La Russia e il “mondo multipolare”
di Jacques Sapir - 06/06/2016
Fonte: Aurora sito
La Russia si è adattata a ciò che chiamiamo mondo “multipolare”. Ma sembra che la Russia ha tratto, volente o nolente, tutte le conclusioni necessarie alla multi-polarizzazione del mondo, come non è stato nel caso dell’Unione europea. Questo spiega le divergenze tra UE e Russia risalenti prima della lungo “crisi ucraina” e degli eventi drammatici del 2014-2015, al 2003-2005.
Il mondo multipolare è stato per decenni obiettivo della politica estera della Francia gollista e di Mitterrand. Ma non divenne realtà che nei primi anni 2000 con l’ammissione del fallimento di ciò che doveva essere il “secolo americano” [1] e sarà, probabilmente, il secolo cinese. Abbiamo sperimentato l’aborto del secolo della superpotenza statunitense. Non che gli Stati Uniti non siano oggi una grande potenza, in campo militare, economico o culturale. Le varie “teorie” sul crollo degli Stati Uniti che circolano riflettono più illusioni e delusioni degli autori che la realtà. I leader della Russia ne sono ben consapevoli. Ma gli Stati Uniti non hanno più la capacità di agire da “iperpotenza” come alla dissoluzione dell’URSS. Il declino degli Stati Uniti è ormai un dato di fatto. È uno degli elementi del contesto del mondo attuale. Questo è stato analizzato e compreso dai leader della Russia. E su questo punto è sorprendente notare le somiglianze tra politica russa e politica estera gollista. Ma questo fatto sembra essere in gran parte sfuggito ai capi delle istituzioni europee. Oggi è chiaro che, nel mondo, Russia e UE non parlano la stessa lingua.
Le conseguenze della fine dell’iperpotenza
La nozione di iperpotenza ha segnato gli anni ’90 [2] riflettendo l’egemonia degli Stati Uniti evidenziata dalla cosiddetta “prima guerra all’Iraq”, cioè dalle operazioni della coalizione internazionale per costringere Sadam Husayn ad evacuare il Quwayt. Il Generale Lucien Poirier, uno dei padri del pensiero strategico francese moderno, fa uno stupefacente parallelo tra “Guerra del Golfo” e la vittoria di Roma su Cartagine a Zama, “Dopo Zama, i vecchi senatori romani erano riluttanti a riconoscere il destino della città. Il disordine in Grecia era troppo vicino per essere tollerabile, e volenti o nolenti furono costretti ad estendere l’orizzonte aperto dalla vittoria su Cartagine. Erano a bordo. L’impero si affermava. Le analogie storiche sono sempre discutibili. Ma dopo la fine del mondo bipolare con l’incidente della guerra del Golfo, era necessario decodificare il significato del passato e indicare quello del futuro, non si poteva immaginare tale futuro sotto le vesti dell’impero americano… [3]?” Gli Stati Uniti sembravano avere all’inizio dell’ultimo decennio del XX secolo una supremazia totale, militare ed economica, politica e culturale [4]. La potenza statunitense aveva tutte le caratteristiche della “potenza dominante” in grado d’influenzare tutti gli attori direttamente, senza dover usare la forza (il cosiddetto “soft power”) dopo la dimostrazione fornita. Fu soprattutto capace d’imporre la propria egemonia sull’arena della politica internazionale, in particolare imponendo rappresentazioni esplicite e implicite del suo discorso [5]. Il fatto che la coalizione potesse operare con la neutralità passiva o attiva della Russia e della Cina, dimostrò che queste potenze, al momento, riconobbero l’iperpotenza. Ma nel decennio successivo, gli Stati Uniti sperperarono il capitale acquisito ed allo stesso tempo affrontarono l’avanzata della Cina e il ritorno della Russia sulla scena internazionale [6]. La strategia degli Stati Uniti fu toccata in profondità nelle basi economiche, finanziarie, politiche e ideologiche dalla prima crisi finanziaria del mondo globalizzato, quella del 1997-1999, e dalla crisi del 2007-2009, da cui inoltre il mondo non è