportunità di investimento esistenti oggi in Russia costringe a riesaminare la sorprendente resistenza dell’economia allo shock speculativo subito a Dicembre 2014. Anzi, questa resistenza mette in luce le dinamiche di una crescita profonda e di una diversificazione dell’economia, di cui siamo stati consapevoli fin dall’inizio degli anni 2000, e che è rimasta ampiamente ignorata da un certo numero di commentatori. Questo spiega il motivo per cui l’economia russa è attualmente molto più robusta di quanto non fosse nel 1998, o addirittura nel 2008.


La crisi di dicembre e la stabilizzazione

Ricordiamo la crisi speculativa di dicembre 2014. Si è tradotta in movimenti grandi e irregolari del tasso di cambio del rublo tra il 12 e il 26 dicembre. Questi movimenti sono stati contrastati da una decisa azione da parte della Banca Centrale della Russia, di cui abbiamo dato un resoconto su questo blog (qui in italiano un articolo in proposito di Sapir su Le Figaro). La “contro-speculazione” lanciata dalla BCR, con il sostegno della Banca Centrale della Cina, ha permesso di infliggere perdite molto gravi agli speculatori. Ma questi movimenti hanno scosso profondamente la fiducia che i russi avevano, non nella loro moneta, ma nelle loro banche. Anzi, quando al culmine della crisi il rublo è stato negoziato a 77 rubli per 1 dollaro sui mercati a pronti, e a 67 rubli per un dollaro a livello delle vendite effettuate da parte della Banca Centrale, alcune banche non hanno esitato a offrire dei tassi di cambio per i privati pari a 140-150 rubli per un dollaro. Questo è ciò che ha portato alla effervescenza sui beni di consumo a metà dicembre.
Questa speculazione ha anche costretto la Banca Centrale della Russia ad adottare misure restrittive e, non avendo messo in atto un sistema di controlli sui capitali, la stessa banca ha tentato di aggirare la speculazione alzando il tasso di interesse in maniera spettacolare. Si può rimpiangere il fatto che i controlli dei capitali non siano stati utilizzati. Sono un’arma molto più efficace di fronte a movimenti puramente speculativi rispetto alle «misure di mercato» alle quali ha fatto ricorso la Russia. E ‘chiaro che la BCR è stata presa di sorpresa dall’ampiezza assoluta della speculazione e che per un attimo la sua direzione ha ceduto al panico, come si può vedere dai movimenti dei tassi di interesse. Quest’ultimo è salito dall’ 11% al 17%. Ma, in realtà, anche una percentuale del 17% presenta solo un costo insignificante nel caso di un’operazione che dura solo pochi giorni e dove il guadagno speculativo anticipato può raggiungere dal 10% al 20% delle somme impiegate (e prese in prestito). Questa situazione ha costretto la BCR ad intervenire direttamente sul mercato, vendendo massicciamente dollari per innescare una «contro-speculazione», come abbiamo detto. Questa politica è stata efficace. Il 26 dicembre il tasso di cambio era tornato al punto di partenza.
Ma a causa della perdita di fiducia dei russi nelle loro banche, le pressioni al ribasso sul rublo sono continuate (grafico 1).


Grafico 1

Quest’ultimo si è deprezzato, ma in modo più lento rispetto all’inizio di febbraio. Poi, ha cominciato ad apprezzarsi lentamente. Attualmente, sembra essere tornato stabilmente al cambiso di 60 rubli per 1 dollaro, e le pressioni al rialzo continueranno a spingere probabilmente fino a 52-55 rubli. E questo in un momento in cui la Banca Centrale ha iniziato a ridurre il suo tasso di interesse, che passa dal 17% al 15% quindi al 14%. Questa è la prova che la fiducia sta lentamente tornando. I depositi nelle banche hanno cominciato ad aumentare di nuovo (+ 3%) nel corso del mese di febbraio. Inoltre, la diminuzione dei pagamenti dovuti agli stranieri da parte delle imprese e delle banche russe nel corso del 2015, in confronto a quello che avevano dovuto pagare nel corso del 2 ° semestre del 2014, è un altro fattore di apprezzamento del rublo.
Come abbiamo già segnalato su questo blog, dobbiamo quindi aspettarci che il rublo si apprezzi. Il movimento sarà debole fino a quando i prezzi del petrolio rimarranno depressi. Ma questi prezzi sono in procinto di provocare una vera catastrofe economica nel settore del gas e del petrolio di scisto. Lo si può constatare confrontando le variazioni nel numero di impianti di perforazione attivi in Nord America dall’estate del 2014.


