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La strategia di Washington in Siria si avvia verso il totale fallimento

di Luciano Lago - 23/08/2016

La strategia di Washington in Siria si avvia verso il totale fallimento

Fonte: controinformazione

 

Ci sono ormai pochi dubbi che gli Stati Uniti debbano rivedere i loro piani per la Siria ed in particolare quelli che prevedevano un rapido rovesciamento del regime di Assad a Damasco per procedere ad uno smembramento della Siria con la creazione di un Stato sunnita al Nord, sotto influenza del’Arabia Saudita, di fatto un “califfato” con la presenza preponderante delle formazioni jihadiste legate a Al Nusra e Yaish ed a Fatah, finanziate dall’Arabia Saudita e dal Qatar e sostenute di fatto dagli USA, come si è visto in modo palese nella battaglia per la liberazione di Aleppo.

Doveva essere un’altra LIbia ma questa volta non gli è andata bene: gli USA ed i loro alleati sono riusciuti però a far massacrare una popolazione (circa 400.000 vittime, secondo le stime più accreditate), a creare il più grande esodo di profughi (7 milioni) dalla seconda guerra mondiale, una tragedia umanitaria che un giorno dovrà ricadere su chi l’ha provocata e sostenuta.


Dopo 5 anni e mezzo dall’inizio del conflitto in Siria, con l’intervento dell’aviazione russa avvvenuto nel Settembre del 2015, lo scenario è decisamente cambiato: le forze siriane, con il sostegno di Hezbollah e reparti scelti iraniani, hanno inflitto duri colpi ai gruppi mercenari jihadisti sostenuti dall’Occidente e dai sauditi facendoli arretrare da buona parte delle zone sotto il loro controllo, nonostante il massicico afflusso di armi, di miliziani e di rifornimenti che ha continuato ad arrivae dai confini con la Turchia. Il doppio gioco sostenuto dagli USA nel paese arabo, quello di proclamare la lotta all’ISIS mentre dall’altro lato si riforniva e si lasciava finanziare con i proventi del petrolio rubato, è stato smascherato dai russi e non può lasciare adito a dubbi.

Il calvario di Palmira (la cittadina nel deserto) e della sua liberazione rappresenta l’episodio emblematico del conflitto, di chi (coalizione USA) ha lasciato occupare la cittadina ed ha permesso il massacro della sua popolazione, rimanendo inerte, mentre sono stati poi i siriani e i russi ad occuparsi di liberarla.

In sostanza l’intervento russo ha consentito di bloccare la fase avanzata del piano di balcanizzazione del paese previsto dalla strategia congiunta di USA ed Israele, mediante l’utilizzo delle formazioni di miliziani jihadisti, non a caso armate ed addestrate dai servizi di intelligence di USA e Gran Bretagna negli appositi campi di addestramento in Turchia e Giordania.
Il piano di smembramento della Siria faceva parte di quel progetto generale per il Medio Oriente elaborato dagli strateghi di Washington (Brzezinski/Rice/Peters/Clark/Wright) alcuni anni prima e che vedeva nella Siria e nell’Iraq il fulcro centrale dei paesi da suddividere sulla base della composizione confessionale ed etnica delle popolazioni. Un medio Oriente balcanizzato più facile da controllare e sottoposto ad una egemonia anglo USA.

Esercito siriano su collina sopra AleppoEsercito siriano su collina sopra Aleppo

Nell’ultima settimana trascorsa sono intervenuti due fatti nuovi che hanno ancora di più modificato la situazione in campo: 1) l’inizio dei raid aerei russi sulla Siria utilizzando la base strategica diHamedan, in Iran, da dove partono i bombardieri strategici russi, con enorme risparmio nei tempi e nei consumi di carburante per questi enormi aerei che avevano bisogno di una base adeguata più vicina al teatro di guerra. 2) L’ingresso in campo della Cina che, con dichiarazione ufficiale, ha comunicato la sua disponibilità a fornire aiuti militari ed addestramento alle forze siriane di Damasco.

Questi due nuovi elementi importanti e decisivi sul piano militare, hanno modificato l’equilibrio delle forze, con l’effetto di togliere il sonno agli strateghi del Pentagono ed hanno determinato il rilancio dell’azione russa nella regione come protagonista di prima forza che diventa il perno dell’asse creatosi fra Damasco-Teheran-Mosca in contrasto all’egemonia statunitense sul Medio Oriente, in fase decisamente calante. Questo di Damasco-Teheran-Mosca viene dato come asse vincente e non per caso Pechino, che di solito si muove molto cauta, si è decisa a collegarsi a questo asse, fornendo appoggio militare in maniera concreta.

Altri paesi nella regione, dall’Iraq all’Egitto ed all’Algeria, stanno valutando di riprendere la collaborazione militare ed economica con la Russia (l’Iraq ha già iniziato) che viene vista come super potenza stabilizzatrice della regione contro le minacce dello Stato Islamico ed in contrapposizione con l’Arabia Saudita, paese mandante ed ispiratore del terorrismo di marca wahabita e salafita che comparte con gli USA il piano egemonico sul Medio Oriente.