ancora uscito. L’esposizione dei limiti della potenza degli Stati Uniti e l’emergere (o riemergere) degli attori concorrenti (Cina e Russia) furono un chiaro shock indotto da questi eventi. La crisi del 1997-1998 ha portato molti Paesi a cambiare strategia economica e ad adottare politiche commerciali molto aggressive, la cui attuazione fa sì che oggi vi sia un indebolimento generale dell’economia globale. La parte invisibile potrebbe essere stata ancora più grande. Il discorso neoliberista viene brutalmente svalutato nelle rappresentazioni popolari come anche nei circoli responsabili del Fondo monetario internazionale [7]. Se concetti come politica economica nazionale, politica industriale, regolazione dei flussi finanziari internazionali o protezionismo tornano ad essere legittimi, e mentre si amplifica l’importanza del concetto di de-globalizzazione [8], lo si deve soprattutto a questa crisi e al dibattito che ha provocato. Ma l’inizio del declino degli Stati Uniti fu accompagnato dalla radicalizzazione della loro politica. Tale altalena ha favorito l’accesso al potere dei cosiddetti “neoconservatori” o neocon, la cui politica fu costruita su una serie di scorciatoie ideologiche [9], andando all’opposto di ciò che doveva essere la potenza dell’iperpotenza, comportando i disastri politici, diplomatici e militari visti in Iraq e Afghanistan (e le cui conseguenze non sono finite dato il cosiddetto “Stato islamico” nato da tali fallimenti) e ora in Libia e Siria. Questi disastri hanno già avuto effetto. Senza la svolta politica statunitense e relativo fallimento, difficilmente i legami tra Russia, Cina e Paesi dell’Asia centrale si sarebbero cristallizzati nell’Organizzazione di Sicurezza di Shanghai, prima organizzazione per la sicurezza internazionale post-guerra fredda. Certamente non si sarebbe sviluppato nel modo attuale nel triangolo Cina, India e Russia, ma la concorrenza tra queste tre potenze (soprattutto in Africa) non esclude una vera cooperazione strategica.
La scelta della Russia
La Russia ha anche fatto una scelta ragionata, e si potrebbe dire anche che ragionevolmente se voltata verso l’Asia. Questa scelta è importante e segna una rottura significativa nella politica estera russa dal 1750. La Russia si definisce potenza europea, ma questa scelta non ha da priorità esclusiva all’Europa e più in generale all’Atlantico. Questa scelta è di fondamentale importanza, sia in economia, vedendo l’Europa sprofondare nella stagnazione e nella crisi, ma anche in politica. Questa scelta è la manifestazione della multipolarità mondiale. In questa situazione, constatiamo l’Unione europea ancora più invischiata nella quotidianità senza prospettiva del problema dei rifugiati e dei migranti. I Paesi pilastri dell’Unione Europea affrontarono un’altra crisi dei rifugiati, poi chiamata degli “sfollati”, dal 1945 al 1950, mentre erano in condizioni economiche molto peggiori, dove la ricostruzione nel dopoguerra era tutt’altro che finita, che non oggi. Può quindi sembrare strano che questi Paesi incommensurabilmente più ricchi che nel dopoguerra non sappiano gestire tale crisi. In effetti, i Paesi dell’Unione europea oscillano tra accordi a breve termine, simili più alla reazione al ricatto di un’altra potenza (la Turchia) e rinnegare le regole che sostengono di rispettare (come l’accordo di Schengen). La questione della distribuzione dei profughi nell’Unione europea ha sollevato enormi difficoltà, non ancora risolte. La crisi dei rifugiati è il simbolo: dimostra che la costruzione europea si è esaurita ed è ora d’ostacolo alla reattività dei Paesi che compongono l’Unione. La Gran Bretagna potrebbe, nel giugno 2016, trarne le conseguenze votando la “Brexit”. L’Unione europea non ha saputo capire il mondo multipolare e, di conseguenza, esce dalla storia.
Cosa significa la multi-polarizzazione del mondo?
