Perché non si elimina l'ISIS
di Manuel Zanarini - 14/07/2015
Fonte: Arianna editrice
Qualche giorno fa un amico, che reputo di ottima cultura e intelligenza, mi ha fatto una domanda dalla risposta piuttosto scontata (almeno in teoria): com'è possibile che nessuno armi un esercito e schiacci l'ISIS?
In pura linea teorica, sconfiggere militarmente l'ISIS è piuttosto semplice. Seppur bene armati, i miliziani sono numericamente pochi e si trovano (sempre teoricamente) contro l'intero mondo musulmano, l'Europa, gli Stati Uniti, la Russia …. insomma tutto il Mondo.
La realtà è molto più complicata. Infatti, questi terroristi resistono, si allargano e seminano terrore in varie parti del Medio e Vicino Oriente. Penso che sia interessante analizzarne alcuni aspetti.
Direi che la storia dell'ISIS abbia solide radici nella strategia degli Stati Uniti di isolare, per poi abbattere, l'Iran. Per destabilizzare il mondo islamico, e, quindi come al solito, presentarsi come “pacificatori”, l'idea di Washington è stata quella di finanziare e armare la cosiddetta “primavera araba”. Grazie a questa strategia, il Mediterraneo è stato devastato, con l'eliminazione dei regimi che tenevano sotto controllo la situazione economica, sociale e politica, cominciando anche a lavorare alla stretta collaborazione con i Paesi europei più prossimi. Basti pensare alle relazioni tra Berlusconi e Gheddafi, che stavano portando enormi benefici a entrambe le parti. Dal Mediterraneo, l'attenzione si è spostata più direttamente ai confini dell'Iran, colpendo la Siria. Damasco rappresenta un passaggio chiave per Teheran, attraverso il quale riesce a rifornire Hamas e Hezbollah. Come è facile constatare, paragonando qualsiasi indice sociale ed economico, il governo di Assad garantiva un altissimo tenore di vita e di laicità alla propria popolazione, cosa della quale, da quando la cosiddetta “opposizione moderata” è stata armata e finanziata da Washington, scatenando una sanguinosa guerra civile, è rimasta solo un antico ricordo. Sia sufficiente citare gli innumerevoli episodi di truppe cristiane che si battono per il regime di Assad e truppe islamiche che combattono per difendere luoghi e simboli cristiani. E' bene ricordare che solo pochi anni fa, proprio per destabilizzare la Siria si è sfiorata la III Guerra Mondiale, visto che gli USA erano pronti a intervenire direttamente e che la Russia ha ormai le uniche basi navali strategiche della zona in quel Paese. In questo clima, e moltissime sono le prove dirette e indirette ormai, è stato facile nascere, crescere e prosperare gruppi armati estremisti, come appunto l'ISIS.
Sempre per rimanere in zona-Siria, un ruolo chiave lo svolge anche la Turchia, storica alleata “occidentale” in quella zona. Ankara ha de sempre mire espansionistiche, per non dire imperialistiche, nei confronti del Kurdistan, fin dai tempi delle “guerre in Iraq”. La prima cosa che Ankara ha fatto di fronte alla crisi siriana, è stata quella di blindare militarmente i propri confini, senza intervenire minimamente di fronte ai massacri effettuati dall'ISIS a pochi chilometri dai propri carri armati. Va inoltre ricordato che seconde molte fonti, per lanciare l'ultima offensiva, le truppe dell'ISIS sono passate proprio dalla Turchia, per colpire alle spalle le truppe siriane.
A complicare ulteriormente il quadro, va segnalata la “Guerra Fredda” in salsa islamica. Invece che fronteggiarsi USA e URSS, oggi i due attori in confronto sono l'Arabia Saudita (con alle spalle gli Stati Uniti) e l'Iran (in parte “coperti” da Cina e Russia). Grazie agli immensi giacimenti petroliferi, da barattare con copertura militare, l'Arabia Saudita è da sempre la testa di ponte occidentale nel mondo arabo (nonostante sia uno dei regimi più estremisti e intolleranti al Mondo). D'altra parte l'Iran sta assumendo sempre più il ruolo di oppositore all'espansionismo statunitense nella zona: Finanzia e arma Hezbollah e Hamas in chiave anti-israeliana; appoggia il regime di Assad, dalla disintegrazione programmata della Siria; appoggia il governo dell'Iraq, dove ha anche inviato truppe paramilitari, unica vera forza in grado di opporsi militarmente all'ISIS sul terreno; appoggia i ribelli Houthi in Yemen, i quali vengono bombardati dall'aviazione saudita; ecc.
In questo momento, con l'ascesa di Rohani al posto di Ahmadinejad, l'Iran sta cercando di risolvere il problema embargo e trovare un accordo sul nucleare, in modo da soddisfare i bisogni dei propri ceti medi, vicini al nuovo governo e contrario alla linea popolare del precedente Presidente. E' quindi ovvio che non possa scendere direttamente in campo, liberando l'Iraq dall'ISIS e appoggiare con truppe militari ufficiali l'esercito di Assad in Siria. L'Arabia Saudita, la Turchia e alle loro spalle, gli Stati Uniti, non potrebbero certo tollerare un'ulteriore espansione di Teheran.
Resta quindi da aspettare che tutti queste tessere del mosaico si incastrino, magari cominciando da nuovi rapporti dell'Iran con l'occidente, prima che misure serie e concrete possano prendersi contro l'ISIS. Nel frattempo, il conto lo pagano le popolazioni che vivono sotto l' “incubo nero” del terrorismo a marca ISIS.