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La devastazione delle grandi dighe

di Mele Marina - 04/09/2006

 

 
 
L’inquietudine per le risorse idriche del nostro pianeta è crescente. In un contesto di disuguale distribuzione e di accrescimento incessante della domanda, l’acqua è sempre più un obiettivo strategico causa di situazioni conflittuali tra stati e all’interno degli stessi.
 
L’esplosione demografica  registratasi a partire dal XX secolo, che ci porterà ad una popolazione effettiva di ca 8mld entro 25 anni, e le concrete prospettive di profondi cambiamenti climatici sono certamente i fattori scatenanti di questa crisi. Tutto ha avuto origine dalla Rivoluzione Industriale: i notevoli progressi della medicina (e la conseguente scomparsa delle grandi epidemie), le grandi concentrazioni urbane in cerca di approvvigionamento idrico continuato e – soprattutto - il massiccio impiego di carbone, petrolio e gas  - che hanno aumentato a dismisura il livello di anidride carbonica nell’atmosfera causando il progressivo aumento delle temperature medie (il noto effetto serra) - ci hanno condotto alla situazione attuale. E’ oggi un dato acquisito anche quello del parziale scioglimento delle calotte polari della Groenlandia e dell’Antartide in cui è immagazzinato circa il 90% di tutta l’acqua dolce del pianeta ed il conseguente innalzamento degli oceani. Se le conseguenze dell’effetto serra sono ancora oggetto di accese discussioni, non vi è dubbio che l’incremento delle temperature ha determinato una maggiore evaporazione degli oceani e causerà una  crescente radicalizzazione dei contrasti climatici in molte zone del mondo. Oltre a fenomeni di desertificazione, le previsioni sono per un aggravamento dei problemi idrici di una larga parte del pianeta che si troverà ad affrontare le conseguenze di gravi siccità o di imponenti piene.
 
Senza poter prevedere le grandi trasformazioni demografiche e climatiche in corso, l’uomo ha cominciato a realizzare in un secolo o poco più – per rifornire d’acqua città sempre più estese e irrigare terre sempre più coltivate - un’opera colossale ed al tempo stesso capillare di profonda alterazione dei letti fluviali realizzando regimi altamente artificiali. Causa di questa profonda trasformazione sono state le dighe: le accresciute conoscenze tecnico-scientifiche, soprattutto nel campo dell’ingegneria civile e dei materiali di costruzione hanno consentito di compiere interventi di enormi dimensioni del tutto irrealizzabili nella prima metà del XX secolo. Oggi le dighe che si possono costruire sono in grado di reggere la spinta idrostatica di masse liquide equivalenti a grandi o grandissimi laghi naturali che si sono formati in epoche geologiche in conche glaciali o tettoniche.
Ecco i dati: nel mondo ci sono più di 800.000 dighe, 45.000 delle quali superano i 17 metri in altezza o hanno creato bacini con un volume superiore ai 3 milioni di metri cubici, di esse la metà si trova in Cina. Al di sopra dei 30 metri ce ne sono circa 20.000; fra di esse le maggiori, alte oltre  150 metri (ca una quarantina), oppure con un serbatoio di almeno 25 km cubi oppure, ancora, con una capacità energetica che raggiunga almeno i 1000 magawatt, E poi naturalmente un numero imprecisato di piccoli o piccolissimi contenitori di lieve impatto e di leggero peso territoriale che singoli agricoltori e piccole comunità apprestano per soddisfare i bisogni locali.
Da sempre le opere di canalizzazione sono nate da esigenze di irrigazione, ma oggi i numeri sono cambiati esponenzialmente: la superficie delle terre coltivate è passata a 48 mln di ettari nel 1900, a 100 mln nel 1950 fino agli attuali 270 mln di ettari. Il 40% di tale superficie viene irrigato con l’acqua raccolta dalle dighe, mentre gli altri due terzi con quella dei fiumi, mediante i canali. Yves Lacoste afferma che a livello mondiale il 70% delle acque oggetto di opere idrauliche è destinato all’agricoltura, mentre il 22% è destinato all’industria e alla produzione di energia e solo l’8% agli usi domestici (acqua potabile, igiene, elettrodomestici, fognature).
La produzione mondiale di energia idroelettrica è di circa 2607 TWh: il maggior produttore è il Canada, secondo il Brasile e terzo la Cina. Proprio per l’origine “pulita” dell’energia idroelettrica inizialmente il movimento ecologista occidentale era favorevole alle dighe – che certamente non contribuiscono all’effetto serra e che producono energia ad un costo inferiore del 20-25% rispetto alle centrali a gas o gasolio-;  ma a cominciare dalle grande opere idrauliche realizzate nei paesi socialisti le valutazioni sono cambiate. A ben guardare in effetti il grande impulso internazionale alla costruzione delle dighe sotto l’egida della Banca Mondiale trova spiegazione nel concreto interesse economico e speculativo delle multinazionali. Nel Protocollo di Kyoto sul clima 37 paesi industrializzati si sono impegnati a tagliare le loro emissioni di gas serra del 5,2 % in media rispetto al livello del 1990 nel periodo 2008-2012; uno dei “meccanismi di flessibilità” previsti autorizza i 37 paesi a finanziare investimenti in paesi in via di sviluppo e contare a proprio credito le emissioni “risparmiate” (come l’energia idroelettrica) – i cosiddetti Clean Development Mechanism (CDM) -  sempre che si siano ottenute garanzie dalle agenzie di credito all’esportazione e/o dalla Banca Mondiale. In pratica le grandi dighe minacciano l’efficacia e la creditibilità dei CDM. I Consorzi potranno anche vendere i “crediti” di emissioni con ulteriori guadagni, i paesi industrializzati hanno un’ulteriore scappatoia per non tagliare le emissioni di gas, ed il paese in via di sviluppo non ne trarrà alcun beneficio. 
 
