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Il colpo di stato in Turchia mette i bastoni fra le ruote al piano “Pivot” dello Zio Sam

di Mike Whitney - 24/07/2016

Il colpo di stato in Turchia mette i bastoni fra le ruote al piano “Pivot” dello Zio Sam

Fonte: SakerItalia

Un fallito colpo di stato in Turchia ha cambiato da un giorno all’altro il panorama geopolitico, riallineando Ankara con Mosca e mandando in frantumi il piano di Washington per ridisegnare la mappa del Medio Oriente. Se poi l’uomo forte turco Recep Tayyip Erdogan abbia o no pianificato lui stesso il golpe è di scarsa importanza nello schema complessivo degli eventi. Il fatto è che l’incidente ha consolidato il suo potere all’interno e allo stesso tempo ha mandato all’aria i piani di Washington per il controllo delle risorse strategiche e dei corridoi per i gasdotti fra Qatar ed Europa. L’indifferenza dell’amministrazione Obama per le aspettative di sicurezza nazionale dei propri alleati ha spinto il Presidente turco dalla parte di Mosca, facendo venire meno quell’importantissimo ponte fra Europa ed Asia di cui Washington ha un disperato bisogno per mantenere la sua egemonia globale per tutto il nuovo secolo. Il piano di Washington di far perno sull’Asia, circondare e smembrare la Russia, controllare la crescita della Cina e mantenere il controllo del mondo in una stretta ferrea, è ora ridotti in pezzi. Gli eventi degli ultimi giorni hanno cambiato tutto.

Questo è dal Daily Sahbah:

“Il cambio di retorica della Turchia nei confronti della Russia è anche una diretta conseguenza delle aspettative insoddisfatte di Ankara nei riguardi del conflitto siriano. La delusione della Turchia verso la politica statunitense in Siria è andata aumentando man mano che passava il tempo, considerando sopratutto il continuo sostegno di Washington in Siria ai guerriglieri curdi delle Unità di Protezione Popolare (YPG). Ankara considera questo gruppo un affiliato dell’organizzazione terroristica, nota come Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). (Daily Sabah, 12 giugno).
(A Change in Turkish-Russian Relations: What Sort of Rapprochement?, The Jamestown Foundation)

Obama può solo biasimare sè stesso per la debacle che si sta prospettando adesso. Erdogan era stato assolutamente chiaro sulle linee rosse poste dalla Turchia, la più importante delle quali era impedire che le milizie curde passassero ad ovest dell’Eufrate e creassero un loro stato confinante dalla parte siriana del confine turco meridionale. Ecco un commento di qualche mese fa di Erdogan su questi sviluppi:

“Proprio in questo momento, nel nord della Siria, si sta portando avanti un progetto, un piano assai grave. E in questo progetto o piano vi sono le mire insidiose di quelli che si presentano come “amici”. Questo è molto chiaro, perciò io devo fare dichiarazioni chiare”.

Invece di dar retta alle preoccupazioni di Erdogan sulla sicurezza, Obama le ha messe da parte, proseguendo nel progetto americano di stabilire basi e sequestrare nella Siria Orientale territori che potessero anche essere usati come vie di transito per i gasdotti dal Qatar all’Europa. Naturalmente Erdogan ha risposto per le rime, stipulando alleanze con gli ex nemici (Russia, Siria, Israele) allo scopo di riprogrammare la politica estera turca e affrontare la crescente minaccia di un emergente stato curdo sul fianco sud. Ricordatevi che che la Turchia ritiene che i nuovi combattenti per procura degli Stati Uniti in Siria, i militanti dello YPG curdo, siano collegati al PKK, che, in Europa e negli Stati Uniti, è considerato un’organizzazione terroristica. Se Obama avesse utilizzato nei combattimenti truppe americane (invece di utilizzare lo YPG), Erdogan non avrebbe battuto ciglio. Ma il fatto che Obama stesse deliberatamente rafforzando, nella loro avanzata verso ovest, i tradizionali rivali della Turchia è stato più di quanto Erdogan potesse sopportare.