Con la nuova base russa in Iran, Putin rilancia il suo gioco strategico, rompe il cerchio della NATO che era tutto stanziato vicino ai propri confini con la forte pressione degli USA e della NATO, sposta il confronto a suo vantaggio nella regione strategica per le risorse energetiche, attrezzando una base che oltretutto potrebbe un domani anche ospitare bombardieri nucleari. Questa mossa provoca preoccupazioni da togliere la tranquillità non soltanto negli Stati Uniti ma anche presso i monarchi dell’Arabia Saudita, primo alleato e partner degli USA nella regione (dopo Israele), che ora si sentono molto stretti tra minaccia iraniana e minaccia russa.

Per la verità, questo della nuova base e degli accordi di stretta cooperazione militare con l’Iran, è stato un fatto molto pubblicizzato, un chiaro segnale ai partner degli USA che Teheran e Mosca si coalizzano in uno stesso fronte per frenare lo strapotere di Washington nella regione, tanto che il Dipartimento di Stato ha emesso un comunicato in cui si mostra “risentito” per le operazioni attuate dai russi, avvertendo che lo schieramento di bombardieri russi è stato “effettuato precipitosamente” e le autorità USA non sono state informate e consultate.

Washington comunque percepisce che la Russia sta formando nuove alleanze nella regione sfruttando anche il momento di difficoltà degli USA e della transizione dovuta allo stallo elettorale. Inutile fare gli offesi, le invettive ed i proclami bellicisti di Washington e del segretario generale della NATO Stoltnberg contro la Russia hanno probabilmente determinato Putin nel fare la sua contromossa con cui ha preso di sorpresa lo schieramanto dell’Alleanza Atlantica, posizionandosi in una area delicata e strategica. Tutti i tentativi delle trame USA e dei loro alleati per ridimensionare la Russia a potenza regionale, privandola dell’accesso ai mari caldi, teorizzato da Zbigniew Brzezinski, non soltanto sono falliti ma hanno avuto l’effetto opposto: mai la Russia aveva avuto un tale vantaggio strategico nell’area mediorientale.

D’altra parte i russi, hanno dato prova di una leadership militare senza precedenti: negli ultimi giorni hanno dimostrato di poter colpire i loro obiettivi in Siria (come in qualsiasi altra parte dellla regione) dalla base strategica in Iran (con un raggio d’azione in tutti i paesi mediorientali, compresi Arabia Saudita, Qatar e le basi USA nel Golfo Persico), dal Mediterraneo mediante i missili da crociera Kalibr, dal Mar Caspio con altrettanti missili montati su unità navali russe in navigazione, dalle basi in Siria e dallo stesso territorio russo. Il vantaggio strategico acquisito dai russi è impressionante e non ha mancato di essere considerato come determinante dagli analisti militari.

Altro fattore di enorme importanza è quello costituito dalla Turchia di Erdogan che, dopo il fallito colpo di Stato addebitato agli USA dallo stesso premier turco, fa intravedere buone possibiltà che questo paese passi armi e bagagli nel campo della Russia, rivedendo i suoi rapporti con l’Iran e la Siria. Non è sicuro che questo avvengama ma intanto è certo che l’importante e decisivo paese nello scacchiere dell’area si è enormemente indebolito con le coseguenze delle purghe imposte da Erdogan nell’ambito miltare ed ha rininciato al momento ai progetti di espansione verso Siria ed Iraq.

Il campo in Siria è ormai quasi libero per una vittoria schiacciante delle forze russe-siriane-iraniane, nonostante gli sforzi dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti per mantenere attivi nei combatimenti i mercenari dei vari gruppi che sono ancora asserragliati in Aleppo ed in altre zone e che si trovano sotto il fuoco incrociato dell’Esercito siriano e dei suoi alleati e che subiscono i bombardamenti dell’aviazione russo-siriana. Tanto questo è vero che sembra sia stato lo stesso comando USA a dare ordine ultimamente ai suoi reparti speciali arroccati ad Al Hasaka, nel nord della Siria, in appoggio ai curdi, di ritirarsi, dopo che hanno già subito più bombardamenti dall’aviazione siriana. Il solito monito lanciato dagli USA al comando russo-siriano ha avuto poco riscontro vista la scarsa credibilità che viene data a questo tipo di messaggi e visto che i rapporti di forza sono cambiati.

Chi è rimasto al suo posto senza mai flettersi all’arrogante politica della superpotenza USA è proprio quel Bashar al-Assad a cui da 5 anni Washington ha lanciato moniti ed avvertimenti sempre dello stesso tenore: “Assad musto go out” e che adesso si trova ancora al suo posto mentre presidenti e monarchi degli Stati che hanno condotto l’aggressione alla Siria si trovano in situazione molto più precaria di lui. Assad rappresenta ormai il personaggio che non si è arreso ed ha tenuto testa all’aggressione dell’Imperialismo USA e dei loro alleati regionali e questo ha enormemente fatto aumentare il suo prestigio ed il suo carisma sia all’interno che all’esterno della Siria.