Come asfaltare chi osa negare i crimini di Israele
di Giorgio Cattaneo - 21/04/2015
Fonte: Libreidee
Quando, il 22 luglio 1946, il terrorismo sionista fece esplodere l’hotel King David di Gerusalemme che ospitava il quartier generale britannico uccidendo 86 funzionari e 5 passanti, e mandando all’ospedale altre 58 persone, Winston Churchill dichiarò testualmente: «Se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo». Nella stessa epoca, 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero di loro pugno sul “New York Times” una protesta veemente contro la brutale ferocia sionista verso i palestinesi, definendola «simile, in organizzazione e metodi, ai partiti nazisti e fascisti». Lo stesso anno, fu addirittura un ministro del primo governo dello Stato d’Israele, Aharon Cizling, a dichiarare: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti, e io sono sotto shock». Parole che tutti dovrebbero ricordare sempre, sottolinea Paolo Barnard, autore di uno studio – basato su prove e documenti storici – che accerta le spaventose e sistematiche atrocità (preventive) commesse da Israele contro i palestinesi.
E’ sempre Isreale che sferra il primo colpo, e si tratta di un colpo  mortale: pulizia etnica, aggressioni terroristiche, omicidi, campagne  militari, stragi, stupri di massa, persecuzioni di ogni genere.  Tramortiti da tanta violenza, i palestinesi impiegarono 
oltre  50 anni a reagire, portando il loro caso di fronte alle Nazioni Unite.  Tutto inutile, però: Israele continua a uccidere, e il mainstream lo  dipinge regolarmente come vittima della storia e della violenza araba. Una montagna sanguinosa di mistificazioni, che Barnard prova a demolire pubblicando il mini-saggio “Come ‘asfaltare’ chi difende Israele con 10 autorevoli risposte”. Fonti: libri di storia  di ogni provenienza, relazioni di organi internazionali, documenti  ufficiali di governi occidentali. Autore di libri scomodi come “Perché  ci odiano”, che indaga le reali cause della (recente) ostilità del mondo  islamico verso l’Occidente imperialista, Barnard definisce questo nuovo  studio una «guida imbattibile per distruggere uno per uno gli argomenti  usati dai personaggi mediatici asserviti alla menzogna quando difendono  il terrorismo d’Israele e il genocidio dei palestinesi».
Premessa: «Anti-sionismo non significa antisemitismo. Sionisti =  élite ebrea criminale genocida dominante in Palestina dall’800 a oggi.  Semiti sono i normali ebrei e palestinesi, d’Israele, della Palestina o  del mondo. Solo gli ignoranti, o i falsari amici dei sionisti, spacciano  un anti-sionista per antisemita». Primo luogo comune: “Sono gli arabi  ad aver sempre attaccato gli ebrei emigrati in Palestina per sfuggire  alle persecuzioni europee”. Falso: «Menzogna storica totale. Per tutto  il XIX secolo e oltre, i palestinesi accolsero l’emigrazione ebraica  europea con favore, amicizia ed entusiasmo. Al punto che le massime  autorità religiose ebraiche d’Europa  lo testimoniarono». Lo disse il 16 luglio del 1947 l’eminente rabbino  Yosef Tzvi Dushinsky, alle Nazioni Unite: prima del sionismo, «non vi fu  mai un momento, nell’immigrazione degli ebrei ortodossi europei in  Palestina, nel quale gli arabi abbiano opposto resistenza alcuna. Al  contrario, quegli ebrei erano i benvenuti per via dei benefici economici  e del progresso che ricadevano sugli abitanti locali, che mai temettero  di essere sottomessi. Era risaputo che quegli 
ebrei  giungevano solo per motivi religiosi e non ebbero difficoltà a  stabilire rapporti di fiducia e di vera amicizia con le comunità  locali».
