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L’ideale Massimo e le vendette Fini

di Oscar Acciari - 23/09/2006

Fonte: libertario.blogspirit.com

 


 
“Il mio torto è stato quello di rifiutare ostinatamente, cocciutamente, “infeudamenti” a partiti, fazioni, correnti, lobbie e di non accettare sottomissioni umilianti”. E’ questa la risposta che Massimo Fini dà a chi gli chiede di spiegare come mai uno scrittore come lui, considerato un brillante giornalista negli anni Settanta, non firmi articoli sui più prestigiosi giornali italiani. Molti scrittori devono ricorrere al giornalismo per trovare da vivere, Fini è un giornalista che si è inventato un’altra professione - quella di autore di libri e di saggi - per sbarcare il lunario. Nella sua ultima opera “Sudditi, Manifesto contro la Democrazia”, pubblicata lo scorso anno, invita a mettere in discussione la convinzione, fortissimamente radicata nella nostra cultura, che la democrazia “è il migliore dei sistemi politici possibili”, al punto da giustificarne l’esportazione anche con la forza. Il giornalista, che si è dovuto mettere a scrivere libri, riflette sulla situazione umiliante che il cosiddetto cittadino democratico è costretto a vivere e sulla condizione dell’uomo contemporaneo.


Le democrazie moderne

Chi sono i veri sudditi?

“I sudditi sono i cittadini comuni delle democrazie. In realtà le democrazie sono sistemi di oligarchie, di minoranze organizzate che schiacciano il cittadino comune che vorrebbe essere libero, che non vorrebbe infeudarsi a partiti, a lobby o a clan, di cui però diventa la vittima designata. Queste oligarchie, sottratte ad ogni controllo, sono le vere detentrici del potere. Se lei pensa a quello che succede in Italia, può costatare come le oligarchie politiche, economiche, finanziarie e bancarie si muovano, al di fuori della legge, liberamente e impunemente. A farne le spese è il cittadino comune.”

Nella sua ultima opera lei descrive l’uomo politico come qualcuno privo di intelligenza. Sembrerebbe che per diventare politici occorra essere una persona senza particolari qualità….

“Io costato che queste minoranze organizzate sono praticamente delle aristocrazie. Ma rispetto alle aristocrazie storiche sono molto diverse. Nel feudalesimo, per esempio, il feudatario, il nobile, doveva difendere il territorio con le armi e doveva garantire la giustizia. Chi deteneva il potere doveva avere alcune qualità e alcuni obblighi. Nelle aristocrazie moderne, invece, l’uomo politico non ha nessuna qualità specifica. E’ un uomo senza qualità. O, meglio, la sua vera qualità è di non averne alcuna.”

Ma questo è il ritratto di chi appartiene alla classe politica italiana oppure di chi fa politica in generale?

“E’ il ritratto dell’uomo politico in generale. La causa va ricercata nei meccanismi di selezione della classe politica. Il cittadino non sceglie i candidati. Essi, infatti, vengono proposti dagli apparati di partito. Non sceglie nemmeno gli eletti, perché nei sistemi elettorali, proporzionali ma anche maggioritari, in realtà essi vengono scelti dalle oligarchie dei partiti. Al cittadino rimane soltanto la possibilità di scegliere l’oligarchia dalla quale essere schiacciato. Detto questo, va sottolineato come l’Italia sia un caso patologico. In Italia i cittadini non decidono ormai più nulla; vengono chiamati ogni cinque anni a legittimare il sistema. Per lo meno in Gran Bretagna la democrazia ha una qualche parvenza per essere considerata tale e la mantiene…”

Ma questo è il profilo anche dell’uomo politico impegnato nel microcosmo locale?

“Nelle piccole realtà locali le cose cambiano, anche in un paese disastrato come l’Italia. Il sindaco di un piccola città si deve infatti confrontare, attraverso un rapporto diretto e immediato, con i propri amministrati. Si ritorna alle forme di democrazia diretta per un ambito circoscritto. Ma il processo di globalizzazione in atto a tutti i livelli, ci conduce verso una direzione opposta alla creazione di piccole realtà. La Svizzera è il paese che più si avvicina alla democrazia diretta. Il vero problema delle cosiddette democrazie va ricercato nel sistema della rappresentanza.”