Un mondo multipolare richiede regole accette a tutti i partecipanti, ma senza sfidare la sovranità degli Stati. E ciò per una molto semplice e buona ragione: il diritto internazionale è necessario ed è per sua natura una legge di coordinamento. Ciò significa che una decisione può essere presa solo all’unanimità dai partecipanti. Naturalmente, tale situazione può consentire a uno dei partecipanti di “bloccare” una decisione, se ritiene che causi un drammatico danno ai propri interessi vitali. Ma è proprio questo sistema dell’unanimità che garantisce ad ogni Stato che i suoi interessi vitali siano rispettati. Dobbiamo quindi tornare ai principi anche del diritto internazionale. La tesi della “globalizzazione” dell’economia, e più in generale, dell’emergere dei problemi globali è stata spesso citata per giustificare la riduzione dei poteri degli Stati a favore di quelli delle organizzazioni sovranazionali e del progressivo abbandono della sovranità. Vi sono varie confusioni. Come dimostrato da Simone Goyard-Fabre, il fatto che l’esercizio della sovranità possa essere tecnicamente difficile, ad esempio per ragioni di complessità, non influisce sulla natura della sovranità: “che l’esercizio della sovranità non può svolgersi solo attraverso organi differenziati, competenze specifiche e lavorando indipendentemente non implica per nulla la natura del potere sovrano dello Stato. Il pluralismo organico (…) non divide essenza o forma dello Stato, la sovranità è indivisibile [10]”. Un tentativo di non riconoscere l’adeguatezza della sovranità, tuttavia, fu cercato dall’autore ungherese Andras Jakab. La sua critica alla sovranità è completamente convergente col discorso pronunciato dall’Unione europea [11]. Jakab si basa sugli abusi commessi in nome del principio della sovranità per criticare il principio stesso. Ma può darsi che l’abuso dimostri l’incompletezza del principio, non la sua attuazione. Verrebbe in mente ai contemporanei distruggere le ferrovie perché furono usate dai nazisti nel genocidio di ebrei e zingari? Ora, questa è la parte inferiore del ragionamento Jakab che procede poi giustificando il primato del legalismo a scapito della legittimità. Ma tale visione potrebbe anche giustificare abusi drammatici, come dimostra David Dyzenhaus. Nel suo libro, La Costituzione della legge, si profonde in una critica feroce, attaccando ciò che definiva positivismo giuridico. Questa recensione è essenziale, aiutando a capire come l’ossessione sul dominio della legge (cioè la legalità formale) e la fedeltà al testo (in una costituzione come in un trattato internazionale), spesso vada a vantaggio di qualsiasi politica governativa. David Dyzenhaus evoca le perversioni del sistema giuridico dell’apartheid [12] dicendo che tale giurisprudenza umiliante badava meno alle credenze razziste dei giudici sudafricani che al loro “positivismo” [13]. Questo è il motivo per cui la sovranità resta fondamentale nel mondo moderno. Essa e solo essa definisce la legittimità senza cui il principio di legalità sarebbe solo la maschera delle peggiori tirannie. Questo è anche il motivo per cui, e va ricordato, il diritto internazionale è necessariamente un diritto di coordinamento, non di subordinazione [14], come Putin ricorda nel discorso a Monaco di Baviera. Ancor più fondamentalmente, l’idea di opporre la sovranità delle norme legali dei trattati internazionali alla sovranità democratica degli Stati indica una profonda ignoranza delle origini del concetto di sovranità [15]. In realtà, tale odio per la sovranità nazionale, tale costante tentativo di sciogliere il principio di sovranità, caratterizza l’Unione europea. Ciò potrebbe far nascere un’altra nazione. E, se così fosse, allora si potrebbe capire, ma non necessariamente approvare il progetto. Ma non è nemmeno così. Affermando definitivamente che l’Unione europea è un progetto “sui generis” [16], i capi europei si esonerano da qualsiasi controllo democratico, volendo in questo modo eliminare la possibilità della contestazione alla loro legittimità. In realtà seppelliscono il principio della sovranità nazionale, ma senza sostituirla con un altro principio. Una conclusione che si può trarre, nel campo delle rappresentazioni, è che l’aborto del “secolo americano” deriva forse dal naufragio dei tentativi del pensiero politico “postmoderno” sviluppatosi in Europa negli anni ’90, in particolare sul progetto di trattato costituzionale [17]. Si comprende tutto ciò che oppone la Russia all’Unione Europea, avventuratasi nel vicolo cieco del cosiddetto pensiero postmoderno che qui, come altrove, è stato un fallimento [18].