Qui di seguito illustriamo brevemente tre opere che ben sottolineano le controversie che sempre più accompagnano la costruzione delle dighe.
 
LA DIGA DELLE TRE GOLE, CINA
E’ entrata in funzione il 20 maggio 2006 e sarà completata entro il 2009 l’opera più colossale ed impegnativa di risorse e tecnologia mai realizzata: l’enorme diga sul fiume Chang Jang (Lungo Fiume), la forza della natura che taglia idealmente in due il Regno di Mezzo (la Cina)
Volume di calcestruzzo 28.5 mln di metri cubi, altezza coronamento 185 metri, larghezza 2309 metri, volume invaso 29,3mld di metri cubi in un lago artificiale che sarà lungo 600 chilometri; potenza elettrica complessiva di 18.200 MW; costo previsto 30 mld di dollari.
Certamente la produzione di energia elettrica dall’idroelettrico risparmierà la produzione di circa 20 mld di tonnellate di CO2 e molte polveri che sarebbero derivate dalla combustione di idrocarburi nel caso l’energia fosse derivata dal petrolio. Ma che dire del fatto che sono stati sommersi molti centri urbani, più di 1200 siti archeologici, eliminate molte specie animali viventi nel fiume e – soprattutto -  sono state sfollate 1.800.000 persone. E ancora:  per molti geologicamente parlando è un disastro per lo sconvolgimento che ne deriverà dalla modifica della portata e flusso fino a toccare la stabilità stessa della lontana Shangai; enormi sono i rischi di un suo collasso, anche per un eventuale terremoto, o di eventuali attentati di tipo terroristico.
Il popolo cinese si è opposto sin dalla fine degli anni ottanta alla sua costruzione ma l’allora leader Li Peng decise di dare comunque impulso alla costruzione della diga grazie anche ai finanziamenti statunitensi e della World Bank.
 
IL FIUME ARANCIONE, LESOTHO
Lesotho Highlands Water Project è attualmente il secondo progetto faraonico al mondo di imbrigliamento delle acque: sono 5 le grandi dighe previste, 200 km di tunnel sotterranei e un impianto idroelettrico di 110 MW, iniziato nel 1986 si prevede verrà terminato nel 2027. Così dal piccolo ma rigoglioso regno del Lesotho il 40% dell’acqua del bacino del fiume Sengù verrà deviato verso il Sud Africa. La popolazione locale e la società civile si sono opposte alla realizzazione del progetto temendo anche i prezzi crescenti che comporterebbe sull’acqua per il consumatore finale (le tariffe sono cresciute tra il 1991 ed il 1999 dall’8 al 30%). Il progetto, governato da un trattato internazionale firmato da Lesotho e Sudafrica nel 1986, è stato spesato dal Sudafrica. La Banca Mondiale ha fornito un prestito di 110 mln di dollari per coprire parte dei costi di progettazione; anche aziende italiane contribuiscono alla realizzazione. Uno dei principali impatti della prima fase del progetto rimane la costruzione dei 200 km di strade di accesso alla regione delle Highlands – tutte al di sopra dei 1800 metri di altezza. Numerosi i reclami delle comunità locali ma  - come sempre succede - l’agenzia attuatrice, la LHDA, non ha mai considerato seriamente la possibilità di risarcire pienamente le popolazioni che hanno visto la loro terra coltivata o da pascolo a fondo valle coperta dal bacino di Katse o Muela. Ciò ha determinato un eccessivo sfruttamento delle terre rimaste disponibili. Ricordiamo poi le ben cento scosse sismiche con punte del 4°grado della scala Richter determinate dal peso dell’acqua nel corso del riempimento del bacino. Da anni oramai il progetto è diventato famoso anche per un enorme caso di corruzione: il direttore del progetto è stato condannato a 18 anni di carcere per aver accettato ben 2mln di dollari di tangenti dalle più grandi multinazionali delle dighe, tra cui anche una nota azienda milanese, ora tutte singolarmente a processo.
 
