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Euskal herria: liberare tutti

di Gianni Sartori - 21/02/2016

Fonte: Arianna editrice

Toccando ferro, è probabile che il 1 marzo (un mese prima di quanto finora previsto) Arnaldo Otegi esca dalle galere spagnole dove è rinchiuso dall'ottobre 2009.

Era stato condannato ad una pena spropositata, anche dal punto di vista della legalità statuale, per “apologia di terrorismo”.

In sostanza:

1) aver partecipato ad una iniziativa a sostegno del prigioniero politico José Maria Sagardui;

2) aver definito il re di Spagna “capo dei torturatori”;

3) aver tentato, secondo l'accusa, di ricostituire l'organizzazione BATASUNA (v. l'operazione Bateragune).

 

DA BILBO....

A sostegno dei prigionieri baschi, il mese scorso (gennaio 2016) si sono tenute alcune grandi manifestazioni, in particolare a Bilbo (Paese basco sotto amministrazione spagnola) e Bayona (Paese basco sotto amministrazione francese, Iparralde): per il rispetto dei diritti fondamentali dei prigionieri, contro la loro dispersione in carceri lontanissime da Euskal Herria, contro la politica carceraria di Madrid e Parigi e contro la legislazione di emergenza. Attualmente la situazione dei prigionieri è peggiorata (e le loro sofferenze aumentate) rispetto a quella del 2011, quando ETA dichiarò la sospensione definitiva della lotta armata.

Si ha come l'impressione che tutto questo non sia frutto di casualità, ma risponda ad un disegno preciso dei governi intenzionati a rallentare, o meglio ancora a bloccare, il processo di soluzione del conflitto.

Al contrario, le manifestazioni del 9 gennaio 2016 hanno mostrato quante componenti della società civile basca siano impegnate nel superare gli ostacoli frapposti al processo stesso. Anche con la richiesta di un terzo Foro Social.

 

Com'era prevedibile, la manifestazione più partecipata è stata quella di Bilbo con oltre 60mila persone.

Indetta da SARE (rete cittadina di sostegno ai prigionieri) e da “iniziativa Bagoaz”, la

manifestazione è stata preceduta da sei furgoni di MIRENTXIN che settimanalmente

aiutano le famiglie dei prigionieri a visitare i loro cari incarcerati a centinaia, talvolta migliaia, di chilometri lontano da Euskal Herria*.

 

Subito dopo marciavano i familiari dei prigionieri gravemente ammalati (per legge dovrebbero essere messi in libertà): Txus Martin, Josetxo Arizkuren, Inaki Etxebarria, Jose Ramon Lopez de Abetxuko, Ibon Fernandez Iradi, Gorka Fraile, Gari Arruarte, Jagoba Codò, Aitzol Gogorza, Lorentxa Gimon, Ibon Iparragirre.

I parenti, tra cui molti bambini, inalberavano cartelli con il volto dei prigionieri e striscioni (immancabile: “EUSKAL PRESOAK ETXERA”).

Seguiva un altro striscione emblematico: “Derechos humanos, resolucion y paz” nelle tre lingue ufficiali del Paese. A reggerlo, l'ex prigioniera Miren Zabaleta, alcuni esponenti della CUP (David Fernandez e Anna Gabriel), il musicista Fermin Muguruza (ex Negu Gorriak), la bertsolari Alaia Martin, l'avvocato Felix Canada, Inaxio Kortabarria, vari esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni (Joseba Azkarraga, Gemma Zabaleta, Inaki Lasagabaster...), altri ex prigionieri politici e la madre di Ibon Iparragire (ancora detenuto nonostante la gravità della sua malattia).

Ma il fatto più significativo era la presenza, al fianco delle persone sopracitate, di una vittima di ETA, Rosa Rodero, vedova del sergente della Ertzaintza (polizia autonoma) Joseba Goikoetxea. Un esempio di possibile “soluzione irlandese” (o forse meglio: “sudafricana”) per Euskal Herria.

 

Nella folla dei manifestanti si riconoscevano poi Txiki Munoz e Ainhoa Etxaide, (segretari generali, rispettivamente, dei sindacati baschi ELA e LAB) e molti esponenti di altre organizzazioni sindacali attive in Euskal Herria (Steilas, ESK, CNT...). Oltre a vari membri di Podemos e di EH Bildu (l'organizzazione della sinistra abertzale).

All'incrocio tra calle Autonomia e Alameda de Rekalde, la manifestazione è stata raggiunta da una nutrita delegazione di internazionalisti sostenitori della causa basca con le bandiere dei rispettivi popoli.

Tra gli slogan più scanditi: “Libertad, libertad, detenidos por luchar”.

A metà percorso è comparso un immenso striscione con la scritta: “EUSKAL PRESOAK EUSKAL HERRIRA”.