Numero di pozzi con perforazioni in corso (Stati Uniti e Canada)

Possiamo quindi aspettarci un calo della produzione in Nord America a partire dal giugno-luglio 2015. Il prezzo del barile dovrebbe risalire (nel caso del BRENT) a circa 70 dollari al barile. Questo dovrebbe corrispondere a un tasso di cambio del rublo di 42-45 rubli per 1 dollaro. Ma dobbiamo tener conto sia della perdita di fiducia dei russi nelle loro banche (che potrebbe giustificare l’uscita di capitali fuori dall’area del rublo) e, al contrario, delle pressioni al rialzo che verranno dall’attrattività delle possibilità di investimento in Russia, non appena gli operatori stranieri avranno capito come aggirare i meccanismi sanzionatori. Questo rende il campo potenziale di stabilizzazione del rublo piuttosto ampio, andando da 50 rubli per 1 dollaro (al minimo) a 35 rubli per 1 dollaro (al massimo).
Questa incertezza sul campo di stabilizzazione del rublo certamente favorirà movimenti ancora più erratici del tasso di cambio. Ecco perché insistiamo sulla necessità di attuare misure di controllo dei capitali, al fine di evitare dei movimenti, siano essi verso l’alto o verso il basso, il cui potere destabilizzante sull’economia rimane considerevole. E’ il caso di ricordate qui che anche il FMI riconosce la necessità di controlli dei capitali nei paesi emergenti, in presenza di incertezze considerevoli.


L’economia reale sta mandando giù lo shock del tasso di cambio

Ma il punto più interessante rimane la reazione del settore reale. Il 2015 è stato annunciato come un anno disastroso. Si può ipotizzare che alcuni analisti negli Stati Uniti in effetti desiderassero un anno disastroso, nella speranza che enormi difficoltà economiche avrebbero alimentato una potenziale ostilità contro il potere di Vladimir Putin. Perfino il ministro delle Finanze, M. Siluanov, prevede un calo del PIL di circa il 4% nel mese di gennaio.
Tuttavia, dall’inizio di marzo stiamo cominciando a capire che il l’economia reale sta digerendo lo shock del tasso di cambio di gran lunga meglio di quanto alcuni avessero pensato. Il calo del PIL non dovrebbe superare il 3% nel corso del 1 ° trimestre 2015, e stazionerà intorno al -1,5% / – 2,0% per il 2015. Non si può nemmeno escludere, se i prezzi del petrolio rimbalzeranno più velocemente del previsto, che il 2015 potrebbe finire con una crescita nel 4° trimestre. Le previsioni sono state aggiustate anche per il 2016, per il quale si prevede un tasso di crescita minimo dell’ 1,5%. Come si può vedere, l’economia russa sta digerendo molto meglio lo shock del tasso di cambio che ha subito.
La causa di questa resistenza è duplice. Da un lato, le famiglie stanno mantenendo i loro livelli di consumi, nonostante i rincari dovuti ai prodotti importati, e dall’altro lato, il lavoro rimane relativamente stabile. La disoccupazione è cresciuta solo leggermente, dal 5,2% al 5,8%. Durante tutto l’anno dovrebbe stazionare nel peggiore dei casi intorno al 6,5%. È importante ricordare che nel 2009, al momento della crisi finanziaria, aveva raggiunto il 9,9%.
Le ragioni di questa resistenza allo shock del tasso di cambio sono molteplici. Prima di tutto, l’industria russa ha notevolmente migliorato la propria competitività grazie alla svalutazione del rublo. Sta mantenendo un buon livello di attività.