Il concetto russo di “democrazia sovrana”
Di fronte al processo di costituzione del mondo multipolare, i leader della Russia hanno formulato il concetto di “democrazia sovrana”. Quest’ultima va oltre l’uso strumentale di cui potrebbe essere oggetto. Dal discorso di Monaco di Baviera del 2007, e da allora più volte, Vladimir Putin ha riconosciuto che non vi può essere organizzazione della comunità delle nazioni senza alcun rispetto per la sovranità di ciascuna di esse. Ha anche riconosciuto che non ci potrebbe essere legalità (diritto internazionale) senza legittimità, e che non può essere costruito un universo, strutturato tra contrastanti interessi e valori multipli, se non sulla base della sovranità [19]. Questo approccio politico internazionale è coerente con la definizione data nel 2006 e 2007 dal primo vicecapo dell’amministrazione presidenziale russa, Vjacheslav Surkov, del concetto di “democrazia sovrana” [20]. Si può considerare che tale concetto, che giustifica alcune restrizioni al funzionamento delle organizzazioni straniere, sia puramente strumentale. Se usato in questo senso è certo. Ma non mette in discussione questa nozione. Il quadro politico in Russia è tale che la leadership russa non deve produrre un concetto per giustificare misure restrittive, che siano giustificate o meno. Poteva adottare misure per controllare o limitare le attività di ONG e movimenti politici senza provvedere a una costruzione teorica. Non è necessario che tali misure siano ampiamente accettate oggi dalla popolazione russa. Se l’uso strumentale del concetto di “democrazia sovrana” non va quindi esclusa, sarebbe pericoloso ridurla a quest’ultimo. La tendenza della maggior parte degli osservatori nel vedere in questo concetto un semplice edificio ad hoc per giustificare misure repressive è sbagliato. Siamo in presenza di un approccio originale nel pensare al rapporto tra democrazia e sovranità nel contesto “post-imperiale” russo, ma anche mondiale dopo il fallimento del piano egemonico degli Stati Uniti. L’adesione al concetto di Andrej Kokoshin, uno dei pensatori delle Relazioni Internazionali dell’URSS di Gorbaciov, è anche molto significativa [21]. Dopo gli scambi nell’estate 2006, le tesi di Surkov progressivamente acquisirono notevole importanza, ispirando finora parte del discorso del “partito del presidente”, Russia Unita, alle elezioni parlamentari del dicembre 2007. Surkov, per costruire la sua argomentazione si basa su una citazione di Ernesto “Che” Guevara che distingue i Paesi veramente sovrani da quelli che ne hanno l’aspetto ma la cui politica è in realtà nelle mani delle multinazionali. Così, il concetto di “democrazia sovrana” non solo richiede il controllo sulle organizzazioni controllate dall’estero presenti nella politica russa, ma anche sulle imprese la cui attività economica ha un impatto diretto sul contesto dell’esecuzione o pianificazione delle scelte politiche. Come argomenta, Surkov implementa una questione di rilevanza sulle forme giuridiche e legali nei contesti socio-economici contrassegnati da forte asimmetria nella distribuzione della ricchezza e del potere economico. Tale problema, nel mondo segnato, tramite l’ondata neoliberista di fine ventesimo secolo, dall’esplosione di tali asimmetrie (sappiamo tutti del dibattito negli Stati Uniti e in Europa sull'”1%” più ricco della popolazione) è senza dubbio rilevante. Il concetto di democrazia sovrana contiene anche un riferimento esplicito a Franklin Delano Roosevelt, il cui 125° anniversario fu occasione di un importante incontro politico a Mosca, l’8 febbraio 2007 [22]. Surkov non è il primo in Russia a credere che Roosevelt, l’uomo del New Deal e del controllo sulla grande industria nel 1941 – 1945 sia