Vent’anni prima, si esprimeva nello stesso modo un altro rabbino di grande fama, Baruch Kaplan, già a capo della “Beis Yaakov Girls School” di Brooklyn, in giovinezza attivo nella Yeshiva (scuola religiosa) di Hebron. «Gli arabi – dichiarò Kaplan – furono sempre assai amichevoli, e noi ebrei condividemmo la vita con loro a Hebron secondo relazioni di buona amicizia». Lo stesso religioso riferì che il rabbino polacco Avraham Mordechai Alter aveva compiuto una ricognizione in Palestina per «capire che tipo di persone erano i palestinesi, così da poter poi dire alla sua gente se andarci o no». In una lettera, «scrisse che gli arabi erano un popolo amichevole e assai apprezzabile». Lo conferma la Commissione Shaw del governo inglese, a proposito delle violenze fra arabi e sionisti nel 1929: «Prima della Grande Guerra (1915-18) gli arabi e gli ebrei vivevano fianco a fianco, se non in amicizia, almeno con tolleranza». Negli 80 anni precedenti, cioè in epoca precedente al fenomeno sionista, «non ci sono memorie di scontri violenti fra i due popoli». Due popoli? Secondo la vulgata sionista, non esisteva un vero popolo Si trattava di “tribù sparse”, con “pochi individui che vivevano sulle terre bibliche”. Un leader storico del movimento sionista europeo, Israel Zangwill, dichiarò a inizio secolo che «la Palestina è una terra senza popolo», al contrario degli ebrei, «popolo senza terra». Una menzogna, scrive Barnard, smentita di nuovo dall’interno dello stesso movimento sionista europeo, che iniziò la colonizzazione su larga scala della Palestina alla fine del XIX secolo.
Al 7° congresso sionista del 1905, un leader di nome Yitzhak Epstein  si alzò e lasciò agli atti questa frase: «Diciamoci la verità. Esiste  nella nostra cara terra d’Israele un’intera nazione palestinese, che vi  ha vissuto per secoli, e che non ha mai pensato di abbandonarla». La  narrazione filo-sionista condanna chi considera colonialisti gli  israeliani? Peccato, perché «il movimento sionista europeo nacque  razzista, violento e prevaricatore (come è oggi). All’arrivo in  Palestina trattarono subito i palestinesi come bestie, perché li  consideravano poco più che bestie. Furono i sionisti a iniziare violenze  e atrocità contro i palestinesi pacifici». A inizio ‘900, in uno  scambio fra un fondatore del movimento sionista ebreo europeo, Chaim  Weizmann (che sarà il primo presidente d’Israele nel 1948) e gli allora  padroni coloniali inglesi, si legge: «Gli inglesi ci hanno detto che in  Palestina ci sono qualche migliaio di negri (“kushim”), che non valgono  nulla». Parole inequivocabili, e indelebili. Il più celebre umanista  sionista della storia, Ahad Ha’am, lanciò un allarme contro la violazione dei diritti dei palestinesi da parte dei 
sionisti:  gli ex “servi nelle terre della Diaspora” «d’improvviso si trovano con  una libertà senza limiti, e questo cambiamento ha risvegliato in loro  un’inclinazione al dispotismo».
«Essi – continua Ha’am – trattano gli arabi con ostilità e crudeltà, gli negano i diritti, li offendono senza motivo, e persino si vantano di questi atti. E nessuno fra di noi si oppone a queste tendenze ignobili e pericolose». Era il 1891, osserva Barnard, mezzo secolo prima di Hitler: già allora il razzismo e la violenza sionista faceva questo a palestinesi innocenti. «Per quasi 50 anni prima dell’Olocausto – continua Barnard – i sionisti che emigravano in Palestina aggredirono i palestinesi e programmarono nei dettagli la pulizia etnica della Palestina, con metodi feroci e terroristici. Ripeto: 50 anni prima di Hitler». Il padre del movimento sionista, Theodor Herzl, aveva dichiarato: «Tenteremo di sospingere la popolazione (palestinese) in miseria oltre le frontiere, procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra… Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione e di nascosto». Un’altra personalità sionista di fine ‘800, Leo Motzkin, sancì: «La colonizzazione della Palestina si fa colonizzando tutta l’Israele biblica, e deportando i palestinesi da altre parti».
