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L’inossidabile “Saudi Connection” americana

di Alberto Negri - 18/06/2016

L’inossidabile “Saudi Connection” americana

Fonte: ilsole24ore

C’è chi ha parlato di sindrome d’abbandono, chi di tradimento: l’ira saudita per la politica americana dopo la firma nel luglio scorso dell’accordo sul nucleare con l’Iran, eterno rivale nel Golfo e in Medio Oriente, è apparsa in questi mesi incontenibile, al punto da far decapitare insieme da altri 40 oppositori, l’iman sciita Al Nimr. Un’ira funesta, infiammata anche da quanto avviene nella Siria di Assad, sostenuto da Teheran e Mosca, dove i sauditi avrebbero voluto che gli Stati Uniti facessero fuori Bashar. Uno scacco al quale si aggiunge l’insuccesso in Yemen, conflitto nel cortile di casa contro gli Houthi filo-iraniani che costa alle casse di Riad 200 milioni di dollari al giorno.
Lo scontro Iran-Arabia Saudita, in cui è entrato anche il pellegrinaggio alla Mecca, è una rivalità di potenza per il controllo del Golfo ma è anche un duello ideologico-religioso per l’influenza nel mondo musulmano. E oggi nella guerra al jihadismo non sono certo i sauditi in prima linea, sempre sospettati di finanziare i radicali islamici secondo i dettami del credo wahabita, versione retrograda del sunnismo, e di una spericolata diplomazia religiosa, spesso sfruttata o giustificata da Washington a seconda degli interessi che legano l’Occidente al più grande dispensatore di petrodollari. Ma visti da Washington questi sono dettagli da superare.
Per farsi perdonare l’accordo con gli ayatollah sciiti e le esitazioni in Siria, rimproverate anche da una parte dell’establishment diplomatico, il presidente Barack Obama ha ricevuto con tutti gli onori l’uomo forte di Riad, il principe Mohammed bin Salman, 30 anni, vice-erede al trono, figlio prediletto dell’anziano e cagionevole re Salman, ministro della Difesa e architetto della riforma economica saudita “Vision 2030”, un piano ambizioso incentrato sulla progressiva riduzione della dipendenza dal petrolio che prevede la cessione anche di quote dell’Aramco, l’azienda petrolifera di stato, e il collocamento sul mercato di miliardi di dollari in bond sauditi. La crisi delle quotazioni del greggio, voluta per altro da Riad con la sovrapproduzione, e i dati sociali e politici di un Paese con il 70% della popolazione sotto i 30 anni e un 30% di disoccupati, preoccupano gli Stati Uniti: per quanto oscurantista la monarchia saudita deve essere salvata dalla destabilizzazione mediorientale. Fa parte del patto stretto nel 1945 a bordo dell’incrociatore Quincey tra Roosevelt e il re Abdulaziz: sicurezza contro petrolio.
L’aspetto forse più interessante della visita del principe è notare come Washington e Riad si influenzino a vicenda. Salman ha incontrato tutti i vertici Usa, dal direttore della Cia, al segretario di Stato John Kerry, al ministro del Tesoro, Jack Lew, come se gli Stati Uniti volessero indicare che hanno nel regno un nuovo cavallo su cui puntare, un principe giovane, dinamico che potrebbe scalare in classifica l’erede designato Mohammed bin Nayef.
Ma se gli Usa sono “grandi elettori” del principe, i sauditi non sono da meno a Washington. Per non urtare la sensibilità di Riad il capo della Cia John Brennan si è fatto intervistare dalla tv saudita Al Arabiya per smentire categoricamente il coinvolgimento di Riad negli attentati di Al Qaeda dell’11 settembre 2001. Un passo compiuto mentre le indiscrezioni trapelate sino a oggi indicavano l’esatto contrario. La vicenda aveva fatto infuriare la monarchia al punto da spingerla a minacciare il ritiro degli investimenti in Usa.
Non si trattano così gli amici, hanno detto i sauditi mentre il principe Mohammed bin Salman faceva sapere all’agenzia giordana Petra che Riad sostiene il 20% dei costi della campagna di Hillary Clinton. E lo stesso segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha ceduto alle pressioni rimuovendo Riad dalla lista nera dei gruppi che violano i diritti dei bambini nel conflitto in Yemen. La petro-monarchia aveva minacciato di tagliare i fondi alle Nazioni Unite.
La “Saudi Connection”, nonostante le frizioni con l’amministrazione Obama, continua a funzionare: in 5 anni i sauditi hanno acquistato dagli Usa 100 miliardi di dollari di armi e Riad detiene circa 750 miliardi in buoni del Tesoro americani. I sauditi sono amici esigenti ma con ottimi argomenti.