Ricevo e posto volentieri questo articolo di Francesco33, sulla questione e sulle condizioni del popolo Boscimano. Francesco33, trentaquattro anni, laureato in lettere antiche è corrispondente di un giornale locale nel Nord d'Italia.


«ESPROPRI PROPRIETARI» IN BOTSWANA
(in nome del libero mercato)



Qualcuno, io no, sono troppo giovane, si ricorderà degli «espropri proletari» negli anni ’70: gruppi di giovani dell’estrema sinistra entravano nei negozi arraffando la merce e poi uscivano senza pagare affermando di agire in nome del «proletariato sfruttato dai padroni»; ovviamente si trattava in massima parte di «figli di papà» o comunque di persone che non avevano problemi economici,che giocavano a fare una rivoluzione da operetta; ora io ritengo che la proprietà privata non sia affatto «sacra e inviolabile», come pensano i liberali, perché questi aggettivi li riservo ad altre cose, tuttavia penso che quando questa sia legittima vada tutelata, e che gli espropri possano essere effettuati solo per reali e giustificate motivazioni di interesse pubblico; conseguentemente gli espropriatori di cui sopra andavano giustamente presi a calci in culo.

Ebbene,proviamo a immaginare che lo stato, che dovrebbe garantire i diritti delle persone lese si metta invece a fare l’espropriatore adducendo finte idealità (sempre come gli individui di cui sopra); e che gli espropriati non siano ricchi o comunque benestanti bottegai, ma dei poveracci quasi nullatenenti, e che l’ammontare dell’esproprio non sia qualche oggetto di poco o medio valore, ma comprenda tutti i loro beni (anche spirituali e culturali): ordunque io ritengo che uno stato del genere non corrisponda più alla funzione minima che gli è preposta, quella di proteggere le persone e i loro beni e di mantenere la giustizia, quindi è degenerato in pura e semplice tirannia, e come tale andrebbe abbattuto( perlomeno in linea teorica,vorrei evitare qualunque tipo di speculazione).

Questo è ciò che sta accadendo attualmente in Botswana: le tribù Gana e Gwi dei Boscimani,un gruppo etnico estremamente arcaico dedito alla caccia e alla raccolta, sono stati cacciati dalle loro terre ancestrali nella Botswana's Central Kalahari Game Riserve, e alloggiati in baraccamenti dove stanno rapidamente deperendo; l’organizzazione “Survival Intenational” che si occupa di tutelare i diritti dei popoli tribali in tutto il mondo sta cercando di aiutarli nella causa che hanno intentato presso l’Alta Corte del Botswana e il cui pronunciamento è previsto per il 13 dicembre.

La scusa addotta dal governo del Botswana per questa «rilocazione» è che i Boscimani della riserva avrebbero assunto uno stile di vita simile a quello delle tribù vicine, che sarebbe dannoso per l’ambiente della riserva. Ora questa giustificazione non è molto differente nella sostanza da quelle addotte dal governo degli Stati Uniti nel corso del XIX secolo per giustificare le «rilocazioni» di allora, quando le tribù delle pianure vennero private delle loro terre con la violenza e con indegni raggiri.

La realtà è che il governo del Botswana vuole aprire le terre occupate dai Boscimani allo sfruttamento turistico e minerario(diamanti). Se poi ci fosse qualcosa di vero (ma non credo) nelle accuse del governo, questo implicherebbe solo che le pressioni esterne hanno indotto i Boscimani a cambiare modo di vivere, quindi il compito del governo sarebbe di aiutarli a ritrovare un equilibrio, non cacciarli dalle terre che legittimamente occupano.

Passerei quindi a descrivere l’oggetto di cui stiamo trattando,che non penso sia conosciuto da molti, ossia i Boscimani con le loro caratteristiche fisiche,il loro modo di vivere e la loro religione: il boscimano è caratterizzato da statura bassa (156 cm), steatopigia (sviluppo ipertrofico delle masse adipose delle cosce e dei glutei), pelle chiara di tinta giallastra e tendente alla rugosità (niente a che vedere quindi con il bianco europoide e nemmeno con quelle tipologie negroidi che per la bellezza e armoniosità delle forme hanno tanto colpito la nostra immaginazione: ad es. i «Watussi,gli altissimi negri» della famosa canzone); il loro sostentamento si basa, come ho già detto, sulla raccolta e sulla caccia, che praticano col loro arco tradizionale; sono suddivisi in piccoli gruppi o in orde plurifamiliari; ogni famiglia vive isolata dalle altre in un territorio assegnato di volta in volta dal gruppo di appartenenza; più famiglie, per un complesso mai superiore alle 50 unità, costituiscono un’orda distinta da un nome proprio; più orde possono costituire una tribù che può giungere ad avere anche qualche migliaio di componenti; orde e frazioni non hanno capi né struttura politica; gli anziani godono di una certa autorità, limitata però alla funzione di capocaccia o alla scelta del luogo dove accamparsi; hanno norme morali molto rigide, che comprendono la pena di morte per l’adulterio e l’incesto, svariati tabù, in parte simili a quelli degli indiani d’America (per es. evitare di parlare con la suocera)e severi riti d’iniziazione per i ragazzi(maschi e femmine); praticano anche l’uccisione dei neonati deformi e dei gemelli(in conseguenza delle loro credenze religiose nel «doppio corpo»: questo potrà far storcere il naso a qualche liberaloide pannelliano in vena di protezione dei diritti dell’infanzia, salvo poi essere a favore dell’aborto libero, o di qualche cattolico in vena di moralizzare, il quale però poi non si perita di sostenere a spada tratta e senza resipiscenza quel sistema capitalistico basato sulla Mercificazione Universale che è fonte di mali molto peggiori; e lo dico da cattolico); la loro religione (di tipo dualista) si fonda sulla credenza in due principali divinità, il malefico Gauab, signore dei morti, e il benefico Kang, signore dei vivi; altresì credono l’uomo composto da due corpi, uno,invisibile, che alla morte va in cielo, l’altro che dimora nella tomba ma può mutarsi in animale.