E’ quindi ovvio che il destino di pulizia etnica del palestinesi fu  progettato 50 anni prima della Shoah. E anche nelle decadi successive  alla fine ‘800, «il razzismo e la pulizia etnica contro i palestinesi  rimasero priorità», per lo Stato ebraico. Alla fine degli anni ’30,  ricorda Barnard, «il leader sionista Yossef Weitz aveva anticipato gli  infami protocolli nazisti di Wannsee (che, fra le altre cose, listavano  gli ebrei d’Europa  da deportare) scrivendo i ‘Registri dei Villaggi’ dove si indicavano  tutte le famiglie palestinesi da cacciare a forza». Peggio: «Addirittura  Ephraim Katzir (che diventerà presidente di Israele, pensate) arrivò a  lavorare in laboratorio per trovare un veleno per accecare i  palestinesi». Il leader storico sionista, David Ben Gurion, aveva  redatto il Piano Dalet per la completa pulizia etnica della Palestina  ben prima dell’arrivo in Palestina dei profughi dai campi di sterminio  tedeschi. Nel suo stesso diario, Ben Gurion scrisse cose atroci su come  colpire i palestinesi innocenti: «Dobbiamo 
essere  precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese  non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo  fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace».
E allora, l’aggressione araba contro gli ebrei del 1948? “Tutte le nazioni arabe attorno alla Palestina – dice il mainstream sionista – tentarono di sterminare gli ebrei, che per fortuna vinsero quella guerra, se no sarebbe stato un altro Olocausto!”. Infatti, i leader arabi “incitarono via radio i palestinesi ad abbandonare i loro villaggi per permettere lo sterminio degli ebrei!”. Per questo, “i palestinesi se ne andarono volontariamente”. «Menzogna completa», protesta Barnard. Intanto, allo scoppio della guerra arabo-ebraica del 1948, gli ebrei sionisti avevano già inflitto 50 anni di atrocità, pulizia etnica e stragi ai civili palestinesi, «per cui la reazione araba aveva una giustificazione pluri-decennale». Ma la tanto millantata guerra del 1948 fu «una messa in scena totale, una vera bufala già organizzata affinché i sionisti vincessero, grazie ad accordi segreti fra Ben Gurion e il Re arabo della Transgiordania, Abdullah». La “guerra bufala”, la chiamò nelle sue memorie il comandante delle truppe arabe, l’ufficiale arabo-inglese Glubb Pasha.
Il re Abdullah e Ben Gurion finsero di combattersi per poi spartirsi  la Palestina. Le altre truppe arabe non potevano impensierire Israele:  «Gli egiziani erano per la metà Fratelli Musulmani con le ciabatte ai  piedi, i libanesi non combatterono mai, i siriani erano armati ma erano  quattro gatti, e gli iracheni erano sotto gli ordini del traditore  Abdullah, per cui fecero nulla». Infatti, dai diari di Ben Gurion,  risulta che in piena guerra  del ’48 raccomandò al suo esercito: «Tenete il meglio delle truppe per  la pulizia etnica della Palestina, secondo il Piano Dalet». Quanto alle  “trasmissioni radio” dei leader arabi per incitare i palestinesi ad  abbandonare la regione, si tratta di un falso storico sonoramente  smentito dalla Bbc, che monitorò l’intera massa di comunicazioni  circolate in Medio Oriente nel 1948. Tutte le trascrizioni sono  custodite al British Museum di 
Londra:  in esse, scrive Barnard, non vi è traccia di un singolo ordine di  evacuazione da parte di alcuna radio araba dentro o fuori dalla  Palestina.
Al contrario, si possono leggere gli appelli ai civili palestinesi affinché rimanessero a presidiare le loro case. E lo si può ben capire: nel 1948, alla vigilia della guerra “fondativa” del mito dell’invincibilità militare di Davide che si batte per difendersi dal gigante Golia, «la pulizia etnica sionista aveva già espulso 750.000 palestinesi, tutti civili». Ma la menzogna è tenace, si replica puntualmente con la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando gli arabi “tentarono di sterminare gli israeliani”, i quali “in una prova di eroismo militare riuscirono ad evitare un altro Olocausto”. «Questa versione è una farsa, distrutta vergognosamente dai documenti segreti del governo americano e della Cia», annota Barnard. «Non solo gli israeliani non corsero alcun reale pericolo nella cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, ma gli arabi tentarono di tutto per non combattere, e furono ignorati da Tel Aviv e dagli Usa. Il governo israeliano invece terrorizzò la popolazione ebraica in quell’occasione, sapendo perfettamente che avrebbe attaccato per primo e avrebbe stravinto».
