Menzogne americane
di Gianni Petrosillo - 19/05/2015
Fonte: Conflitti e strategie
Le bugie di alto profilo, tuttavia, restano il modus operandi della politica degli Stati Uniti, insieme alle prigioni segrete, agli attacchi dei droni, agli attacchi notturni dei Corpi Speciali, scavalcando ogni catena di comando, e all’eliminazione di chi potrebbe ostacolarli. (S.M. HERSH)
La spettacolare uccisione di bin Laden non fu altro che uno show messo in atto dagli statunitensi per garantire la rielezione di Obama. In soldoni, questa è la tesi di Seymour M. Hersh, il quale ha firmato una inchiesta sull’operazione dei Navy Seals, di quattro anni fa, che sta mettendo in imbarazzo l’Amministrazione Usa. Stiamo parlando di un premio Pulitzer molto rispettato che se non fosse stato sicuro delle sue fonti non avrebbe mai rischiato la sua reputazione “per così poco”. Quando, all’epoca, si seppe della notizia, rilanciata dai media di tutto il mondo con titoloni di giubilo, come se ad essere cancellato dalla faccia della terra fosse stato il demonio in persona, il nostro maestro, Gianfranco La Grassa, scrisse, prontamente, che lo “sceicco del terrore” era stato venduto dai servizi segreti pachistani (l’ISI) agli americani. Su questo non potevano esserci dubbi.
Bin Laden viveva ormai segregato in una località pachistana, protetto dall’intelligence di Islamabad, ma era diventato un peso morto per tutti. Non serviva più a nessuno. Per questo fu sacrificato “nell’urna” da chi lo aveva trasformato in un simbolo del terrorismo islamico internazionale. Il cosiddetto capo di Al Qaeda passava i suoi giorni in un compound di Abbottabad circondato da pochi famigliari e altrettante persone fidate. Il leader di Al Qaeda era un uomo solo e senza più seguito, protetto eslusivamente dai segreti scottanti che custodiva. Quando i militari statunitensi hanno fatto irruzione nel luogo in cui si nascondeva non c’era più nessuno a difenderlo, l’ISI aveva già “bonificato” la “location” affinché le cose si svolgessero il più rapidamente possibile ed in massima sicurezza per i reparti speciali di Washington. I “coraggiosissimi” Navy Seals “gli hanno fatto il culo” pur sapendo che stavano stanando una persona ormai inoffensiva, disarmata ed incapace di resistere. Sarebbe stato più interessante catturarlo vivo ma, evidentemente, questo “interesse” non rientrava negli scopi della casa Bianca. Troppo scomodo bin Laden per lasciarlo in giro, anche se in una galera yankee. Persino il suo corpo senza vita poteva diventare un ingombro fastidioso ed, infatti, qualcuno pensò bene di farlo sparire, non in mare come ci è stato raccontato, ma altrove (secondo l’informatore di Hersh sarebbe stato fatto a pezzi e lanciato dall’elicottero dei Seals).
Ci domandiamo quale grandezza possa esserci nell’omicidio efferato e a  sangue freddo di un uomo, ormai invalido, che era diventato lo spettro  di se stesso: “Osama bin Laden si rannicchiò in un angolo della sua  stanza da letto. Due tiratori lo seguirono e fecero fuoco. Molto  semplice, tutto molto semplice e professionale”. Questo rivela il  funzionario Usa in pensione che ha aiutato Hersh a fare luce sulla  vicenda. Perché i pachistani decisero, dopo aver garantito anni di  “latitanza” a bin Laden, di consegnarlo agli americani? Perché “volevano  assicurarsi la continuità degli aiuti militari americani, buona parte  dei quali erano finanziamenti anti-terrorismo destinati alla sicurezza  personale, come ad esempio limousine a prova di proiettile, guardie di  sicurezza e abitazioni per i leader di ISI, ha detto il funzionario in  pensione…La comunità di intelligence sapeva quello di cui avevano  bisogno i pachistani e quello per cui avrebbero accettato: in altri  termini, c’era la carota. E hanno scelto la carota. E’ stato  reciprocamente vantaggioso. E gli abbiamo fatto anche un piccolo  ricatto. Gli abbiamo detto che avremmo tenuto la bocca chiusa sul fatto  che avessero bin Laden nel loro territorio. Sapevamo bene chi erano i  loro nemici e amici: ai talebani e ai gruppi jihadisti in Pakistan e  Afghanistan ‘non sarebbe piaciuto’… I sauditi non volevano che fosse  rivelata la presenza di bin Laden perché era un saudita, e così hanno  detto ai pachistani di cucirsi la bocca. I sauditi temevano che, se noi  ne fossimo stati a conoscenza, avremmo fatto pressione sui pachistani  perché bin Laden iniziasse a dirci qualcosa su quello che i sauditi  avevano fatto con al-Qaeda. E ne avevano spesi di soldi – tanti, ma  tanti soldi. I pachistani, a loro volta, si preoccupavano che i sauditi  potessero vuotare il sacco sul loro controllo di bin Laden. Il timore  era che se gli Stati Uniti avessero scoperto qualcosa su bin Laden da  Riyadh, sarebbe scoppiato l’inferno. Gli americani che venivano a sapere  di bin Laden da un informatore volontario? In fondo non era la cosa  peggiore”.