l’esempio del “capitalismo civilizzato” [23]. Putin fece riferimento diretto a Roosevelt e al suo conflitto con la Corte Suprema sulla normativa del New Deal, nel messaggio alla Duma del 10 maggio 2006. Evgenij Primakov, la cui azione dal settembre 1998 alla primavera 1999 fu senza dubbio alla base della rinascita russa, spesso citava Roosevelt come esempio [24]. L’intervento di VJ Surkov al 125° anniversario della nascita di Roosevelt definisce il concetto di “democrazia sovrana”. Il legame tra sovranità e democrazia è tanto interno (“oligarchia e burocrazia non devono separare i poteri dal popolo e alienare quest’ultimo” e “non c’è vera libertà per i poveri”) che esterno (“le relazioni internazionali non dovrebbero essere guidate da multinazionali e aggressività”). Il concetto di sovranità non è costruito solo in opposizione alle interferenze straniere, ma anche in opposizione alla capacità di certe forze sociali interne di svuotare l’esercizio della democrazia del suo contenuto. Interpretato in questo contesto, il concetto di sovranità nel mero contesto delle relazioni dello Stato-nazione con altri attori nelle relazioni internazionali è chiaramente un errore e un malinteso. La sovranità, secondo Surkov si riferisce all’esercizio effettivo dal popolo del proprio potere politico, oltre al semplice rispetto di norme e procedure. Qualunque sia stata l’evoluzione successiva del personaggio, il suo nome resterà legato al momento in cui ha saputo far rivivere in Russia il concetto di democrazia e sovranità.
L’attuazione della democrazia sovrana
Colpisce il fatto che la costruzione del concetto di democrazia sovrana avvenga negli anni che hanno visto il mondo multipolare diventare una realtà. Ma è anche molto simbolico che questo concetto sia emerso in Russia. Il concetto è in realtà nato dal pensiero politico europeo del XVI secolo. Molto fedele nello spirito all’opera di Jean Bodin, di cui si dice, in un’opera recente [25], come il pensiero sia stato fondamentale per il mondo moderno. Si poteva, e in un certo senso avrebbe dovuto essere prodotto in Francia o in Europa. Ma l’Europa si è esaurita oggi. Si arrende alle perverse delizie della servitù volontaria, sia come Unione europea, nel rapporto con gli Stati Uniti, che come singoli Paesi membri dell’Unione europea. Il successo delle idee dei neoconservatori in Francia, anche se la loro tossicità ed incapacità di spiegare la complessità delle relazioni internazionali sono dimostrate, è sintomatico del rapporto coloniale che certe frazioni delle nostre élite hanno con gli Stati Uniti. In realtà, tale sottomissione all’élite politica degli Stati Uniti si manifesta in molti modi, sia che si tratti delle relazioni con la Russia o della firma del disastroso trattato di libero commercio noto come TTIP. E la tragedia di tale situazione è che le élite, in particolare in Francia, hanno ceduto all’influenza degli Stati Uniti nel momento storico in cui il vecchio sogno gollista di un mondo realmente multipolare diventa realtà. La Russia, a questo punto, si rivela il vero erede al progetto gollista. Le élite, che siano nel quadro francese o dell’Unione europea, sono ora completamente screditate e prive di ogni legittimità. E’ tempo di sbarazzarsene. Come dice Thomas Bottomore [26], la storia è il cimitero delle élite!Note
[1] Sapir J. Il nuovo XXI secolo, Parigi, Seuil, 2008.
[2] Richardot, P. Gli Stati Uniti superpotenza militare all’alba del XXI secolo. Economica, 2005. Collezione: Alti Studi Strategici (ISC).
[3] .Lucien Poirier, “La guerra del Golfo nella genealogia della strategia” Strategico, n° 51/52, 3° e 4° trimestre 1991, pp. 69-70.
[4] Védrine H., “Stati Uniti: superpotenza o impero?” in Cités, 2004/4 (n° 20), pp. 139-151.