Lo rivelano i documenti americani “declassificati” nel 2005: fu  Israele ad aggredire gli arabi, non il contrario. La Cia sapeva che  Israele avrebbe annientato gli arabi. Il 3 giugno 1967, al Pentagono, il  ministro della difesa statunitense Robert McNamara incontrò il capo del  Mossad, Meir Amit. «Quanto durerà questa guerra?»,  gli chiese. «Durerà sette giorni», rispose il capo dell’intelligence  israeliana. Tutto questo mentre il presidente egiziano Nasser,  teoricamente nemico di Israele, «disperatamente tentava i contatti con  gli inglesi e con gli americani per evitare la guerra», inviando a Washington il suo ministro degli esteri 
Zakariya  Mohieddin per cercare di mediare la pace. «Mentre Mohieddin sta per  partire per l’America, gli israeliani attaccano l’Egitto e distruggono  l’esercito egiziano».
Il premier israeliano Menahem Begin, molti anni dopo confessò tutto: l’aggressione araba era una ‘bufala’. Fu Israele ad aggredire, disse al “New York Times”: «Nel giugno del 1967 di nuovo affrontammo una scelta. Le armate egiziane nel Sinai non erano per nulla la prova che Nasser ci stesse attaccando. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Noi decidemmo di attaccare lui». Questa, conclude Barnard, è un’altra grande bugia che ci hanno raccontato, ed è un modello della storiografia su Israele: «Ci raccontano sempre questa cosa, che Israele è la vittima, che sta per soccombere agli arabi cattivi, mentre la realtà è esattamente diametralmente l’opposto». Perché tante menzogne? Semplice: «L’élite bellica sionista-israeliana ha bisogno delle finte aggressioni arabe, ha bisogno dei pericoli, ha bisogno della minaccia inventata o gonfiata per mantenersi al potere».
Per questo, aggiunge Barnard, l’élite israeliana ha così tanta paura  della pace, e lavora da sempre – anche all’Onu – per sabotarla in ogni  modo, a partire dalla storica risoluzione 181 del 1947. «La leadership  sionista visse, e sopravvive oggi, solo grazie alla strategia della  tensione che loro creano provocando violenze, proprie o palestinesi,  continue». Se la leadership sionista accettasse la pace, continua  Barnard, «dovrebbe confrontarsi con un paese, Israele, che essa gestisce  da cani». A quel punto, «gli israeliani li caccerebbero». Sono vittime  del loro governo, debitamente disinformate. Come valutare, del resto, lo  stesso piano di pace del 1947? Consegnava agli ebrei, minoranza  assoluta, il 56% delle terre. Il Negev andava a Israele, benché abitato  da 90.000 arabi e appena 600 ebrei, ai quali andava anche l’unico porto  commerciale vitale, Haifa. Poi andava agli ebrei l’86% delle terre  fertili, aranceti, ulivi. Ai palestinesi erano anche negati i confini  con la Siria, dove vi sono le fonti di 
acqua.  E Gerusalemme rimaneva “internazionale”, ma di fatto in mano ebraica.  «Questa è la vergognosa realtà. Come potevano i palestinesi accettare?».
Lord Alan Cunningham, l’ultimo Alto Commissario inglese in Palestina, scrisse a Ben Gurion nel marzo 1948: «I palestinesi sono calmi e ragionevoli, voi sionisti fate di tutto per provocare violenza». Il diplomatico americano Mark Ethridge, inviato alla conferenza di Pace di Losanna nel 1949, dichiarò furioso: «Se non siamo arrivati alla pace è primariamente colpa d’Israele». Nel 1971 il presidente egiziano Sadat aveva offerto la pace a Israele in cambio del suo Sinai illegalmente occupato. Tel Aviv reagì mandando Ariel Sharon a fare la pulizia etnica del Sinai, dove l’esercito israeliano fece orrende stragi condannate dall’Onu e causò la Guerra del Kippur, del 1973. Inoltre, «la criminosa invasione israeliana del Libano nel 1982 (19.000 morti civili arabi) fu causata non da minacce a Israele, ma dall’esatto contrario». Massima rivelazione dell’orrore, il massacro dei civili rifugiati nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, sterminati da miliziani su ordine dello stesso Sharon.