Nel suo intervento, Joseba Azkarraga ha ricordato che “si avrà una soluzione del conflitto soltanto quando le conseguenze dello stesso saranno risolte; in primo luogo per le vittime naturalmente, ma anche per i 470 prigionieri di cui quotidianamente vengono violati i diritti”.

In piazza Circular, il Komite Internazionalistak ha denunciato con durezza la politica repressiva dello stato turco contro i curdi e ricordato la condizione dei militanti curdi detenuti. Verso le 19, esponenti di ETXERAT hanno occupato le scalinate dell'Ayuntamiento al grido di “Hator, hator” (unisciti!).

 

 

 

...A BAYONA

Nello stesso giorno, a Bayona (Paese Basco sotto amministrazione francese) una marcia ha riunito circa 8mila persone con la presenza di numerosi esponenti di partiti, movimenti e sindacati.

In particolare, è stata denunciata la situazione di Lorentxa Guimon, detenuta a Rennes e gravemente ammalata. In proposito l'esponente di LAB Jeronimo Prieto ha dichiarato che “lo stato non dovrebbe fare altro che applicare le sue stesse leggi e liberarla”.

Tra i partecipanti, i parlamentari socialisti Fréderique Espagnac, Sylviane Alaux e Colette Capdevielle. Un giudizio positivo sulla manifestazione è stato espresso dalla consigliera regionale Alice Leiciaguecahar (Verts- Europe Ecologie). Presenti anche altri consiglieri regionali come Alain Iriart (sinistra abertzale) e Marie-Christine Aragon (socialista), oltre ai sindaci di Hendaia, Biarritz, Arberatze, Uztaritze, Izura, Baiona. Quest'ultimo, Jean-René Etchegaray, ha dichiarato che “i governi spagnolo e francese sono nell'inerzia totale. Si comportano come se non vedessero, o non volessero vedere, quello che sta accadendo da quattro anni e mezzo a questa parte”.

Il sindaco di Lekorne (e presidente di Biltzar) Lucien Betbeder ha dichiarato di aver partecipato alla marcia sia come persona che come eletto per sostenere il processo di soluzione del conflitto ricordando poi che “è necessario occuparsi della questione della riunificazione (dei prigionieri in E.H. nda) e dell'amnistia e trovare una via d'uscita per questa situazione”.

Oltre a numerosi membri di Bakea Bidea e del Collettivo di Esiliati e Prigionieri Politici Baschi, hanno presenziato all'iniziativa alcuni esponenti di SORTU (Rufi Etxeberria, Xabi Larralde, Maite Ubiria...). Anche loro si sono detti convinti che “affinché il processo possa avanzare, è necessario risolvere la questione dei prigionieri”.

Altre testimonianze significative dalla consigliera municipale Yvette Debardieux (comunista) e dal portavoce nazionale di NPA, Philippe Poutou.

“La mia presenza a questa manifestazione -ha dichiarato l'esponente del Nuovo Partito Anticapitalista- è per esprimere solidarietà al popolo basco e ai suoi militanti prigionieri. Affinché lo stato cambi il suo atteggiamento sulla riunificazione”. Ha poi spiegato di “non essere d'accordo con il principio della indivisibilità dello stato” e di riconoscere il diritto del popolo basco a decidere “inclusa la possibilità dell'indipendenza”.

 

Ma forse la frase che ha suggellato la marcia pro-prigionieri (suscitando ampie ovazioni) è stata quella pronunciata dalla compagna Maialen Arzallus:

“Abbiamo un'arma tra le mani, l'amore del popolo”.

Gianni Sartori

 

 

 

  

*nota  Qualche esempio: Alacant 780 km; Cordoba e Murcia 850 km; Granada 875 km; Clairneaux 945 km; Almeria 1040 km...

 

 

** nota. Ho ripescato questo mio articolo risalente al 2006 che forse è ancora interessante come “precedente”.

 

 

Il leader di Batasuna va in carcere?

In Euskadi a rischio il processo di pace

 

Gianni Sartori  (2006)

 

Ci risiamo. L’“Audiencia Nacional” spagnola (autentica erede del Top, il tribunale speciale dell’epoca franchista) ha condannato nuovamente il leader degli indipendentisti radicali baschi di Batasuna Arnaldo Otegi: 15 mesi di carcere e sette anni di interdizione assoluta per «apologia di terrorismo».