Erdogan si scusa

Alla fine di giugno, Erdogan si è scusato con il Presidente Vladimir Putin per la morte del pilota russo che era rimasto ucciso quando la Turchia aveva abbattuto un cacciabombardiere che volava sul territorio siriano, nel novembre scorso. Lo scontro aveva costretto Putin a rompere le relazioni con Ankara, interrompendo tutti i legami fra le due nazioni. Poi, nell’ultima settimana di giugno, Erdogan aveva inviato una lettera a Putin “esprimendo la sua più profonda comprensione e cordoglio nei confronti dei familiari del pilota russo deceduto”. Aveva aggiunto che la Russia era “un amico e un partner strategico”, con cui le autorità turche volevano rimanere in buoni rapporti. (In seguito, i piloti turchi che avevano abbattuto il Su-24 russo sono stati arrestati con l’accusa di aver partecipato al golpe gulenista).

La Casa Bianca, inspiegabilmente, non ha mai fatto commenti su questo miglioramento delle relazioni, che ovviamente metteva a rischio le ambizioni statunitensi nella regione.

Come mai?

Poi, appena due settimane fa, ha iniziato a trapelare la notizia che Erdogan stava tentado di normalizzare le relazioni con il Presidente siriano Bashar al Assad. La maggior parte dei media occidentali non ha riferito il fatto, ma nel Guardian è apparso un articolo dal titolo “I ribelli siriani attoniti dalla volontà turca di normalizzare le relazioni con Damasco”. Eccone un estratto:

“Dopo più di cinque anni di coinvolgimento nella guerra civile siriana, la Turchia, nazione che più di ogni altra ha aiutato la ribellione contro il governo di Bashar al Assad, ha lasciato capire che potrebbe muoversi per normalizzare le relazioni con Damasco. La proposta, fatta mercoledì scorso dal Primo Ministro turco, Binali Yildirim, ha lasciato di stucco i vertici dell’opposizione siriana, attualmente ospiti di Ankara, insieme agli altri leaders regionali che si sono alleati con la Turchia, in una guerra lunga e spietata, nel tentativo di detronizzare Assad.

“Sono sicuro che riporteremo alla normalità i nostri rapporti con la Siria” ha detto, allontanandosi molto da una linea ufficiale che richiedeva insistentemente un immediato cambio di regime. “Ne abbiamo bisogno. Abbiamo normalizzato le nostre relazioni con Israele e con la Russia. Sono sicuro che ritorneremo a relazioni normali anche con la Siria”.
(Syrian rebels stunned as Turkey signals normalisation of Damascus relations, The Guardian).

Potreste pensare che tutto questo avesse fatto scattare l’allarme alla Casa Bianca; dopo tutto, se la Turchia voleva normalizzare le relazioni con Damasco, avrebbe ovviamente abbandonato quella guerra che aveva sostenuto (con i suoi miliziani e jihadisti per procura) per più di cinque anni, evidenziando un mutamento politico radicale, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze per gli sforzi americani. Ma l’amministrazione Obama ha mostrato qualche interesse in questo annuncio o ha fatto qualche tentativo per tenere Erdogan sotto controllo?

Naturalmente no. Washington ordina e ci si aspetta che tutti gli altri battano i tacchi e stiano sull’attenti. Obama & Soci non si preoccupano delle eventuali spese aggiuntive, come il fatto che la paura per il nascente stato curdo possa essere una minaccia diretta alla sicurezza nazionale della Turchia. Come potrebbero preoccuparsi di qualcosa così banale? Hanno un impero da mandare avanti.

Poi è arrivato il golpe che, per inciso, potrebbe essere stato segnalato ad Erdogan dagli agenti dell’intelligence russa, fortemente radicata in Turchia. Informando Erdogan del colpo di stato, Putin potrebbe aver sperato in un contraccambio del favore e nel blocco del piano NATO per un dispiegamento permanente di una flotta nel Mar Nero, cosa che avrebbe ulteriormente contribuito a circondare e a minacciare la Russia. (E, certo, Putin sa bene che Erdogan è un autocrate senza scrupoli e un sostenitore delle organizzazioni terroristiche, ma sa anche che non può essere “troppo schizzinoso” quando la NATO sta facendo tutto il possibile per circondare e distruggere la Russia. Putin deve farsi gli amici man mano che li trova. Inoltre, alcuni analisti hanno anche ipotizzato che Putin chiederà ad Erdogan di interrompere il suo appoggio agli jihadisti in Siria come condizione per la loro nuova alleanza).