La vera crisi,  per Israele, è la pace: Tel Aviv andò in tilt nel 1982, di fronte alla  clamorosa proposta di pace avanzata da Yasser Arafat. Il leader  dell’Olp, futuro capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, fece di tutto  per fermare gli estremisti islamici. Lo ammise lo stesso capo dei  servizi segreti ebraici Shab’ak, cioè Ami Ayalon, in una relazione al  governo: «Arafat sta facendo un ottimo lavoro, si è lanciato anima e  corpo contro i terroristi». La massima occasione per la pace? Fu  l’incontro a Camp David nel luglio del 2000 fra Clinton, Arafat e il  premier israeliano Ehud Barak. «La stampa mondiale riportò che fu Arafat  a rifiutare la pace, ma è falso. Fu il contrario. Ai palestinesi non fu  presentata alcuna proposta scritta, gli fu chiesto di cedere un 9% di  terre, e di ricevere un misero 1%, gli fu negata ogni discussione sul  ritorno dei profughi cacciati dalla pulizia etnica pre 1948 
(come  invece sancisce la Risoluzione Onu 194) e non gli fu concesso nulla su  come dividersi Gerusalemme. Come poteva Arafat accettare?».
E’ provato che, mentre Israele predicava la pace, in segreto pianificava altra pulizia etnica della Palestina, nonché l’uccisione di Arafat e la guerra ai civili. Sono stati scoperti 5 piani segreti della difesa israeliana a questo scopo, racconta Barnard: nel 1996 il piano “Field of Thorns”, nel 2000 il secondo piano “Field of Thorns”, nel 2001 il piano Dagan, nel luglio 2001 il piano di Shaul Mofaz chiamato “La Distruzione dell’Anp di Arafat”, che in quel momento collaborava con Tel Aviv, e nel 2002 il piano “Eitam” con gli stessi scopi. Nel 2003 gli Usa propongono la pace nel documento “The Road Map”, dove si parla anche di un “Israele che cessi ogni violenza contro i civili palestinesi”. I palestinesi l’accettarono e dichiararono il cessate il fuoco. Tel Aviv portò 14 emendamenti alla proposta americana e di fatto la distrusse. Ma non solo. Ariel Sharon intensificò gli assassinii di sospetti (ma non processati) membri di Hamas, ammazzandogli spesso anche mogli e bambini, ovviamente esacerbando le tensioni. Fine della “Road Map”.
Stessa musica con i cessate il fuoco di Hamas, «praticamente sempre  violati da Israele, al punto che nel 2006 in una conversazione segreta  fra i leader di Hamas in Gaza e Damasco, si sente dire “Non abbiamo  ricevuto nessun beneficio dal nostro cessate il fuoco di un intero anno,  Israele continua la violenza contro i civili, e stiamo perdendo la  reputazione coi civili palestinesi”». Nel famoso rapimento da parte di  Hamas del soldato israeliano Gilad Shalit, viene omessa una verità  scomoda, e cioè che «il giorno prima Israele aveva rapito due medici  palestinesi senza alcun mandato legale, e li ha fatti sparire  “incommunicado” (mai rilasciati né processati). La provocazione fu  quindi israeliana». Eppure, in un articolo sul “Washington Post” del  luglio 2006, il leader di Hamas Ismail Haniyeh riconobbe pienamente il  diritto d’Israele di esistere, nonché il diritto 
alla  pace fra «tutti i popoli semiti dell’area». Haniyeh lo fece «nonostante  sapesse che quando Arafat riconobbe Israele nel 1993 non ottenne  assolutamente nulla, solo violenza». Così, Tel Aviv ignorò anche  l’offerta di Haniyeh.