Ora con questo io non ho inteso fare una lezione di etnologia, ma semplicemente dare il quadro della vita di un popolo, di uomini che sono diversissimi da noi, dai nostri canoni estetici, culturali, morali e che eppure sono fatti come noi a immagine e somiglianza di Dio e hanno una dignità che va preservata.

Se non riconosciamo le loro ragioni di perseguitati e vittime di un sistema che tutto fagocita in nome del profitto solo perché sono profondamente diversi da noi e magari non ci piacciono o non ci interessano, se non riconosciamo in loro in una qualche misura il fratello, ci rendiamo sostanzialmente complici di quel sistema, e in un futuro magari non lontano la loro sorte potrebbe essere la nostra.

Perché la lotta all’omologazione universale parte proprio dalla preservazione delle identità locali, dalla possibilità per ogni comunità di mantenere il legame con le proprie tradizioni e le proprie radici e di determinare il più possibile, nella misura in cui lo permettono le relazioni intercomunitarie, il proprio destino, e questo vale ovviamente non solo per entità tribali come i Boscimani o gli ancor più arcaici Andamanesi (su cui Massimo Fini ha scritto pagine molto significative) ma anche per le varie identità locali che si trovano all’interno delle realtà nazionali.

Ora vengo al motivo per cui sono partito dai cosiddetti «espropri proletari»: io ho riconosciuto le buone ragioni del mercante e del bottegaio nel vedersi tutelato il suo diritto di proprietà; però la borghesia imprenditoriale dell’occidente moderno negli ultimi due secoli ha inteso tutelare un solo diritto di proprietà, il suo, mentre quello che non era riconducibile all’unico concetto di proprietà che essa riconosceva oppure era sottratto alla logica del puro sfruttamento economico e del profitto, quindi del gioco catallattico,s emplicemente diventava una non-proprietà, priva di legittimità (ai loro occhi) e perciò suscettibile di essere espropriata, non in nome del proletariato, ma nel nome del profitto di chi già è ricco e possiede, ma vuole arricchirsi e possedere ancora di più; così ho utilizzato quest’espressione nel titolo, «espropri proprietari» (non penso sia un neologismo,e comunque non mi interessa), per indicare questo genere di azioni: esempi ne abbiamo avuti durante la Rivoluzione Francese, con l’esproprio dei beni della Chiesa e l’abolizione dei diritti feudali, in Inghilterra con l’abolizione dei terreni di proprietà comune, che garantivano un reddito e una vita dignitosa ai contadini più poveri (culminati nel “Inclosure Consolidation Act” del 1801), negli Stati Uniti con la sottrazione fraudolenta dei territori delle tribù indigene, e si potrebbe continuare a lungo.

Ecco il riconoscere il diritto dei Boscimani al possesso delle loro terre ancestrali, oltre che un fatto di Giustizia, è anche un modo per affermare la proprietà si può declinare in molti modi, che «proprietà» non vuol dire necessariamente sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, che la proprietà può essere sottratta al processo di mercificazione in corso da due secoli e tornare a essere un qualcosa al servizio dell’uomo: anche questo è lotta alla mondializzazione, all’omologazione, al grande capitale.

Concluderei ora completando brevemente il quadro cronologico della vicenda: nel 1885 quando l’area occupata dai Boscimani entrò a far parte del protettorato britannico del Bechuanaland i loro diritti ancestrali sulle terre vennero riconosciuti dal governo inglese; successivamente essi sono stati riconosciuti anche nella costituzione del Botswana (indipendente dal 1965); tuttavia nonostante ciò nel 1997 e nel 2002 il governo ha deciso di espellerli dalle loro terre; nello stesso 2002 essi hanno intentato una causa contro il governo presso l’Alta Corte del Botswana, il cui esito, come ho già detto è previsto per il 13 dicembre del corrente anno (tutta questa vicenda ha ricevuto pochissima eco tra i media, probabilmente a mio avviso perché non è bello far vedere che ci sono negri, il governo del Botswana, che perseguitano altri negri, i Boscimani; non ci sono bianchi cattivi in questo caso, bisogna essere politicamente corretti!); tra i partiti politici locali a quanto ne so solo la “International Socialist Organization”, un gruppo trotskysta, ha preso posizione a loro favore.

Personalmente ho firmato la petizione a loro favore che compare sul sito ://survival-international.org//; inviterei tutti a fare lo stesso anche se come tutte le petizioni avrà un’influenza molto limitata; ritengo difficile comunque un esito positivo della vicenda senza una qualche forma di interessamento a livello internazionale, anche se un caso simile in Sudafrica nel 2003 si è risolto favorevolmente per i Nama, un popolo imparentato coi Boscimani.

Tuttavia è una battaglia che ritengo vada combattuta; se per caso dovesse essere vinta sarà in ogni caso un piccolo passo nella giusta direzione: si avanzerebbe lentamente, ma si avanzerebbe anche se saremmo ben lontani dal vincere la guerra.