In ogni caso, Putin ed Erdogan hanno messo da parte le loro differenze e hanno programmato un incontro per l’inizio di Agosto. In altre parole, il primo leader mondiale che Erdogan ha in programma di incontrare dopo il golpe è il suo nuovo amico, Vladimir Putin. Sta forse Erdogan cercando di dire qualcosa? Sembra proprio di si. Ecco la storia come la racconta il Turkish Daily Hurriyet:

“Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il Presidente russo Vladimir Putin potrebbero incontrarsi ad agosto, in un incontro faccia a faccia, come parte degli sforzi congiunti per normalizzare le relazioni bilaterali dopo mesi di tensioni dovute all’abbattimento di un caccia russo da parte delle forze armate turche a novembre….
Con la normalizzazione dei rapporti, la Russia ha rimosso alcune delle sanzioni sui traffici commerciali e alcune delle restrizioni per i turisti russi, anche se continuerà ad imporre l’obbligo del visto per i cittadini turchi. Colloqui più approfonditi fra le due nazioni su alcune problematiche internazionali, come Siria e Crimea, avverranno subito dopo fra i ministri degli esteri dei due paesi, prima dell’incontro Putin-Erdogan”.(Putin, Erdoğan to meet soon in bid to start new era in Turkey-Russia ties, Hurriyet).

Non comincia a sembrare che la Turchia sia scivolata fuori dall’orbita di Washington e si sia mossa verso amici più affidabili, che rispetteranno i suoi interessi?

Indubbiamente. E questo improvviso riallineamento potrebbe avere conseguenze catastrofiche per la politica statunitense in Medio Oriente. Considerate, per esempio, che gli Stati Uniti dipendono dalla base aerea turca di Incirlik non solo per condurre i loro raid aerei sulla Siria, ma anche per il fatto che la stessa struttura ospita “circa 90 testate nucleari tattiche americane”. Che cosa succederebbe se Erdogan improvvisamente decidesse che non è più negli interessi della Turchia concedere agli Stati Uniti l’accesso alla base e che preferirebbe permettere ai caccia e ai bombardieri russi l’uso della base stessa? (Secondo alcune segnalazioni, questo sarebbe già allo studio). Cosa assai più cruciale, che cosa succede al progetto americano di far perno sull’Asia se la più importante via di terra (la Turchia) che collega l’Europa all’Asia rompe con Washington e si unisce alla coalizione di stati centro-asiatici che sta realizzando una nuova zona di libero scambio, ben oltre la stretta soffocante dello Zio Sam?

Un’ultima cosa: sulla Reuters di Mosca, lunedì scorso, è comparso un importante articolo, di un paragrafo solo, che non è stato ripreso dalla stampa occidentale, perciò lo riportiamo qui:

Mosca (Reuters) – I progetti comuni Russia-Turchia, compreso il TurkStream, il gasdotto sottomarino dalla Russia alla Turchia, sono ancora in agenda ed hanno un futuro – ha detto lunedì scorso il Vice Primo Ministro russo Arkady Dvorkovich, come riferito dall’agenzia di stampa RIA. (Russian Dep PM says joint projects with Turkey still on agenda, Reuters)

Questa è una cosa grossa, Erdogan sta ora riaprendo la porta che la squadra di Obama aveva cercato in tutti i modi di chiudere. Questo è un colpo mortale al piano di Washington per controllare il flusso di risorse vitali dall’Asia all’Europa e per far si che continuino ad essere prezzate in dollari americani. Se l’accordo avrà successo, Putin entrerà nel fiorente mercato europeo attraverso il corridoio sud e la cosa rafforzerà i legami fra i due continenti, espanderà l’uso del rublo e del dollaro per le transazioni energetiche e creerà una zona di libero scambio da Lisbona a Vladivostock. E lo Zio Sam starà a guardare da fondocampo.

All’improvviso, il piano “Pivot” di Washington sembra essere in guai seri.

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Articolo di Mike Whitney pubblicato da counterpunch il 20 Luglio 2016
Tradotto in Italiano da Mario per SakerItalia.it