Ma ci sarà un politico che lei ha apprezzato o che apprezza…

“Certo. Non penso che tutti i politici siano mediocri o mascalzoni. Però sono tutti prigionieri del sistema. Una persona per cui ho avuto molta stima e molto rispetto è Umberto Bossi. Ha avuto il merito di creare una vera opposizione, visto che il Partito Comunista si era consociato al potere. Soprattutto nella sua prima fase la Lega rappresentava un’opposizione interessante per idee come la riscoperta dell’identità e la difesa del localismo e per la sua tendenza all’antiamericanismo, intesa come non subordinazione a una potenza imperiale. Tutte idee che Bossi, alleandosi con Berlusconi, che è più americano di Bush, ha dovuto abbandonare. Oggi, però, delle sue idee di fondo non c’è più nulla.

Ma per uno scrittore saggista come lei Bossi non è un politico troppo grossolano?

“L’eccesso di raffinatezza alle volte nasconde ben altro. In Italia i cambiamenti sono stati tentati (poi abortiti) da due uomini abbastanza rozzi, ovvero da Umberto Bossi e, sul piano giudiziario, da Antonio Di Pietro. Se avessimo dovuto aspettare gli intellettuali raffinati, stavamo ancora con il CAF (Craxi, Forlani e Andreotti, ndr). Purtroppo coloro che hanno governato dopo, hanno fatto ancora peggio. Non ho il mito delle posate buone e del parlare forbito. Bado alla sostanza. Preferisco uomini rozzi che pseudointellettuali fannulloni e che non esercitano la critica, l’unica cosa che dovrebbero fare. In Italia, con la connivenza di tutti i giornali, sono state permesse al presidente del Consiglio cose inaudite, leggi ad personam o per gli amici. Gli intellettuali hanno fatto silenzio, non sono intervenuti. Quando sono andati all’attacco, è stato soltanto per difendere gli interessi della “banda di Sinistra”.”

Ma lei di Bossi condivide anche la posizione sul tema dell’immigrazione?

“No. Bossi avendo perso tutte le idee buone, ha premuto l’acceleratore sulla parte meno valida della politica della Lega. Non è che l’immigrazione non sia un problema, ma occorre chiedersi come mai c’è. L’immigrazione esiste, perché il modello di sviluppo occidentale non fa che occupare e devastare il cosiddetto Terzo Mondo, talvolta riducendo paesi alla fame. Ricordo che l’Africa era autosufficiente fino agli anni Sessanta. E’ chiaro che la gente che non ha più un proprio habitat, cerca di raggiungere il centro dell’impero. E’ ovvio che, poi, con l’arrivo degli immigrati in Italia nasca una guerra tra poveri. E a loro cosa dobbiamo raccontare? I leghisti non si interrogano sull’origine del fenomeno dell’immigrazione, così come la classe dirigente non si chiede da che cosa nasca il terrorismo, ma si limita a condannarlo”.

Il Giornalismo e l’asservimento politico

Lei dice di essere silenziosamente emarginato nel giornalismo, dopo essere stato considerato, negli anni Sessanta, un giornalista brillantissimo. Comunque continua a godere di un certo prestigio. Possibile che lei non sia un giornalista ambìto?


“Proposte di lavoro da giornali importanti non ne ricevo più. Lavoro per giornali locali marginali (che comunque ringrazio) come “Il Gazzettino di Venezia”. Collaboro inoltre con “Il Giorno”, “Il Resto del Carlino” e scrivo per “La Nazione”, dove sono a malapena sopportato. Sono comunque tutte testate locali. Sono riuscito a mantenermi a galla, facendo dieci per ottenere uno. Per chi ha appoggi politici basta fare meno di uno per ottenere dieci. Mi sono salvato grazie all’editoria, in cui conta ancora il mercato (e lo dice una persona che ha molte riserve nei confronti del mercato). Negli anni Novanta i miei libri hanno cominciato ad essere molto diffusi. “Il Vizio oscuro dell’Occidente. Manifesto antimodernità” è stato il libro di saggistica più venduto nel 2002. Le mie opere hanno successo, ma non vivo di quello che era effettivamente il mio mestiere…”

Ma ci sono giornalisti effettivamente liberi?