Grafico 2

Inoltre, le cosiddette misure «anti-crisi» adottate dal governo stanno iniziando a dare frutti. Certo, il processo è lento, e irregolare a seconda dei settori considerati. Un preoccupante e irregolare rallentamento sembra incidere sull’agroalimentare (trasformazione del cibo) e l’agricoltura. Ma, in generale, le misure stanno avendo un effetto positivo. Infine, la decisione della BCR di ridurre rapidamente i tassi di interesse, e senza aspettare un calo significativo dell’inflazione (che dovrebbe raggiungere un tetto a marzo intorno al 16,5% per poi diminuire drasticamente a partire da maggio) è un segnale forte che le autorità sono molto decise ad utilizzare tutti i mezzi possibili per mantenere la produzione a un livello elevato.


Il processo di adattamento dell’economia

È importante notare che l’economia russa si sta in realtà adattando alle sanzioni e ad un ambiente internazionale relativamente ostile. Le aziende hanno cambiato fornitore, preferendo i Paesi dell’Estremo Oriente (Taiwan, Cina, Giappone) ai paesi occidentali. Notiamo un fenomeno simile per quanto riguarda i flussi finanziari, con lo Yuan cinese che ora occupa uno spazio sempre maggiore negli investimenti. Da questo punto di vista, c’è coerenza tra le evoluzioni economiche e ideologiche che si concentrano nella questione del «Eurasismo,» un tema che è diventato di moda a partire dall’inizio degli anni ’90 [2]. Ci si può chiedere fino a che punto questa accelerata trasformazione economica non si è verificato anche in risposta a ciò che i leader russi hanno percepito come una «minaccia di guerra» proveniente dagli Stati Uniti [3].
Questo è il quadro in cui si deve considerare questo doppio movimento, sia di integrazione a livello «eurasiatico», come testimoniato dal programma di cooperazione per le infrastrutture dei trasporti, firmato tra la Bielorussia, la Russia, il Kazakistan e la Cina, che di compenetrazione dei BRICS, che si sta materializzando nella creazione di una nuova banca di sviluppo, la Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture (ABII). Questa creazione è stata decisa al vertice BRICS nell’estate del 2014. Dopo un primo deposito effettuato dai cinesi di 50 miliardi di dollari, il capitale di questa banca è destinato a raddoppiare con i contributi degli altri partecipanti, che dovrebbero consentire di raggiungere un totale di 100 miliardi. Questa somma equivale già a 2/3 del capitale della Banca asiatica di sviluppo, che è un’emanazione della Banca Mondiale. [4] Il nuovo istituto bancario indipendente avrà la sua sede a Shanghai, la presidenza sarà a rotazione, e l’India dovrebbe prendere la presidenza per prima. Allo stesso modo, si deve prendere atto dell’Accordo sulla Riserva di Contingenza (RCA), che pure proviene dall’ultimo summit BRICS. Dovrebbe potenzialmente costituire il futuro FMI per i BRICS. L’obiettivo è quello di costituire una rete di sicurezza in caso di shock finanziari e di crisi nella bilancia dei pagamenti, ad esempio se la valuta di uno dei paesi fosse oggetto di attacco speculativo. Questa doppia integrazione, andando di pari passo con gli ambiziosi progetti della Russia di modernizzare la propria economia, finisce per fornire a quest’ultima uno spessore economico che la mette al riparo da gran parte delle perturbazioni esterne a breve termine, come quelli derivanti dalla crisi in Ucraina.
L’economia russa sta inoltre facendo una svolta di 180 °, che la porterà a sviluppare rapporti sempre più stretti con i paesi dell’Asia e gli emergenti. L’unico effetto delle sanzioni sarà stato quello di accelerare un movimento che era prevedibile nei prossimi dieci anni. Ma l’impatto di questo movimento in alcune economie europee si sta già rivelando notevole. Le perdite di mercato per le industrie tedesche, francesi e italiane saranno molto difficili da invertire. In realtà, allo stato attuale la Russia può anche permettersi di prendere in considerazione di revocare alcune delle contro-sanzioni che erano state prese per rappresaglia e che hanno colpito duramente le economie di paesi come l’Ungheria e la Grecia.
Sembra quindi che, se alcuni stavano sperando che le sanzioni avrebbero causato un’ampia crisi sociale in Russia, che avrebbe potuto destabilizzare Vladimir Putin, i loro calcoli non hanno tenuto conto in alcun modo della notevole capacità di recupero della struttura economica della Russia. Il fallimento di questi calcoli, confermato dai sondaggi sulla popolarità di Vladimir Putin [5], sta portando gli Stati Uniti e l’Unione europea al seguente dilemma: si devono mantenere, o addirittura rafforzare, le sanzioni, di cui si può ben vedere che hanno avuto solo un effetto limitato, o si deve ammettere che la politica delle sanzioni è stata un errore? Questo dilemma dovrebbe diventare sempre più acuto nei mesi a venire.