Nel 2007 gli Stati Uniti offrono la pace nel Trattato di Annapolis. Ma poiché il testo della Casa Bianca contiene la frase “cessare il terrorismo sia da parte palestinese che israeliana”, Israele boicottò tutto l’accordo. Fine del Trattato di Annapolis. Persino da dentro l’establishment militare d’Israele arriva l’ammissione che è Tel Aviv che boicotta la pace. L’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, dicharò nel 2009: «Se Israele volesse veramente eliminare la minaccia dei razzi di Hamas», rudimentali aggeggi, «dovrebbe permettere ai civili di Gaza di sopravvivere consentendo loro di ricevere i beni vitali attraverso la frontiera con l’Egitto, non strangolarli alla fame. Questo garantirebbe la pace a Israele per decenni». Lo conferma Robert Pastor, docente all’American University, già inviato dell’ex presidente Usa Jimmy Carter nei Territori Occupati, cioè Cisgiordania e Gaza. Parole esplicite: è Israele che boicotta la pace. «Hamas – dice Pastor – aveva fermato il lancio dei razzi dal giugno al novembre 2008, ma Tel Aviv non solo rinnegò la promessa di allentare lo strangolamento dei civili di Gaza per cibo, medicinali, e acqua, ma bombardò un “tunnel della disperazione”, quelli che fanno passare poche cose dall’Egitto ai palestinesi. Comunicai chiaramente al governo israeliano che Hamas avrebbe esteso il cessate il fuoco se l’assedio di Gaza si fosse allentato, ma mi ignorarono totalmente».
Scrive il mitico reporter d’inchiesta americano Seymour Hersh:  «L’attacco a Gaza (2008) da parte d’Israele, e i massacri conseguenti,  vennero guarda caso quando il governo turco era riuscito a mediare con  diplomatici di Tel Aviv un accordo completo per il ritiro israeliano dal  Golan occupato illegalmente da Israele. Ma è ovvio che l’assalto a Gaza  distrusse tutta la mediazione. Non fu una coincidenza». Lo sostiene  anche l’“Huffington Post”: «Il cessate il fuoco di Hamas del 2008  reggeva benissimo. Fu Israele a uccidere per primo, il 4 novembre. Poi  sempre un raid aereo israeliano uccise altri 6 palestinesi, nonostante  il cessate il fuoco. Abbiamo fatto un seria ricerca su chi, fra Israele e  Hamas, ha rotto più volte il cessate il fuoco in quasi 10 anni, con  l’aiuto dell’organizzazione israeliana B’Tselem. E’ indubbiamente  Israele che uccide per primo durante un 
cessate  il fuoco, nel 78% dei casi precisamente. Hamas ha violato le tregue  solo nell’8% dei casi. Ma se parliamo di tregue lunghe più di 9 giorni,  Israele le ha violate per primo nel 100% dei casi».
Come si può affermare di fronte a queste prove che sono i palestinesi a rifiutare la pace? A spezzare le tregue? E’ l’esatto contrario, protesta Barbnard. «Questo, senza dimenticare che anche in tempi di cessate il fuoco, Israele continua la sua politica di pulizia etnica palestinese e di violenze gratuite e distruttive contro i villaggi palestinesi, contro il loro diritto di nutrirsi, con rapimenti di minori che spariscono “incommunicado”, torture di prigionieri senza processo e senza tutele legali». Nonostante ciò, la narrazione filo-sionista ha il coraggio di ripetere che “Israele è l’unico Stato democratico della zona”, e quindi “è vergognoso chiamarlo Stato razzista”. In realtà, proprio il razzismo «fu ed è la linfa vitale di tutto il movimento sionista: oggi Israele è l’unico Stato moderno che mantiene un sistema di apartheid feroce contro i palestinesi, talmente rivoltante da essere stato condannato in tutto il mondo». La democrazia in Israele? «Riguarda solo la popolazione ebraica, e neppure tutta».
Pochi sanno che le leggi emanate nei decenni dal Jewish National Fund  sulle terre di Palestina, da loro occupate attraverso la pulizia  etnica, sanciscono che tali terreni sono riservati al 90 agli ebrei; ai  palestinesi è proibito affittare o comprare quei terreni che una volta  erano loro, prima della colonizzazione sionista. Nel 2003 l’Istituto  Israeliano per la Democrazia  fece un sondaggio fra gli ebrei israeliani che diede questi risultati:  il 53% sostenne che i palestinesi non avevano diritto all’eguaglianza  civica con gli ebrei, e il 57% disse che andavano semplicemente cacciati  a forza. Il Comitato dell’Onu sui diritti economici, sociali e culturali ha denunciato in termini tragici la mancanza di democrazia  in Israele: anche i cittadini israeliani di origine araba sono esclusi  dalla residenza nel 93% delle terre; sono esclusi dalla maggior parte  dei sindacati, dei servizi pubblici come acqua, elettricità, alloggi,  sanità, e sono relegati alle scuole peggiori. I loro salari sono sempre  inferiori a quelli degli ebrei. 