 Fin qui quello che rivela la fonte dell’intelligence sentita da Hersh.  Poi, come riporta lo stesso giornalista cicaghese, gli americani avevano  ancora della merce di scambio da offrire ai pachistani, avrebbero cioè  favorito i loro interessi in Afghanistan: “Washington sapeva bene  che gli elementi dell’ ISI ritenevano essenziale per la sicurezza  nazionale il mantenimento di un rapporto con la leadership talebana in  Afghanistan. Obiettivo strategico dell’ ISI è quello di bilanciare  l’influenza indiana a Kabul; i talebani in Pakistan sono visti anche  come utili fornitori per le truppe d’assalto jihadiste che sarebbero al  fianco del Pakistan contro l’India in un confronto sul Kashmir”.
 Questi elementi di sicurezza interna e di geopolitica esterna hanno  convinto Islamabad a fornire un sovrappiù di copertura all’azione  statunitense. In sostanza, l’eliminazione di bin Laden, è stata una  passeggiata. Tutto ciò scredita le scene di esultanza ed il presunto  eroismo dei corpi addestrati americani che non hanno rischiato quasi  nulla durante tutta l’operazione: “Dopo aver ucciso bin Laden, i Seal erano lì, alcuni con ferite dalla caduta precedente, in attesa dell’elicottero di soccorso. Venti  minuti di tensione, il Black Hawk stava ancora bruciando. La città era  buia, non c’era elettricità, non c’era polizia. Nessun camion dei  pompieri. Non avevano prigionieri. Mogli e figli di Bin Laden furono  lasciati all’ISI perché fossero interrogati e rilocati’. ‘Nonostante  tutti i discorsi non ci sono stati i soliti sacchi della spazzatura  pieni di computer e dispositivi di archiviazione da portare via. I  ragazzi hanno solo preso dei libri e giornali qua e là nella stanza e se  li sono messi negli zaini. I Seal non erano lì perché sapevano che bin  Laden comandava da quel posto le operazioni di al Qaeda – come avrebbe  detto dopo la Casa Bianca ai mezzi d’informazione. E non erano esperti  d’intelligence in grado di raccogliere le informazioni da quella casa’.  In una normale missione di assalto, ha detto il funzionario in pensione,  non si sarebbe atteso un altro elicottero se l’altro si fosse  schiantato giù. ‘ I Seal avrebbero terminato la missione, buttato fuori  le loro armi e gli attrezzi, e si sarebbero stretti nel restante Black  Hawk e di-di-maued’ – lo slang vietnamita per ‘fuggire via di corsa’.  Via, via di lì, magari con alcuni dei ragazzi appesi fuori  dall’elicottero. – ‘Fuori di lì, con i ragazzi appesi fuori dalle porte  dell’elicottero. Nessuna attrezzatura poteva mai valere più di una vita  umana – a meno che non sapessero di essere già al sicuro. E invece erano  lì, tranquilli, fuori dal complesso, in attesa della ‘corriera’ che li  riportava a casa… ‘Pasha e Kayani avevano mantenuto tutte le loro  promesse”.
Concludo con le durissime parole di Gianfranco La Grassa che però ci denudano al cospetto delle menzogne e delle brutalità di cui siamo capaci noi civilissimi occidentali, i protagonisti di questo film storico che si sentono investiti, immancabilmente, della parte dei buoni direttamente, in God we trust, dal grande regista divino, il quale, evidentemente, ha una predilizione per i peccatori indefessi: “E’ ora di fare paragoni precisi tra gli sgozzatori dell’Isis e questi “premi Nobel per la pace” (in quanto rappresentanti di una nazione che massacra popoli dalla sua nascita, con accelerazione dalla fine della seconda guerra mondiale). Ed è ora che si cominci a dire chi ha ammazzato più gente tra i nazisti e questi “liberatori” selvaggi e veri alieni. Siamo alla mercé dei peggiori assassini che la storia abbia conosciuto. Riconosciamo che poi c’è anche gente meritevole che racconta e rivela queste gesta. D’accordo, ammettiamo questo punto di vantaggio. Ma le rivelazioni fermano gli assassini? No, tutto si ripete ogni volta; viene rivelato e si aspetta, certissimi, il prossimo misfatto di questi esseri di una specie sconosciuta e non studiata”.