Note

[1] Winkler M.A., « Russia rebounds, despite sanctions », 20 Marzo 2015,Bloomberg,http://www.bloombergview.com/articles/2015-03-20/russia-rebounds-despite-sanctions

[2] L’origine di questa corrente è più vecchia, infatti. Voir : N. Riasanovsky (1967), The emergence of eurasianism, in California Slavic Studies, Berkeley, volume IV

[3] Glaziev S., « The Threat of War and the Russian Response » in, Russia in Global Affairs, 23 settembre 2014,http://eng.globalaffairs.ru/number/The-Threat-of-War-and-the-Russian-Response-16988

[4] David Pilling, «The Brics bank is a glimpse of the future » sul sito della televisione russa, 30 luglio 2014


[5] Le point-AFP «Russie : la popularité de Poutine atteint un nouveau record», Le Point, 07/08/2014





(traduzione a cura di Voci dall’Estero)

27/03/15

Il manuale statunitense per la rivoluzione colorata in Egitto



Gli Stati Uniti attendevano da molto una rivoluzione in Egitto, anche se ha causato solo la fine del loro fantoccio Hosni Mubarak. Di conseguenza, erano pronti ad intervenire.
Dalla prima settimana di manifestazioni al Cairo, Washington ha inviato gruppi dell’Albert Einstein Institute. Un manuale, già utilizzato in altri paesi, è stato adattato e tradotto in arabo. E’ stato distribuito per intruppare i manifestanti. Rinviava ai servizi di Facebook e Twitter istituiti dal Dipartimento di Stato e la CIA.
Questo manuale fornisce indicazioni precise sul percorso delle manifestazioni. Contiene disegni e vedute aeree, mentre gli egiziani hanno una diversa percezione spaziale e raramente usano mappe. Le foto aeree sono accreditate per rispettare i diritti di copyright, cosa ignorata in Egitto. Il manuale consiglia l’abbigliamento per proteggersi dai gas lacrimogeni, riproducendo un’illustrazione occidentale, senza tener conto delle modalità di abbigliamento locale.
Un esempio, la figura sulla destra è stato ridisegnato per mostrare una donna velata. Il personaggio centrale è un poliziotto e non un soldato. Il cartello recita: "La polizia e il popolo contro l’ingiustizia. Viva l’Egitto". Questo allo scopo di trasmettere un messaggio di unità e fratellanza popolare con la polizia, ma la fraternizzazione al Cairo ha avuto luogo con l’esercito. Il riciclaggio del disegno illustra involontariamente la rapidità e l’impreparazione con cui il manuale è stato adattato all’Egitto.
Il manuale formula ciò che gli Stati Uniti volevano imporre come obiettivi al movimento: rovesciare Mubarak e un buon governo civile. Mira ad escludere qualsiasi slogan contro l’imperialismo e il sionismo e per la liberazione della Palestina.
Questa manipolazione, in ultima analisi, è completamente fallita.