 LA DIGA DI ILISU – PROGETTO GAP, TURCHIA
E’ un megaprogetto di sfruttamento delle acque del Tigri e dell’Eufrate nell’Anatolia Sud Orientale che prevede la costruzione di 22 dighe, 19 centrali idroelettriche e centinaia di progetti collaterali. Il progetto riguarda sistemi fluviali complessi perché scorrono in tre stati: Turchia, Siria e Iraq.
Con il Gap la Turchia avrà il controllo completo delle acque della Mesopotamia. La diga di Ilisu, la più grande progettata nel Kurdistan, fa parte del GAP e sorgerà sul Tigri a 65 km dal confine iracheno. Dopo una forte opposizione internazionale al primo tentativo di avvio dei lavori nel 1999, negli ultimi giorni del 2005 un nuovo Consorzio di imprese Turche, Europee ed Americane è stato creato: la diga si farà.
Inizio lavori primavera 2006, costo 1,6 mld di dollari, capacità produttiva 3833 Gwh, 200 insediamenti umani sommersi tra cui l’antica città di Hasankayf, 80.000 persone sfollate di origine quasi esclusivamente curda. Già nel 1990 la Commissione dei Diritti Umani denunciava l’esproprio e la deportazione di oltre 200.000 curdi e la volontà turca di utilizzare il progetto per spopolare il Kurdistan.
 
 
Su iniziativa della Banca Mondiale nel 1997 è stata costituita la World Commission on Dams (WCD) formata da 39 organismi tra governi, aziende private, istituzioni finanziarie, organizzazioni della Società civile. Nel suo rapporto la WCD sancisce che un numero eccessivo di persone - fra 40 e 80 milioni  - è stato dislocato per la realizzazione dei progetti e la maggior parte di questi emigrati non ha mai ricevuto compensi adeguati dai rispettivi governi; irreversibile è stata la perdita di foreste e dell’habitat animale, in particolare della biodiversità acquatica; “i benefici vanno a vantaggio di gruppi diversi da quelli che ne sopportano i costi” .
Ed al di là degli immediati effetti rilevati come si possono prevedere i danni e/o benefici a medio lungo termine? Alcuni imperdonabili errori sono già evidenti, come nel caso delle due dighe di Assuan. La prima - costruita dagli inglesi nel 1923 - impedisce il flusso del famoso limo, quello che dai tempi dei faraoni era prezioso concime per l’agricoltura. La seconda – quella dello spettacolare spostamento dei templi di Abu Simbel – con la formazione del lago Nasser, non serve ad irrigare perché a causa della fortissima evaporazione l’acqua è troppo salata.
Non possiamo mettere in dubbio che senza i complessi lavori di antropizzazione dei corsi d’acqua l’accessibilità idrica sarebbe oggi enormemente inferiore, ma molti studiosi ci spingono a riflettere:  sulle dimensioni ciclopiche di  tanti interventi, dimensioni che non trovano giustificazione né sul piano economico per il rapporto tra investimenti e rendimenti, né su quello ambientale; sul fatto che solo in via residuale l’acqua delle dighe viene usata per produrre energia idroelettrica; sugli incalcolabili danni alle popolazioni locali.
Non da ultimo colpisce che proprio l’acqua  - elemento base per la nostra sopravvivenza – venga comunque e sempre considerata un bene economico, con un prezzo da definirsi in base alla concorrenza,  e non invece – come noi riteniamo -  un diritto umano.
 
Marina Mele
 
 
 
 
Bibliografia
-           Yves Lacoste  “L’acqua e il pianeta , la lotta per la vita”, Rizzoli LAROUSSe
-           Maude Barlow Tony Clarke “Oro blu”, ARIANNA EDITRICE
-           www.albeforum.net
-           www.scienzaesperienza.it
-           It.wikipedia.org
-           www.giornaleingegnere.it
-           www.greencross italia.it
-           www.solidea.org
-           www.turchia.net
-           Le Dighe di Teresa Isenburg  - Radio televisione svizzera di lingua Italiana
-           Il manifesto 30/10/2002 Marina Forti “Grandi dighe e “sviluppo pulito”
-           Uiki Onlus, Ufficio d’informazione del Kurdistan
-           Oneworld.net