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Afghanistan, un anno dopo le elezioni, la guerra è ricominciata, peggio che nel 2001

di Enrico Piovesana - 19/09/2006

La guerra è ricominciata, peggio che nel 2001. “E durerà anni”, ammette il comandante di Isaf
Elezioni del 18 settembre 2005Un anno fa, il 18 settembre 2005, veniva eletto il primo parlamento afgano del dopoguerra. Per gli Stati Uniti era la prova del successo della strategia di Washington in Afghanistan, la dimostrazione che la democrazia e la pace si possono imporre con le bombe e l’occupazione militare. Il voto come panacea di tutti i mali. Poco importava che il voto fosse stato caratterizzato da brogli e irregolarità di ogni genere, che gli eletti fossero in maggioranza signori della guerra votati per denaro o per paura, che la ricostruzione del Paese fosse completamente fallita, che la produzione di oppio fosse tornata a livelli record e che i talebani si stessero riorganizzando nel sud del Paese, completamente fuori dal controllo del governo di carta di Hamid Karzai. All’amministrazione Bush serviva un risultato eclatante per poter dire al mondo, e ai suoi elettori, “missione compiuta” e giustificare così il disimpegno militare Usa da un fronte, quello afgano, che era sul punto di esplodere, di trasformarsi in un nuovo – politicamente insostenibile – Iraq. Le elezioni di un anno fa erano il trofeo perfetto da esibire a tutti.
 
Sassaiola contro truppe UsaDisimpegno Usa e intervento Nato. Finito il teatrino elettorale, Washington ha annunciato il ritiro di buona parte delle sue truppe proprio da quel sud del paese dove si stavano addensando i nuvoloni neri della resistenza talebana. La patata bollente veniva lasciata nelle mani degli alleati della Nato, fermamente sollecitati a inviare migliaia di soldati per prendere il controllo delle province meridionali. Sapendo bene a cosa sarebbero andati incontro, i paesi dell’alleanza hanno nicchiato. Solo i “fedelissimi” britannici e canadesi hanno subito risposto alla chiamata alle armi, accettando di spartirsi le due province più pericolose: Kandahar e Helmand. Il passaggio ufficiale delle consegne venne fissato per il 1° agosto 2006, giorno in cui il comando delle operazioni nel sud dell’Afghanistan sarebbe passato dalla missione Usa “Enduring Freedom” alla missione Nato Isaf, che così si trasformava da missione di pace a missione di guerra al terrorismo. Una metamorfosi che ha suscitato accesi dibattiti in tutti i paesi Nato, tranne in Italia, all’epoca in preda alla campagna elettorale.
 
Truppe Usa in AfghanistanOperazione “Avanzata Montana”. Con l’arrivo della primavera, migliaia di truppe britanniche e canadesi sono iniziate ad affluire nel sud afgano. Il “benvenuto” dei talebani non si è fatto attendere e la loro preannunciata offensiva nel sud è iniziata in aprile, con un’intensità che ha spaventato gli Stati Maggiori della Nato, ancora alle prese con il cosiddetto “irrobustimento” delle regole d’ingaggio che la missione Isaf, vista la sua nuova natura, avrebbe dovuto avere. Il Pentagono – già impegnato nell’est con l’operazione “Leone di Montagna” – in maggio ha avviato nel sud una massiccia campagna di bombardamenti aerei e in giugno ha sferrato la più massiccia operazione bellica dal 2001: l’operazione “Mountain Thrust”, Avanzata Montana, che ha visto impegnati, accanto a 2.300 soldati Usa, 3.300 militari britannici e 2.200 canadesi (oltre a 3.500 soldati afgani), armati di artiglieria pesante, mezzi corazzati e caccia-bombardieri.
 
Talebani ovunqueOperazione “Medusa”. Alla scadenza del 1° agosto, dopo oltre un mese di feroci battaglie e bombardamenti aerei sulle roccaforti talebane del sud, la resistenza talebana sembrava ancora più forte di prima. I comandi Usa sostenevano di aver ucciso almeno 1.100 combattenti, ma nella realtà gran parte di questi erano civili morti sotto le bombe. Il risentimento popolare suscitato da questi fatti ha aumentato il sostegno ai talebani e ingrossato le loro fila. Gli attacchi contro le truppe Isaf sono infatti proseguiti a ritmo serrato per tutto agosto. E alla fine del mese è ripresa l’offensiva alleata sotto il nuovo comando Nato: l’operazione “Medusa”, condotta dalle truppe Isaf britanniche, canadesi e statunitensi.
Seguendo l’esempio dell’aviazione israeliana in Libano, le forze Isaf hanno lanciato migliaia di volantini sui villaggi dei distretti di Panjwayi e Zhari, nel deserto a ovest di Kandahar, invitando i civili ad evacuare la zona e affermando che chiunque fosse rimasto sarebbe stato considerato un combattente. Migliaia di famiglie si sono affrettate a lasciare le proprie case, accampandosi alla periferia di Kandahar: sfollati senza nessun tipo di assistenza umanitaria. Molti hanno fatto in tempo a scappare (85 mila i profughi fuggiti a Kandahar e Lashkargah). Molti altri no.
In due settimane di scontri e bombardamenti aerei (con bombe da 500 libre) si sono contati più di 500 morti: tutti talebani secondo la Nato, in gran parte civili secondo talebani e fonti locali. Autorità governative locali, ufficiali di polizia e fonti mediche del posto hanno riferito numerosi casi di massacri di civili.
 
Il sud in guerraOperazione “Furia Montana”. Sabato scorso, il comando Isaf ha annunciato la conclusione dell’operazione “Medusa”. “L’operazione è stata un successo – ha dichiarato il generale canadese David Fraser – perché abbiamo eliminato la presenza dei talebani da questi distretti, riportando la sicurezza nella seconda città del paese, Kandahar”.
Due giorni dopo, 4 soldati canadesi sono morti a Kandahar in un attentato suicida.
Domenica, il comando Usa – ancora in carico per le operazioni nell’est del paese – ha annunciato l’inizio dell’operazione “Furia Montana”, un’altra imponente offensiva militare (3.000 soldati Usa e 4.000 soldati afgani) nelle province meridionali di Khost, Paktia, Paktika e Ghazni: le uniche rimaste finora immuni dalle offensive della Coalizione.
Lunedì, il comandante della missione Isaf, il generale britannico David Richards, ha detto che per vincere la guerra contro i talebani ci vorranno altri tre anni, forse cinque.
E quanti altri morti?