26/03/15

Tutti nella superbanca cinese. Gli svizzeri, da invitati



È stata tutta una corsa, una gara. Con sgomento dispetto e incredulità di Washington, tutti i suoi alleati si son precipitati ad entrare nella Banca Asiatica di Investimento e Infrastrutture (BAII) creata da Pechino: Germania, Francia, (incredibile) Italia, e persino il Regno Unito . Il Governo americano ha «privatamente» rimproverato Londra per questo tradimento. Pubblicamente o quasi, ha espresso il dubbio che Stati non appartenenti al G-7 (ossia al Regno del Bene globale) siano capaci di operare prestiti e investimenti «secondo gli standard appropriati» specie sul piano «della protezione sociale» e «dell’ambiente» (siete pregati di non ridere: la predica viene dal Paese del fracking, degli OGM Monsanto e del più alto numero di detenuti al mondo, dove il carcere è stato chiamato ‘la cassa integrazione dei negri’).
L’effetto di questo avvertimento? L’Australia, la Nuova Zelanda, per non parlare dell’India e l’Indonesia, si sono affollati alla porta della neonata banca cinese. 35 nazioni in tutto. La Corea del Sud ci sta pensando. L’unico vero e forte alleato rimasto fuori su ordine americano è il Giappone. Ma colto da tentazione irresistibile, Taro Aso, il ministro delle Finanze di Tokio, ha dichiarato che prenderà in considerazione l’adesione alla banca cinese «se garantisce un meccanismo credibile per dare prestiti», frase che ha qualcosa della scusa pietosa.
Tutto questo è già stato scritto, ed altri hanno sottolineato che la banca cinese segna l’inizio della fine dell’egemonia finanziaria americana, esercitata attraverso i suoi organi sovrannazionali come FMI, Banca Mondiale, Banca Asiatica di Sviluppo (sempre diretta da un giapponese) di cui ha scritto le regole e in cui ha la maggioranza decisionale; altri, più ottimisti, hanno salutato l’inizio della de-dollarizzazione.
Pochi, mi pare, hanno sottolineato l’importanza dell’adesione di un altro Paese. Piccolo, neutrale, e non inserito nei sistemi d’alleanza americani. Prendo la notizia della Xinhua, l’agenzia ufficiosa di Pechino: «La Svizzera decide di partecipare al processo di fondazione della BAII».
Notare: non si parla di semplice adesione. La Svizzera ha regalmente deciso di «partecipare al processo di fondazione» della superbanca. Il resto del comunicato suggerisce che Pechino l’ha graziosamente invitata a sedersi alla sua destra.
«In quanto uno dei primi Paesi d’Europa occidentale a fare questo passo – continuaXinhua – la Svizzera potrà così partecipare alla preparazione degli statuti di questa importante istituzione finanziaria. Ciò ‘le permetterà di ben posizionarsi nella nuova istituzione’, secondo un comunicato del governo elvetico. (…) La Svizzera considera di poter svolgere un ruolo importante ‘per assicurare che la nuova banca rispetterà gli standard internazionali [ecco la risposta a Washington, ndr] della sue attività operative e nella cooperazione allo sviluppo. Essa potrà, a questo scopo, mettere a profitto la sua lunga esperienza, e credibilità di cui gode presso le banche multilaterali di sviluppo».
Pechino dunque non solo dà agli gnomi di Zurigo un posto da fondatore al vertice della BAII; riconosce alla Svizzera il ruolo di proboviro, di garante e giudice della onestà della nuova istituzione.
Divertente la piccola bugia iniziale: la Svizzera non è stata «uno dei primi Paesi» ad aderire. Il primo, primissimo ad offrirsi è stato il Regno Unito, e proprio per «guadagnare il vantaggio di essere il primo», iscrivendosi alla banca cinese prima degli altri Paesi del G-7, dirottare verso la piazza di Londra le transazioni asiatiche future, e avere il potere di conformarne gli statuti e dare le «garanzie» sugli standard, insomma di conformare la BAII secondo i criteri, l’ideologia e l’egemonia globalista anglo-americana. Anche Cristine Lagarde, a capo del Fondo Monetario, s’è detta «deliziata» di collaborare subito con la BAII, per lo steso motivo di Londra: influire sulla sua creazione e la sua costituzione.
Pechino ha invitato invece la Confederazione al posto ardentemente desiderato da Londra.
E la BAII non è la sola: la Cina ha proposto anche una New Development Bank per i suoi BRICS (Brasile, Russia, India e SudAfrica), per non dire del progetto Via della Seta, che intende collegare con reti ferroviarie veloci i vicini nell’Asia Centrale. Lo stesso Economistdei Rotschild ha scritto: «La Cina, stracolma di riserve in valuta e ansiosa di convertirle insoft power, sta creando una architettura alternativa» a quella che ha garantito l’indiscusso dominio della finanza anglo e della sua ideologia negli ultimi 70 anni; e «l’America, sia che l’abbia fatto apposta o per inettitudine, ha fatto della questione un test della sua forza diplomatica. È stato un disastro…».
Decisa a continuare su questa strada, Washington ha sparato un missile intercontinentale a testata multipla Minuteman III – l’arma da guerra atomica – e l’ha fatto «per dare una visuale al mondo», ha detto il colonnello Tytonia Moore, responsabile del lancio. Chiusi nel loro mondo.
Invece è da chiedersi cosa mai ha indotto la servile Roma ad unirsi agli altri servi europoidi in questo sgarbo agli USA. Il fatto è che nei circoli che in qualche modo contano avanza la sensazione che il sistema globale americano non solo è in un vicolo cieco, se vogliamo al capolinea; e per di più sull’orlo del precipizio. E a denunciarlo sono proprio gli operatori che più si avvantaggiano del sistema. Paul Tudor Jones, un grosso e rispettato trader, ha sgomentato molti dicendo, in tv, che «siamo al colmo di una disastrosa market-mania», intendendo i mercati finanziari, i soli dove ci si arricchisce mostruosamente, «una mania delle peggiori della mia vita». Evocata l’iniquità insostenibile fra «l’1% e il resto dell’America, e fra gli USA e il resto del mondo», ha aggiunto: «questo divario non può durare e non durerà. Storicamente, questo genere di divaricazione si riduce in tre modi: con la rivoluzione, con le tasse più alte, o con la guerra. Nessuna di queste è nella mia lista dei desideri…».
Ray Dalio, il fondatore del fondo speculativo Bridgewater Associates (gestisce 165 miliardi di dollari) ha scritto ai suoi clienti che la politica della FED rischia di far esplodere un crack «stile 1937». Che cosa accadde allora? Che la Grande Depressione nata nel 1929 ebbe un ulteriore aggravamento, mostrando il fallimento del New Deal. Ciò perché esattamente come oggi, per drogare l’economia in recessione dal ’29, la FED ‘stampò moneta’ a perdifiato. La moneta e i bassi interessi alimentarono una (nuova) bolla della Borsa. Quando la FED rialzò i tassi (prematuramente, si disse) la bolla scoppiò, e ci fu una ricaduta spaventosa nella disoccupazione di massa, e nei fallimenti. E un rigelo della Grande Depressione in tutto il mondo (salvo che nel paese del Male Assoluto, ma questo è un altro discorso). E sì che nel 1937 gli Stati Uniti erano, finanziariamente, un’«isola, e non come oggi un attore d i un mondo globalizzato» dove i capitali possono andare e venire alla velocità della luce e senza confini; nel ’37 la Borsa esauriva tutta quanta la «finanza speculativa»; oggi il mercato del debito (obbligazioni e Titoli di Stato) giganteggia, e sopra questo titaneggia – fino a farlo sembrare un nano – il mercato dei derivati: 690 trilioni, contro i 70 trilioni di tutti i mercati azionari e obbligazionari. Ora, i derivati sono sensibilissimi a variazioni dei tassi d’interesse primari, decisi dalle banche centrali: le quali o si paralizzano, o rischiano l’Apocalisse.
«Il mercato è iper-sopravvalutato, sta per arrivare una correzione significativa»: parole del capo della Federal Reserve di Dallas, Richard Fisher, al momento di lasciare la poltrona per la pensione. Lo sa benissimo, che i trucchi delle Banche Centrali hanno sempre meno effetto. La durata dei periodi di stabilità che seguono ad ogni «intervento» o «salvataggio» diminuisce, e l’ampiezza di ogni nuova crisi si espande. Sono molti operatori a dire che la prossima farà sembrare il 2008 (la crisi dei subprime con quel che ne è seguito e non ancora concluso) un ruttino.
E in Europa? Un certo vento di fallimenti bancari ha cominciato ad alzarsi. Inaspettatamente, nell’area tedesca: l’austriaca Hypo Alpe Adria, già nazionalizzata nel 2009 è fallita. Vienna non ha voluto o potuto più «salvarla» (ci aveva messo 5,5 miliardi di euro dei contribuenti, volatilizzati), quindi il peso del crack cade sugli azionisti e, novità, sui correntisti. Gli azionisti hanno imbarcato perdite per 7,6 miliardi: e fra questo un investitore chiamato Düsseldorfer Hypotherkenbank, che tratta obbligazioni securitizzate (pfandbriefe), un mercato in Germania di 400 miliardi di euro. Prontamente fallita. Altrettanto prontamente, l’associazione delle banche private tedesche BDB l’ha presa in carico, attraverso il fondo di garanzia dei depositi, per assicurare i correntisti che, fino a una certa cifra, non avrebbero perdite: piccolo particolare, la Düsseldorfer non tiene conti correnti di privato. Segno più rivelatore di panico non si può immaginare.
Come non bastasse, gli USA – questi maestri della morale – hanno accusato la Banca Privata di Andorra di riciclaggio, che significa il divieto di operare in USA. Lo staterello di Andorra ha dichiarato di nazionalizzare la banca privata: così si è scoperto che il bilancio della banchetta che ha garantito (3,1 miliardi) è quasi pari al bilancio statale di Andorra (3,5). E il micro-Paese non sta sotto l’ombrello protettivo della BCE, dunque deve provvedere da sé. Subito dopo, una filiale della banca di Andorra da essa posseduta, la Banco Madrid, è andata in fallimento… Non sappiamo ancora cosa hanno escogitato alla BCE per frenare quello che sembra un effetto-domino. Ancor meno se e per quanto funzionerà.
Speriamo nei cinesi, e nello sviluppo che sapranno innescare…

Capi di Stato in cerca d'autore in un'Europa senza timone che marcia verso la guerra



Hollande, Merkel, Rajoy si sono precipitati – assieme ad alcune centinaia di soccorritori – sul luogo di una sciagura aerea di cui l’unico fatto accertato è che non vi sono superstiti da assistere o confortare. Forse stanno prendendo troppo sul serio la loro funzione di becchini del continente. 
L’affanno con cui questi dirigenti europei inseguono avvenimenti scelti dai media invece di affrontare le situazioni che da anni promettono di risolvere mi sembra indicativo della inadeguatezza morale, decisionale e amministrativa della intera classe dirigente di questa Europa priva di bussola, guidata da cinque Agenzie di rating, cinque Agenzie di stampa “globali” che impongono al mondo i loro menù e sei catene – sempre “global” – televisive che ispirano reti locali nazionali. 
Questo imponente arsenale di comunicazione e prestiti condizionati viene usato dagli USA e tre alleati con crescente disinvoltura e risultati deludenti che lanciano questa alleanza in guerre impossibili da vincere che distruggono la maggior parte delle ricchezze dell’Occidente. 
Sembra proprio che i nostri governanti si lascino trascinare verso la prossima crisi incapaci di agire in nome dei valori fondanti dell’ Europa. Inseguono momenti di visibilità media che vengono decisi dagli avvenimenti su cui nessuno sa imporsi. Accettano supinamente gli ordini del giorno veicolati dai media e li impongono a popolazioni istupidite dalla paura della povertà che litigano tra loro come i polli che Renzo Tramaglino portava alla pentola di Azzeccagarbugli, inconsapevoli del comune destino. 


