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L’Unione Europea è un progetto statunitense

di Alberto Bagnai - 08/09/2016

L’Unione Europea è un progetto statunitense

Fonte: Goofynomics

L’Unione Europea è un progetto statunitense. Serviva, come sappiamo, a rendere coeso il fronte orientale, quello verso il nemico sovietico.

Poi il nemico si sfaldò, e con esso c’era il timore che si sfaldasse anche il fronte. Sai com’è, quella storia della tesi: senza antitesi, non c’è sintesi…

Aggiungi che serviva anche un bell’impulso, l’impulso definitivo, a quella globalizzazione finanziaria che tante soddisfazioni stava dando al capitalismo, schiacciando ovunque i salari. In Europa questi resistevano: per opporsi al comunismo in modo efficace si era infatti dovuto creare un credibile welfare, e assicurare una bassa disoccupazione. Tutte cose che rendevano i salari piuttosto coriacei, ma non tanto da non poter essere scardinati dalla moneta unica.

Certo, l’euro aveva anche dei costi, proprio per quel sistema finanziario, e per quel blocco geopolitico, che legittimamente si aspettavano di trarne vantaggi.

Ubi commoda… Il fottuto latino!

I costi in termini economici erano noti e ovvi: squilibrando la distribuzione del reddito, la moneta unica provocava una ipertrofia del credito che rendeva il sistema finanziario più fragile, anziché più stabile come promesso. Decine di crisi finanziarie provocate da agganci a valute “stabili” lo provavano negli ultimi decenni. Ma fin qui nulla di male: oltre un millennio di storia economica dimostra che nulla è più facile, se si controllano le istituzioni, del socializzare le perdite (accollandole a pensionati e contribuenti) dopo aver privatizzato i profitti.

Poi c’erano i costi geopolitici, ricordate? “L’aspirazione francese all’uguaglianza è incompatibile col desiderio tedesco di egemonia”… Ecco: quelli, di costi, sarebbero stati un po’ più difficili da gestire. Più in generale, l’euro avrebbe provocato, nel medio termine, il frazionamento politico dell’Europa. Lo aveva pronosticato Kaldor nel 1971 e confermato Feldstein nel 1997. Non ci potevano essere dubbi. La domanda quindi era: ci conviene un’Europa balcanizzata, o un’Europa coesa? Domanda che ovviamente si ponevano, e tuttora si pongono, gli Stati Uniti.

La risposta è dipesa dalle circostanze.

Per un po’ prevalse una certa preferenza verso l’Europa balcanizzata, cioè verso l’euro. Poi, però, si comprese che il vantaggio di frantumare la leadership europea tramite il conflitto economico allo scopo di controllarla meglio si pagava col costo di rinunciare a un motore di crescita della domanda mondiale (e quindi di profitti delle multinazionali Usa), e con l’altro non trascurabile svantaggio di perdere pezzi a beneficio dell’antagonista russo, che tornava ad affermarsi.

Così, verso la metà del secondo decennio del terzo millennio, gli Stati Uniti tornarono a quella che era stata la loro posizione negli anni ’70, una posizione di sostanziale opposizione alla moneta unica europea. Una moneta unica che stava nuovamente alimentando la questione tedesca, e invece di tenere la Germania abbracciata alla Francia, la stava proiettando a Est, e stava frantumando l’intera Europa, con esiti radicalmente imprevedibili. Una moneta unica che stava soffocando la crescita mondiale. Una moneta unica che stava alimentando gli squilibri globali, proiettando il surplus tedesco verso livelli mai sperimentati in passato, costringendo così gli Stati Uniti a un ruolo di acquirente di ultima istanza, sempre più difficile da sostenere in un quadro nel quale il resto del mondo cominciava timidamente ma decisamente a dedollarizzarsi (e quindi agli Stati Uniti non bastava più semplicemente emettere dollari per finanziare il proprio deficit estero).

I costi della moneta unica stavano superando i suoi vantaggi, com’era prevedibile e previsto (non da molti): era quindi giunto il momento di farne a meno.

Ma… la transizione fra un sistema nel quale i costi superano i benefici, e il sistema successivo, comporta essa stessa un costo!

Smantellare l’euro, in particolare, avrebbe avuto due ordini di costi: un costo finanziario, perché le banche del Nord Europa avrebbero dovuto accollarsi almeno una parte delle perdite determinate dalla svalutazione dei loro crediti, i quali, essendo stati accesi in euro, sarebbero stati saldati nella nuova valuta meridionale, più debole (o, il che è lo stesso, in una minore quantità della nuova valuta settentrionale, più forte); e un costo politico, perché le classi politiche che avevano fino a quel momento indicato nell’Europa, cioè nell’Unione Europea, cioè nell’euro (che son tre cose diverse, ma per loro dialetticamente identiche) l’unica via, si sarebbero dovute rimangiare tutto, soffrendo una pesantissima perdita di credibilità.

Un problema non da poco per lo zio Tom, perché le banche tedesche sono fortemente interconnesse con quelle americane, e i leader europei sono fra i principali garanti della pax americana (che poi tanto pax non è, ma si sa: l’unico keynesismo buono è quello bellico…).

Difficile da risolvere, il problema, vero?

Difficile se fosse stato imprevisto. Ma imprevisto non era, e il piano B era pronto. Sentite come funzionava. Si cominciava col mandare segnali di insofferenza verso il Nord Europa, al duplice scopo di fiaccarne il morale, e di consentire alle classi politiche del Sud di desacralizzare il feticcio europeo: “Anche i tedeschi truccano motori, anche le loro banche sono marce, l’euro li ha avvantaggiati…”. Al termine di questo processo, si mandava un cubista di elevatissimo lignaggio accademico a scoprire che il cielo è azzurro e il prato è verde (verde semaforo, per l’esattezza), scrivendo qualche puttanata sul doppio euro, e sdoganando così di fatto nei circoli che contano l’idea che l’euro non fosse irreversibile (il che dimostra che i circoli che contano sanno di contare, ma non sanno contare…).

Questo per la parte politica.

E per la parte economica?

Ma anche questo è semplice. Ricordate qual era il problema? Non far saltare le banche tedesche, perché fortemente interconnesse col sistema finanziario statunitense. E allora? E allora, prima di smantellare l’euro, bisognava ricapitalizzare le banche del Nord. E i soldi chi ce li avrebbe messi? Ma, semplicemente i cittadini dello stato più ricco fra i membri dell’allegra brigata: l’Italia. E l’avrebbero fatto spontaneamente? Ma che domande! No, certo che no! Lo avrebbero fatto con la troika. Come? Perché la troika? Ma perché, come si era già visto nel caso della Grecia, questa istituzione era uno strumento estremamente efficiente (anche se lievemente corrotto) per canalizzare verso le banche del Nord le risorse spremute ai cittadini del Sud, via imposte e contributi ai fondi salvastati. E perché gli italiani avrebbero dovuto accettare una cosa simile? Ma, anche questo è piuttosto ovvio: semplicemente, si sarebbero prese delle misure tali da mettere in crisi terminale il loro sistema bancario fiaccato da cinque anni di crisi economica ininterrotta. Poi, al momento di ricapitalizzare il sistema bancario, confidando nella conclamata incapacità culturale ed etica del governo italiano di ritornare a una valuta nazionale, sarebbe stato fin troppo semplice proporre il ricorso al MES (cioè alla troika) come unica soluzione praticabile.