[5] Robert A. Dahl, “Il concetto di potere”, Behavioral Science, vol. 2, No. 3, 1957, pp. 201-215.
[6] Védrine H., “Ciò che resta della superpotenza?” Géoéconomie, agosto-settembre-ottobre 2013.
[7] Ostry JD, Loungani P. e Furceri D., “Neoliberalismo: ipervenduto?”, Finance&Development giugno 2016, vol. 53, No. 2.
[8] Sapir J., De-globalizzazione, Parigi, Seuil, 2010; Kerdrel, Y., “E ora la de-globalizzazione“, Le Figaro, 27 maggio 2016
[9] Vedasi F. Fukuyama, Dopo i neocon. L’America al bivio, New Haven, Connecticut, Yale University Press, 2006. trad. fr. Denis-Armand Canal, Dove sono i neoconservatori?, Parigi, Grasset, 2006.
[10] Goyard-Fabre S., “C’è la crisi di sovranità?”, International Journal of Philosophy, vol. 45, No. 4, 1991, pp. 459-498, qui pp. 480-481.
[11] Jakab A., “La neutralizzazione della questione della sovranità. Strategie del compromesso nell’argomentazione costituzionale sul concetto di sovranità nell’integrazione europea“, in Jus Politicum, 1, p.4
[12] Dyzenhaus D. “Gli ostici casi degli ordinamenti giuridici errati. La legge del Sud Africa nella prospettiva della filosofia del diritto”, Oxford, Clarendon Press, 1991.
[13] Dyzenhaus D., “La Costituzione della legge. Legalità nel momento dell’emergenza”, Cambridge University Press, Londra-New York, 2006.
[14] Dupuy, René-Jean, Diritto Internazionale, Parigi, PUF 1963.
[15] Vedi J. Sapir, “L’ordine democratico e paradossi del liberalismo”, Modern Times, No. 610, settembre-novembre 2000, pp. 309-331.
[16] Manuel Barroso, Discorso del Presidente Barroso: “Europa globale dall’Atlantico al Pacifico”, Discorso 14/352, pronunciato alla Stanford University il 1 maggio 2014
[17] Vedi N. Wenzel, “Funziona in pratica, l’utile funzionerà in teoria? Verso un programma di ricerca sulle emergenze della cultura costituzionale nell’ordine costituzionale “, George Mason University, testo del 2003.
[18] Vedi Barre, JF., “Decostruzione” del “postmodernismo”, L’homme 1999, Volume 39, Numero 151 pp. 267-276; vedi anche Godelier M. Scienze sociali e antropologia, Parigi, CNRS Editions, 2011.
[19] Il punto che ho personalmente sviluppato in “L’ordine democratico e paradossi del liberalismo”, art. cit.
[20] Posizioni e argomenti di Vjacheslav Surkov sono disponibili sul sito del partito “Unità della Russia“.
[21] Vedi A. Kokoshin, “Sovranità reale e democrazia sovrana”, la Russia in Global Affairs, n° 4, 2006, ottobre-dicembre. Il testo è stato pubblicato in russo come opuscolo: Andrej Kokoshin, Suverenitet, Mosca, Evropa Publishers, 2006.
[22] Quest’incontro si ebbe all’Istituto di Relazioni Internazionali, in presenza di William J. Burns, ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, e di molti storici ed economisti. L’intervento di Vjacheslav Surkov è disponibile qui.
[23] In un articolo pubblicato 6 febbraio 2007 su Krasnaja Zvezda, l’accademico Andrej Kokoshin sottolinea anche i meriti di Roosevelt nel conflitto con il grande business nel quadro del New Deal.
[24] L’autore ha avuto l’opportunità in diverse occasioni di discutere di questi problemi con Primakov dal 1999. L’ultimo intervento pubblico di Eevgenij Primakov su questo tema fu una lunga intervista con la NTV il 28 gennaio 2007.
[25] Sapir J., Sovranità, Democrazia, Laicità, Parigi, Michalon 2016.
[26] Bottomore T., Elites e Società, Londra, Watts 1964Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora