La strana sindrome dell'Europa: Il negazionismo di se stessa
di Luigi Tedeschi - 09/05/2016
Fonte: Italicum
Una Europa incapace di superare il proprio tempo storico
Sull'Europa sembra incombere lo stesso destino dell'Impero Ottomano, non a caso definito “il malato d'Europa”.
Infatti, al pari dell'Impero Ottomano, del secolo XIX°, l'Europa è una istituzione già morta. E' una entità tenuta in vita artificialmente, perché la sua sussistenza e la sua unità sono preservate dalle oligarchie finanziarie dominanti e dalle strategie geopolitiche americane. Gli Usa necessitano di un'Europa che si identifichi con la Nato quale base strategica per la loro politica di espansione in Eurasia. La crisi disgregatrice dell'Europa è evidente, la sua crisi è endemica: in Europa si manifesta la fase più acuta di una crisi più vasta che coinvolge l'intero Occidente a guida americana.
La decadenza dell'Europa si inserisce in un processo storico resosi già palese nel '900 con la fine delle potenze coloniali europee e con l'assoggettamento politico e militare agli USA. Ma tale decadenza, non è solo conseguenza del venire meno del primato geopolitico delle potenze europee, ma anche dei valori etici, della cultura, degli equilibri sociali dominanti negli stati europei. L'idea, il sentimento generalizzato di una società decadente è penetrato nelle coscienze di varie generazioni dei popoli europei. L'idea della sovranità nazionale, la coscienza unitaria delle comunità nazionali e il senso dello stato sono valori che sono stati gradatamente oscurati da un individualismo edonistico, consumistico e rinunciatario: la domanda di senso nei popoli è venuta meno. La consapevolezza di una fatale ed ineluttabile decadenza europea non ha tuttavia suscitato nei popoli frustrazione e/o ribellione, ma assuefazione e omologazione all'oggettività dello stato di cose esistente. Le manifestazioni di tale coscienza collettiva di decadenza sono evidenti. I popoli, anziché esigere partecipazione politica e trasformazioni di carattere sociale, hanno preferito delegare a classi politiche asservite agli interessi della UE il confronto politico, così come gli stati hanno delegato larga parte della propria sovranità economica alla UE e la politica estera alla Nato. A questa autoestromissione dalla vita sociale, fa riscontro il consenso nei confronti di una classe politica che preservi il singolo da eventi esterni che possano turbare la effimera sicurezza della sfera individuale, chiusa nella logica gretta dei bisogni materiali e dei desideri indotti dal consumo di massa. La volontà di deresponsabilizzazione dell'individuo, sia a livello individuale che nei rapporti sociali è l'elemento più significativo della attuale condizione esistenziale del singolo e di una società occidentale che vive la sua infinita decadenza. L'epoca della decadenza viene vissuta come un piacevole sentimento di assuefazione ad una vita priva di impegni, in conformità con una società che ha esaurito la propria creatività culturale ed è incapace di elaborare nuovi modelli di trasformazione sociale. L'Europa è incapace di darsi un futuro: vive consumando il proprio capitale etico, politico e culturale, non è in grado di superare il proprio tempo storico: l'eterno presente sta consumando il suo patrimonio storico, la globalizzazione genera il suo dissolvimento.
L'Europa tedesca: la condanna all'eterno immobilismo
La UE ha senz'altro contribuito ad accelerare il processo di decadenza europea. La UE ha infatti imposto una unificazione monetaria ed un modello economico liberista – finanziario che ha prodotto la fine del welfare, povertà diffusa, disoccupazione, crisi del debito. Ma soprattutto, la UE ha determinato un vuoto di sovranità politica facendo venir meno la sovranità degli stati, senza essere essa stessa una entità statuale sovranazionale. Pertanto l'Europa non è uno stato e non ha confini ed è condannata alla impotenza dinanzi a fenomeni epocali quali le migrazioni di massa dal terzo mondo e il terrorismo dell'Isis. Il trattato di Schengen è divenuto una porta girevole, è in vigore, ma ognuno è libero di riconoscerlo o abrogarlo nei fatti dall'oggi al domani.
Tuttavia le emergenze migratorie e il terrorismo, se da una parte accentuano la disgregazione europea, dall'altra non determinano affatto una attenuazione della politica di rigore finanziario, responsabile della crisi senza uscita in cui versa l'Europa.
La Germania vuole imporre un tetto agli acquisti dei titoli del debito pubblico degli stati e vuole pertanto imporre un coefficiente di rischio sul debito degli stati. E' questa la condizione posta dalla Germania per creare l'Unione bancaria europea e costituire un fondo di garanzia unico europeo sui depositi. Ma se tali misure fossero attuale i debiti pubblici degli stati europei (Italia e Francia in primis), sarebbero sottoposte a tensioni speculative incontrollabili, che determinerebbero nuove crisi del debito dagli effetti imprevedibili. Il governo tedesco non vuole una condivisione dei rischi sul debito europeo. La Germania è inoltre assai critica verso la politica della BCE di Draghi, che ha determinato la discesa dei tassi di interesse intorno allo zero, e che quindi avrebbe penalizzato il risparmio dei cittadini tedeschi. Ma se il danno per i tedeschi è stato relativo, dato che i tassi in Germania sono stati sempre assai contenuti, per l'Italia tale discesa dei tassi ha provocato decrementi rilevanti per il reddito dei risparmiatori. La politica espansiva del QE di Draghi ha come obiettivo di combattere la deflazione e, attraverso successive immissioni di liquidità, riportare il tasso di inflazione al livello del 2%. Tale politica è invisa alla Germania, e non certo perché evoca i fantasmi mega inflazionistici di Weimar, ma perché il risparmio tedesco è in larga parte investito in titoli finanziari, che subirebbero rilevanti svalutazioni in caso di rialzi inflazionistici, ma incrementano il loro valore in una fase deflattiva. La deflazione condanna l'economia alla stagnazione / recessione e la crisi è diretta conseguenza dell'immobilismo economico a cui è condannata dalla politica di austerity imposta dalla Germania. L'immobilismo europeo si identifica con il modello economico voluto dal dominio tedesco. Si critica la miopia politica tedesca, si condanna l'egoismo tedesco, quale responsabile della disgregazione europea, ma in realtà la Germania persegue una strategia politica ben precisa: vuole creare una Europa più ristretta, selezionata darwinianamente in base all'osservanza dei parametri del rigore finanziario. Una Europa cioè composta dalla Germania in posizione dominante e dai paesi suoi satelliti. I paesi più deboli sarebbero condannati dal debito ad un sottosviluppo perenne.
Tuttavia la virtuosità tedesca è un mito facilmente confutabile. Nel 2004 la Germania varò una riforma del lavoro che comportò rilevanti violazioni del trattato di Maastricht. La Germania, con la riduzione accentuata del costo del lavoro incrementò la competitività delle proprie imprese e quindi delle esportazioni. Il surplus della bilancia commerciale tedesca determinò i deficit e quindi le crisi del debito degli altri paesi europei, cui fu imposta la politica di austerity. A questi ultimi, con l'adozione della moneta unica, fu preclusa la svalutazione monetaria, che avrebbe riequilibrato i deficit dalle bilancia commerciale nei confronti della Germania. Le violazioni dei trattati europei relativamente all'eccesso di surplus tedesco non sono mai state sanzionate. Oggi, nonostante le misure espansive promosse da Draghi, l'immissione di liquidità non riesce a trasmettersi in misura adeguata all'economia reale, la crescita è evanescente, la deflazione alimenta gli squilibri tra Pil e debito pubblico. Inoltre, la Germania si è dimostrata restia a reinvestire i surplus delle esportazioni per rilanciare la domanda interna, misura che potrebbe favorire la ripresa produttiva per gli altri paesi europei. Il suo sistema bancario è tutt'altro che solido e sconta ancora le conseguenze degli scandali (più o meno occultati), succedutisi a seguito della crisi dei mutui subprime del 2008. Lo scandalo Volkswagen ha minato profondamente la fiducia e il prestigio dell'industria tedesca.
A tempi ravvicinati si verificherà una nuova crisi del debito greco. Il FMI, che insieme alla BCE e alla UE costituisce la troika, esigeva un taglio del debito greco, ma tale proposta è stata respinta da BCE e UE (governate di fatto dalla Germania). Quale condizione per ottenere nuovi prestiti, la troika ha imposto alla Grecia di realizzare un avanzo primario di bilancio pari al 3,5% del Pil fino al 2064, per far scendere il debito greco al di sotto dell'80%. Tali obiettivi, oltre ad imporre ulteriori sacrifici ad un popolo greco già stremato dalla austerity, sono irrealizzabili. Si è potuto conseguire nel 2015 un avanzo primario dello 0,7%. Permangono i dissidi interni alla troika con il FMI, che ha più volte minacciato di recedere. Si profila lo scenario di una crisi al buio, al momento, senza possibili soluzioni. La disgregazione europea è un dato di fatto indubitabile. La crisi rafforza gli egoismi non tanto dei popoli, che ne subiscono le conseguenze, ma semmai delle oligarchie finanziarie dominanti, che vedono accrescere il loro potere.
La strana sindrome dell'Europa: il negazionismo di se stessa
In questo scenario dominato dall'immobilismo, dalla impotenza, dalla decadenza europea, si manifesta la ormai genetica dipendenza dell'Europa dall'Occidente americano. La condizione dell'Europa è quella di un continente soggetto ad un protettorato americano. Le ripetute invocazioni di Obama all'unità europea contro i rischi di una possibile disgregazione, ne sono la prova evidente. Questa Europa, fondata negli anni '50, è un frutto della guerra fredda. Gli USA favorirono l'integrazione europea con la creazione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio e altre successive istituzioni, allo scopo di rafforzare il vecchio continente dinanzi alla minaccia sovietica. La sicurezza europea è stata sempre devoluta alla Nato con istallazioni di basi militari americane in quasi tutti i paesi europei. Con la sola eccezione della Francia di De Gaulle, la politica estera europea è stata sempre conforme alle strategie americane.
Né il trattato di Maastricht, né l'istituzione dell'euro hanno mai mutato tale orientamento filo – americano, che anzi si è rafforzato con l'ingresso nella Nato dei paesi dell'ex blocco sovietico. Oggi gli USA vogliono imporre una Europa unita in funzione anti – Putin. La visione di una Europa sovrana, indipendente dagli USA, si è rivelata una velleitaria illusione culturale.
In occasione del vertice G5 di Hannover, Obama, in spregio della democrazia e della sovranità degli stati, ha condannato duramente la prospettiva di una eventuale Brexit, in conformità con la perdurante criminalizzazione europea dei movimenti populisti ed euroscettici. La Merkel ha peraltro invocato una rapida conclusione del TTIP (Trattato transatlantico), che renderà l'Europa direttamente subalterna economicamente, e quindi politicamente, agli USA. Obama ha infine affermato che “la Merkel è dalla parte giusta della storia”. Affermazione in stile stalinista, che comunque esprime lo stato di palese soggezione volontaria dell'Europa agli Stati Uniti.
L'Europa della UE vive una crisi destabilizzante, e quindi le sue classi dominanti, incapaci di proporre riforme efficaci, prefigurano la sussistenza di una unità europea, solo se imposta dagli USA. Anche nella campagna elettorale per le presidenziali americane, emerge la subalternità europea agli USA: i media europei sponsorizzano la candidatura di Hillary Clinton, in quanto avversi ad una possibile politica isolazionista di Trump. L'Europa invoca quindi la presenza americana a presidio del vecchio continente, rappresentata dall'interventismo di Hillary Clinton, già responsabile delle guerre scaturite dalle primavere arabe da lei sponsorizzate come segretario di stato, oltre che della guerra civile ucraina, perché in caso contrario l'Europa si troverebbe indifesa, smarrita, perduta. L'Europa ha evidentemente paura di sé stessa e della propria sovranità rinnegata. Una singolare sindrome affligge l'Europa: il negazionismo di sé stessa.
Questi scenari suscitano fondati timori per l'avvenire dell'Europa. Ma la eventuale fine di una Europa dominata dalle oligarchie finanziarie, responsabili della decomposizione morale, culturale, sociale ed economica europea, può suscitare ben poche nostalgie. L'Europa vive una crisi sistemica, le cui origini sono individuabili nella sua rinuncia ad essere sé stessa e a rivendicare un proprio ruolo nella storia. L'Europa oggi vive la propria infinita decadenza condividendola con il declino della stessa potenza americana. E' tuttavia evidente che solo dalle crisi degli equilibri esistenti può nascere nuova storia. E le crisi, così come il tempo storico, non sono infinite.