Infine,  dice il rapporto dell’Onu, il trattamento da parte israeliana dei  beduini è al limite dei crimini contro l’umanità. Bella democrazia, no?
«Non c’è Stato ebraico senza la cacciata dei palestinesi e l’espropriazione della loro terra», chiarì Sharon. Razzismo, apartheid. Lo disse anche un famoso giurista sudafricano, John Dugard, esperto di segregazione razziale, inviato dalle Nazioni Unite in Israele e Territori Occupati. Dugard consegnò all’Onu le seguenti parole: «Le leggi e le azioni d’Israele nei Territori Occupati (illegalmente), certamente rispecchiano parti dell’apartheid sudafricana. Si può forse negare che lo scopo di tali azioni e di tali leggi è di mantenere il dominio di una razza (ebrei) su un’altra razza (palestinesi), per schiacciarli sistematicamente?». La democrazia israeliana, inoltre, tollera fra i partiti dell’arco costituzionale il “National Union Party”, che chiede apertamente la distruzione della popolazione palestinese e nega ai palestinesi il diritto di esistere. «Israele – scrive Barnard – è l’unico Stato al mondo dove nel 1995 il governo ha introdotto il concetto di “gruppi di popolazione”, distinguendo il gruppo “ebrei e altri” dal gruppo “arabi”. Il primo comprende ebrei e cristiani non arabi, il secondo musulmani e arabi cristiani. L’unico altro Stato al mondo che aveva questa distinzione settaria era il Rwanda».
E c’è di peggio: una rappresentante del partito israeliano “Jewish  Home”, la giovane Ayelet Shaked, insieme all’accademico israeliano  Mordechai Kedar dell’università di Bar Ilan, ha scritto che le famiglie,  cioè bambini, mogli e nonni dei “terroristi” di Hamas «vanno  sterminate», e che le loro sorelle e madri «vanno stuprate», dopo 80  anni di orrori ebraici contro quelle famiglie, quelle madri e quelle  sorelle. E’ esplicito il professor Joel Beinin, docente di storia alla Stanford University, negli Usa:  ha intitolato un suo saggio “Il razzismo è il pilastro dell’operazione  Protective Edge di Israele”. Davide e Golia? Sì, ma bisogna invertire le  parti:«Il primo attacco suicida palestinese contro Israele è  dell’aprile 1994 ad Afula, esattamente dopo un secolo di terrore e di  crimini sionisti-israeliani contro i civili palestinesi», chiosa  Barnard, che nel suo dossier documenta in modo millimetrico lo  sterminato bilancio dell’orrore israeliano. «Uno dei più gravi atti  terroristici commessi dal regime di Tel Aviv, in 
violazione  di ogni norma morale e di legalità internazionale, è l’indiscriminato  attacco armato agli operatori medici e paramedici che vanno in soccorso  ai civili e ai militari palestinesi feriti o uccisi durante gli  scontri».
Anche questa indicibile pratica è documentata oltre ogni dubbio. «Le Forze di Difesa Israeliane hanno sparato sui veicoli che tentavano di raggiungere gli ospedali, con conseguenti morti e feriti. Medici e personale paramedico sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulle ambulanze, in chiara violazione della legalità internazionale». Da anni Israele sferra attacchi mostruosi su Gaza, sterminando i civili, col pretesto di difendersi dai rudimentali razzi di Hamas, sparati per disperazione. In 14 anni, i razzi Kassam hanno ucciso dai 33 ai 50 civili israeliani, mentre in soli 6 anni Israele ha assassinato un totale di 2.221 civili palestinesi di Gaza, donne e bambini. Norman Finkelstein, ebreo americano e professore di scienze politiche, aggiunge un dettaglio agghiacciante: «Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l’esercito ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’armata tedesca combatté nel Ghetto di Varsavia». Finkelstein è figlio di vittime dell’Olocausto. «Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti – scrive – devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti».

