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Immigrazione: la lezione del filosofo Alain de Benoist oltre ruspe e mugugni

di Mario De Fazio - 25/08/2015

Fonte: Barbadillo


immi1222007[1]La cronaca delle ultime ore offre due spunti interessanti che rimbalzano dalla Grecia, divenuta laboratorio di modelli e tendenze sempre più diffuse nella guerra che il capitale finanziario conduce da tempo contro i popoli e, di riflesso, delle lacune che il fronte sovranista – pur nelle diverse declinazioni nazionali – prova a contrapporre come resistenza alla logica dell’illimitata necessità dei meccanismi economici imperanti.

Il governo Tsipras, coerente con il tradimento del responso referendario, offre il primo obolo alla Germania sull’altare delle privatizzazioni, uno dei dogmi indiscutibili dei merca(n)ti: quattordici aeroporti regionali – tra cui quelli di Salonicco, Corfù, Zante, Cefalonia, Rodi, Mykonos e Santorini – ceduti al gruppo privato tedesco Fraport: un affare da 1,23 miliardi di euro che costituisce il primo passo del pacchetto di riforme – beati eufemismi della tecnica – che dovrebbe portare Atene a (s)vendere parte del proprio patrimonio pubblico. Un gigantesco esproprio al contrario, tutt’altro che popolare, all’interno del Fondo per le privatizzazioni da 50 miliardi di euro che Tsipras, in cambio di una mega-paghetta di altri debiti con cui sopravvivere, si è impegnato a rendere operativo entro la fine dell’anno. Nel novembre scorso la Fraport era stata dichiarata “investitore privilegiato”per la gestione degli aeroporti regionali, in collaborazione con il colosso greco Copelouzos. Poi la vittoria di Syriza aveva bloccato l’accordo che, appena messo a cuccia Tsipras, è stato puntualmente ratificato. Tradotto: il cappio del debito, inesorabile,  ricomincia a mostrare i segni sul collo dei greci. Un copione, quello delle privatizzazioni, che si ripete da tempo anche in Italia, dove la svendita del patrimonio pubblico è divenuta norma.

Alexis Tsipras

Alexis Tsipras

Sempre dalla Grecia, dopo le immagini degli scontri intorno alle zone degli sbarchi di immigrati, arriva qualche dato sull’afflusso di aspiranti profughi. A dare i numeri è l’Onu: dal primo gennaio sono arrivati in Grecia, via mare, 158.456 immigrati. E nel solo mese di luglio gli sbarchi (50.242) sono stati superiori al totale di tutto il 2014 (43.500). Numeri elevati, soprattutto se messi in relazione alla disastrosa situazione economica ellenica, con la disoccupazione che è attestata intorno al 25%.

Cosa c’entrano le privatizzazioni con l’immigrazione? E’ nel porsi questa domanda – e nella capacità di tentare di dare una risposta – la chiave per poter leggere in filigrana l’interessante dibattito che sta animando le colonne digitali di Barbadillo negli ultimi giorni, a partire dalla provocazione di Franco Cardini. Come spesso, la lucidità filosofica di un viandante dello spirito come Alain De Benoist viene in aiuto:L’immigrazione è un fenomeno padronale. Chi critica il capitalismo approvando l’immigrazione, di cui la classe operaia è la prima vittima, farebbe meglio a tacere. Chi critica l’immigrazione restando muto sul capitalismo, dovrebbe fare altrettanto”. I due fenomeni si tengono, rispondono alla stessa logica e uno è indispensabile all’altro.

De Benoist9371 copiaCompito di chi aspira a essere avanguardia, culturale o politica, è quello di tracciare la direzione: se si rigetta un fenomeno come l’immigrazione indiscriminata che sradica le identità in quanto funzionale all’homo economicus, forgiato da decenni di retorica liberista in economia e post-sessantottina nei costumi, non basta solo assecondare le esigenze elettorali mettendo in moto la ruspa. E nemmeno, a maggior ragione, trincerandosi dietro i cahiers de doléances, lamentosi e in qualche caso persino ridicoli, di una classe dirigente che in qualche caso ha fatto vergognare chi militava a destra. Al di là di uomini e partiti, serve una linea. Una direzione che conduca alla maturazione culturale e politica per evitare di restare schiacciati tra la retorica buonista e forme in certi casi rozze e prive di un’analisi dei fenomeni migratori che tenga insieme identità, sovranità e giustizia sociale. Compito gravoso ma dal quale nessuno può ritenersi esente.

Smontare la bugia propinata per anni secondo la quale gli immigrati fanno “i lavori che gli italiani non vogliono più fare” si può, a patto di tenere insieme la difesa identitaria con le istanze di giustizia sociale: significa, ad esempio, spiegare che gli italiani non vogliono più raccogliere pomodori a tre euro l’ora perché nessuno – né italiano né straniero – dovrebbe essere sfruttato e magari morire asfissiato in un capannone. E la presenza degli immigrati, che già Marx qualificava come “esercito industriale di riserva del capitalismo”, non fa altro che abbattere i diritti sociali dei lavoratori italiani, in una gara folle al ribasso in cui a guadagnarci non sono gli italiani e nemmeno gli immigrati, entrambi sfruttati a diversi gradi d’intensità, ma chi affama i popoli. E ingrassare i tanti “caporali” senza scrupoli e chi, dietro un finto buonismo d’accatto, macina appalti e predica omelie per l’accoglienza mostrando una distanza siderale dall’esigenze degli italiani. Significa anche ricordare che i disperati in arrivo dall’incontrollata Libia possono “invaderci” perché Usa e Francia, per i propri interessi, hanno deciso di eliminare Gheddafi, aprendo la strada al caos libico nell’ignavia, generalizzata, di un’Unione europea che ragiona solo su parametri economici. Stessa guerra, seppur su altri fronti e con altri mezzi, portata avanti tramite le privatizzazioni, che conducono a due risultati: allontanare sempre più, in direzione transnazionale, la gestione di settori strategici delle economie nazionali e indebolire le tutele sociali dei lavoratori dietro lo spettro dei “necessari ridimensionamenti”. Accade in Grecia, come in Italia.

Gli sforzi di singoli e comunità per uscire dal pantano degli ultimi anni non possono essere liquidati con mugugni fuori tempo massimo né esaltati acriticamente. Dovrebbero, per chi crede ancora che la politica non sia solo testimonianza, essere guardati con “simpatia”, nel senso etimologico del termine. Con la consapevolezza, però, che il quadro internazionale ed europeo e “la fine della storia” successiva al 1989 impongono nuove esigenze tattiche e scelte diverse, radicali. A costo di epater les bourgeois, si potrebbe usare un fortunato e provocatorio titolo di un libro di Stenio Solinas per spiegare la necessità, oggi più che mai, di uno scatto in avanti “per farla finita con la destra”: quella liberista, clericale, bigotta, egoista, fallaciana, filo-atlantica. Più che contenitori vecchi o nuovi, potrebbe essere utile buttare a mare certe zavorre che impediscono la navigazione aperta nel mare delle contraddizioni che la realtà sottopone ogni giorno. Se la barra è dritta, i tanti vascelli che navigano controcorrente potranno veleggiare insieme. Ma a patto che la rotta sia chiara.