Gli Stati Uniti 

Tendiamo a non voler ammettere che dopo aver sconfitto la Germania nel secondo conflitto mondiale e l’URSS nella guerra fredda, gli USA siano diventati la potenza egemone del globo. La vecchia Europa – noi – non accetta di non essere più al centro del mondo e dopo aver capito – dopo la guerra – che per contare dovevamo unirci, abbiamo lacoiato passare tre quarti di secolo senza fare nulla. Peggio, abbiamo lasciato che l’Inghilterra sabotasse la nascente comunità, che la NATO soffocasse la creazione di una comunità di Difesa e accettato di svuotare la Democrazia di ogni contenuto, accettando una caricatura di legalità offerta dall’ipocrisia pacifista 
la Camera dei rappresentanti americana lunedì scorso ha deliberato di armare l’Ucraina per metterla in grado di confrontarsi militarmente con la Russia, ma tutti ci ostiniamo a parlare di altro, come se non si trattasse del ritorno della guerra in Europa dopo 70 anni di pace, se il Congresso dovesse confermare la decisione e il Presidente non dovesse porre il suo veto. Vista la sostanziale affinità tra russi e Ucraini ( tranne le frange di frontiera a occidente ceche, Ungheresi, Polacche , romene) questo scontro mi ricorda l’artificiosa guerra tra sunniti e sciiti che sono riusciti a far scoppiare nella penisola araba. I cento consiglieri militari USA presenti in Yemen, ora che il fuoco è ben acceso, sono stati ritirati dal paese. Strana assistenza militare. In Afganistan si annunzia che la guerra è finita, ma che diecimila uomini dell’esercito USA rimarranno sul posto. Strana assistenza post bellica. 
Nel mondo i focolai di guerra si moltiplicano, i bilanci militari sono in crescita dappertutto specie in Asia e tra i tradizionali alleati degli USA : GIappone, Australia, Filippine, 
In risposta la Cina sta aumentando gli stanziamenti militari al ritmo del 50% all’anno…. L’India, per la quale organizzavamo collette, spende 5,4 miliardi di dollari all’anno per armarsi e poiché non è chiaro da che parte si schiererà, nessuno osa importunarla su vicende minori come quella dei due marò. 
L’Arabia Saudita sta chiamando a raccolta tutti gli Emirati del golfo persico attorno a una vera e propria mobilitazione militare in funzione anti yemenita. La NATO ha fissato il target minimo di investimenti militari al 2% del PIL dei paesi contraenti il patto, quando in piena guerra fredda noi stanziavamo meno dell’1,5% e la nostra politica era giudicata guerrafondaia dagli odiernoi reggitori dei nostri destini. 
Nell’area MENA (Middle East and North Africa) coesistono tre distinte guerre (Siria contro i “ribelli”, Irak e Siria contro ISIS, Coalizione occidentale contro ISIS,) cinque guerriglie (Turchia contro i Kurdi, Egitto contro i fratelli mussulmani e Israele contro i palestinesi, Francia contro guerriglieri in Africa Occidentale operanti sul territorio di quattro stati formalmente indipendenti, Nigeria contro Boko Haram), Libia che è un riepilogo di un po di tutto. 
In Afganistan la guerra si trascina da ormai più di un decennio e L’Iran è minacciato in permanenza di un coinvolgimento, persino nucleare ad onta del fatto che non muove guerra a nessuno dai tempi della battaglia di Salamina. 
Il Presidente USA Obama è ormai in minoranza in entrambe le camere del Congresso e viene svillaneggiato di fronte al mondo da deputatini con due mesi di anzianità politica a dimostrazione che