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Il "Trattato Transatlantico" non ha segreti nell’ultimo saggio del ribelle Alain de Benoist

di Francesco F. Marotta - 07/12/2015

Fonte: Arianna editrice




Il ribelle che Ernst Jünger ha indissolubilmente legato ai cuori di tanti lettori, scalpita ed estende la sua determinazione contro gli automatismi della mondializzazione. Parla, lotta e ragiona, nell'ultimo saggio di Alain de Benoist, "Il Trattato Transatlantico. L'Accordo commerciale USA-UE che condizionerà le nostre vite", illustrandoci le dinamiche del libero scambio, dell'espansionismo di una governance politica ed economica, nominata dalle spire della globalizzazione e dal capitalismo contemporaneo. Condizionando, dall'alto, le scelte e il ruolo dell'Europa continentale.
L’ultimo lavoro del filosofo e scrittore francese, contrariamente alla massiccia pubblicazione di testi sul tema e sui diktat del neoliberalismo progressista, ruota intorno ad una intuizione evidente che ci rimanda a un’osservazione di Carl Schmitt. A quell’evento di tipo psico-socio-antropologico che ha cambiato la nostra società, imposto dai rettorati della Tecnica e dall’occidentalismo liturgico, radicalizzatosi nella fede “altermondista”; riuscendo ad anticipare la scomposizione illimitata della misura del tempo e della capacità, cosciente, del saper distinguere la netta contrapposizione tra due faglie del tutto antitetiche, presenti nell’opera del filosofo e politico tedesco “Land und Meer”: descritte nelle potenze della Terra e in quelle del Mare.
La prefazione a cura di Eduardo Zarelli e il primo capitolo del libro intitolato “Il progetto del grande mercato transatlantico”, approfondiscono in maniera esaustiva tutti i temi di fondo del TTIP. E in particolar modo, sottolineano l’importanza della teoria della scrittrice e filosofa francese Simone Adolphine Weil, quando asseriva che «La perdita del passato è proprio la caduta nella servitù coloniale» . In sostanza, una sorta di esposizione precisa del nichilismo innaturale delle potenze del Mare; dell’Occidente a trazione angloamericana che ha invaso la naturalissima visione d’insieme di un’Europa metafisica ma, in primo luogo, metastorica e concreta.
Aggiungeremmo noi, perdendo incondizionatamente l’assunzione del ruolo preminente che dovrebbe svolgere la Comunità Europea. Condizionata invece, da una mansione che non gli compete e che è diventata quella di difensore dell’arbitrato delle trattative tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti, a favore di questi ultimi. Purtroppo, legittimata dalle rappresentanze politico parlamentari che come negli Stati Uniti, devono rispondere alle deregolamentazioni del mercato, volute dalle lobby legate alle multinazionali che incidono ai vertici dell’ente Transatlantic Business Council (TBC) e dell'organizzazione transnazionale Transatlantic Policy Network (TPN). Fondate nell’ultimo decennio del secolo scorso, per uno scopo ben preciso: uniformare i due più grandi mercati del pianeta.
In questo libro, Alain de Benoist continua il lungo percorso iniziato nel precedente lavoro intitolato Sull’Orlo del Baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, pubblicato sempre da Arianna Editrice. Restituendoci così come sono «la miseria dell’altermondialismo» e «l’Ideologia della Mondializzazione». Ovvero, le due ancelle predilette del capitalismo contemporaneo, sempre più simile in tutto e per tutto ad un Leviatano del caos primigenio che tutto include. Purché, rientri nel grande gioco della sofisticazione del rischio che comporta l’assecondare i nuovi sviluppi economici e mercantili; deterritorializzando il commercio ed aumentando il processo di liquefazione degli spazi e delle frontiere.
È allora opportuno ricordare quanto Alain de Benoist, abbia giustamente, e più volte, fatto presente che tale processo inclusivo, delle regole della liberalizzazione degli investimenti, è un unico soggetto totalizzante che di suo, non ambisce a null’altro se non ad annullare tutti i diritti di dogana su ogni tipo di prodotto. Per rincorrere una logica che è quella del profitto e della capitalizzazione intensiva delle società, senza avvalersi come molti pensano (essendo un insieme che è presente in tutto e dovunque), dell’ausilio di abili «Direttori d’Orchestra». Possiamo dire che è anche, ma non solo, rappresentato dal neoliberalismo americano. E che al contempo, non ha più una territorialità precisa ed una connotazione che deriva dalle tre epoche “classiche”del capitalismo, perché in grado di espandersi e cambiare forma, abbracciando tutti i continenti e le società contemporanee.
Riuscendo così a superare il margine dell’identificazione geografica e dell’atemporalità, estendendosi e contraendosi a seconda dell’utilizzo degli spazi, perfino temporali. Ragione per cui, non segue più determinati schemi perché è in grado di volgere contemporaneamente lo sguardo in avanti, rifacendosi al passato e viceversa. Scegliendo ineluttabilmente come sfondo, la rappresentatività politica e delle imprese transazionali, quali sono la Nestlé, la Siemens, la Microsoft, la Walt Disney, la Coca Cola, la Chevron e tante altre, nella decostruzione di una possibile potenza europea: sempre più disposta a seguire la dottrina delle èlite liberali e alla completa mercé, dell’economia etero diretta e delle deregolamentazioni dei mercati.
Nonostante tutto però, è ancora possibile invertire la rotta. L’Europa che vogliamo, certo non è quella che china la testa davanti ad un partenariato che imporrà ogni tipo di abominio in svariati ambiti. Tanto meno, un insieme di comunità che vogliono uniformare i propri regolamenti a degli standard “geneticamente modificati”, servitici su un piatto d’argento da oltreoceano. La penna e l’animo ribelle di Alain de Benoist, ci indicano il contrario. Almeno che, non abbiamo intenzione di essere parte integrante della generalizzazione speculativa della “libertà” degli uguali, che vuole ridurci ad un ruolo di comprimari in un’esistenza da Globetrotters di un’identità che non si conosce: alla stessa stregua di una réclame che ci indica una sovranità che stona, né più né meno, quanto l’illusorietà di una frase fatta.