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La virtù non basta

di Lorenzo Parolin - 30/04/2016

La virtù non basta

Fonte: Arianna editrice

Il mondo è pieno di esseri che agiscono per godere dei frutti delle loro azioni. L’azione interessata è dunque il prototipo dell’azione umana e niente viene fatto se non si intravede una possibilità di profitto immediato, o almeno a medio termine. L’azione interessata implica quindi ogni sorta di progetti per l’accumulo di beni materiali, per il godimento di piaceri o per il dominio sulle persone. Ma le leggi della natura stabiliscono che ad ogni azione interessata segua una reazione che incateni il suo autore alla materia in misura maggiore o minore a seconda dell’“influenza patogena” della quale sia succube:

1 – l’ignoranza è la più pesante, ed è caratterizzata da illusione, confusione, pigrizia e uso di sostanze tossiche;

2 - la passione è di aggressività intermedia, ed è caratterizzata da avidità, grande attaccamento alle cose materiali e desideri incontrollabili;

3 – la virtù è la meno contagiosa, ed è caratterizzata da conoscenza, controllo dei sensi, moralità, serenità, umiltà e moderazione.

Praticare la virtù, dunque, non è ancora garanzia di liberazione. Benché il condizionamento che essa esercita sia blando, nemmeno il virtuoso è esente da incatenamento. Al giovane ricco del Vangelo, che era un virtuoso nell’osservare i Comandamenti, Cristo disse: “Per avere la vita eterna ti manca ancora una cosa: va’, distribuisci quello che hai…poi vieni e seguimi” (Lc. 18,22). Ma quello si fece triste, perché aveva il cuore attaccato ai beni terreni.

Gli uomini che si dedicano alla filantropia, alla beneficenza, alla politica, alla giustizia, alla pace e così via, sono perciò lodevoli solo sul piano umano, ma agendo tutti con un secondo scopo di tipo personale sono soggetti al rinculo dell’arma che adoperano. Per avere reazione zero è necessario agire disinteressatamente rimanendo distaccati dai risultati dell’azione, cioè offrendo i frutti della propria attività al Supremo. Compiendo azioni solo per la Sua gloria, e non per la propria, l’attore si libera dall’incatenamento alla materia e si eleva verso la felicità senza confini.

La virtù non basta; serve il distacco dai frutti delle azioni.

 

 

[rif. www.lorenzoparolin.it L6/17]