Nel dicembre del 2003 Otegi aveva preso parte ad un atto pubblico in memoria di José Miguel Benaran, più noto come “Argala”, assassinato dalle squadre della morte parastatali. La cerimonia si era svolta nella località di Arrigarriaga a venticinque anni dalle morte del militante basco. Secondo i magistrati, nonostante l’amnistia del 1977, Argala va ancora considerato un terrorista e onorandolo pubblicamente Otegi si è reso responsabile di «esaltazione di attività terroristiche». Argala era rimasto ucciso in un attentato con un’auto-bomba poi rivendicato dal “Batallon Vasco Espanol”, un antenato del Gal, le squadre paramilitari fiancheggiatrici di Madrid. A questo aspetto il documento dell’“Audiencia Nacional” non accenna (parla genericamente di “morte violenta”), così come sembra non tener conto del fatto che Argala aveva aderito a Eta in piena epoca franchista. Secondo le dichiarazioni della polizia spagnola, riportate nella sentenza, Argala avrebbe «fatto parte ininterrottamente di Eta dal 1970 al dicembre 1978» divenendone il «jefe militar supremo». Non si tiene conto del fatto che nel 1977 venne concessa l’amnistia a tutti coloro che avevano lottato contro il regime franchista e che, al momento della morte, Argala non era accusato (tantomeno sotto processo) per alcun delitto.

L’atto politico in memoria di Argala viene celebrato ogni anno con danze tradizionali e deposizione di corone di fiori accompagnate dal suono tradizionale dei corni e della txalaparta. Otegi nel 2003 aveva deposto un garofano rosso davanti al ritratto di Argala e aveva presentato la cosiddetta “Proposta di Bergara” paragonandola a quella di “Txiberta” formulata da Argala nel 1977. Aveva inoltre reso omaggio al suo impegno per l’autodeterminazione di Euskal Herria. Proprio il giorno prima la sinistra “abertzale” aveva presentato a Bergara agli altri partiti baschi una proposta per «partecipare come popolo» alle elezioni spagnole previste per il marzo 2004. Otegi, secondo il Tribunale, avrebbe dichiarato che «Eta appoggerebbe la formazione di una candidatura tra le forze abertzale, perché permetterebbe di voltare la pagina della guerra e aprire la libertà per Euskadi». Inoltre nella sentenza si riporta che l’esponente abertzale avrebbe «espresso molti apprezzamenti nei confronti degli etarras che hanno dato la vita per Euskal Herria con appelli alla lotta armata». Invece, secondo la difesa, Otegi avrebbe parlato soltanto di «lotta contro lo Stato spagnolo» senza usare l’aggettivo «armata». Due versione di una stessa contestata frase che potrebbero costare una ennesima detenzione per il dirigente di Batasuna. L’eventuale nuovo arresto di Arnaldo Otegi dipenderà dal Tribunale Supremo che dovrebbe ratificare la condanna. In questo caso ai quindici mesi si aggiungerebbero anche i dodici dell’anno scorso per «ingiurie al re».

Per dimostrare che la cerimonia in memoria di Argala era un «omaggio» e non un «atto politico», il tribunale ha riportato gli articoli dell’epoca apparsi su El Correo, El Mundo, Deia. Articoli che l’accusato non avrebbe «smentito una volta pubblicati».

Sull’inquietante episodio repressivo sono intervenuti vari esponenti di formazioni politiche. Onintza Lasa di Eusko Alkartasuna (indipendentisti) ha dichiarato che «questa condanna rappresenta un nuovo ostacolo nel processo di pacificazione e normalizzazione politica», auspicando nel contempo la scomparsa dell’Audiencia Nacional. Il partito basco Aralar ha espresso piena solidarietà a Otegi e alla sua formazione politica, mentre la catalana Convergengia i Unió, attraverso il suo segretario generale J.A. Duran i Lleida sostiene che «i giudici, piaccio o meno, non devono valutare la situazione politica, ma solo l’aspetto giuridico dello Stato di Diritto; per tanto è logico che si limitino ad applicare la legge e nient’altro». Anche Ramon Jauregui, portavoce dei socialisti del Psoe nella Commissione Costituzionale, ha giustificato l’operato dei giudici e ha aggiunto che «la condanna di Arnaldo Otegi non dovrebbe danneggiare in nessun modo il processo politico avviato in Euskal Herria».

Da parte sua Batasuna ha rivolto un appello a tutte le parti coinvolte per risolvere questo ennesimo contenzioso tra lo Stato spagnolo e il Paese Basco. Joseba Permach in una conferenza stampa tenutasi venerdì 28 aprile a Donostia (San Sebastian) ha denunciato con forza che «il Governo spagnolo insiste con la sua strategia repressiva» aggiungendo che «è impossibile procedere in un processo di pace contando sulla volontà di una sola parte».

«Dalla dichiarazione di “cessate il fuoco” di Eta sono passate le ore e i giorni -ha detto Permach- ma le notizie che arrivano da Madrid riguardano solo il mantenimento dell’opzione repressiva da parte dello stato».