“Sì, ci sono ma, in linea di massima e nel complesso, si può affermare che il sistema dei media è al servizio del potere. Non a caso i mezzi di informazione vengono chiamati gli strumenti del consenso. Ciò non esclude che alcuni singoli giornalisti cerchino di fare e facciano onestamente i loro mestiere. Tra questi vi è, per esempio, Gian Antonio Stella che scrive per il “Corriere della Sera”. Ma sono delle eccezioni. Tra i commentatori e gli editorialisti non ne esiste uno che non sia schierato. Il giornalista non deve essere schierato da nessuna parte. Non deve salire su nessun carro.”

Da giornalista lei si occupò del caso Calabresi. Proprio su questo giornale recentemente (“la Regione” del 30 luglio, ndr) abbiamo ospitato le considerazioni di Adriano Sofri. Lei cosa ne pensa di colui che è stato considerato il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi?


“Sofri è stato condannato in via definitiva dalla giustizia italiana. Non è considerato il mandante dell’omicidio Calabresi, è il mandante dell’omicidio Calabresi. Una delle cose più straordinarie di tutta questa vicenda è che una persona di questo genere scriva sul più importante giornale italiano di Sinistra ( “la Repubblica”) e sul più diffuso settimanale di Destra (“Panorama”). Sono cose inaudite che penso non possano accadere in altri paesi. Sui fatti, per quanto possa contare la mia opinione, le posso dire che ho seguito il processo Calabresi e che secondo me Sofri è responsabile di quel delitto. Ma l’opinione da me maturata non conta nulla, dinanzi a una sentenza definitiva della magistratura”.

Ma lei considera il pentito Leonardo Marino attendibile, nonostante tutte le contraddizioni emerse a livello processuale?


“Certamente. Io ho conosciuto Marino. Non era il pentito che stava in galera, non era ricercato. Non aveva nessun interesse a raccontare questa vicenda, perché se ne stava tranquillamente libero a vendere frittelle. Ha rischiato di farsi undici anni di galera per aver confessato. Soltanto la prescrizione del reato, proprio perché Sofri è riuscito a dilazionare nel tempo il momento del giudizio, ha fatto sì che non scontasse la pena in carcere. Quando mi chiamano talvolta in qualche università o in qualche liceo per alcune lezioni di giornalismo, dico: “Ammazzate un commissario di polizia e diventerete i principali editorialisti dei più importanti giornali.”

Non le pare un’affermazione molto severa?

“Assolutamente sì. Ma l’ho detto e continuo a dirlo, perché questa vicenda è un segno del totale malcostume vigente in Italia. Bettino Craxi, condannato a dieci anni e mezzo per gravissimi reati, è potuto fuggire dal paese, gettando fango sulle istituzioni e sulle leggi di uno stato di cui era stato Presidente del Consiglio. Non era stato definito un latitante, ma un esule, come Sandro Pertini o i fratelli Rosselli. Sono segni gravi del venir meno di un minimo etico. Come si può lottare contro la corruzione, quando la classe dirigente si comporta in questo modo? Quando il Presidente del Consiglio ha processi in corso o evita la giustizia, grazie soltanto alla prescrizione? E a causa del suo comportamento, non c’è terrorista, preso con le mani nel sacco, che non affermi di essere vittima di un complotto politico o della magistratura. Beati voi che vivete in Svizzera, l’Italia è un paese in cui sono venuti a mancare i fondamentali.”

Le ha conosciuto personalmente Oriana Fallaci. Come valuta il suo percorso giornalistico e le sue sortite nei confronti del mondo islamico?

“Io ho conosciuto Oriana Fallaci negli anni Settanta, quando scrivevo per l’Europeo. Mi pare che dalla morte di Alekos Panagulis non sappia più coniugare passione e ragione. Le affermazione contenute nei suoi scritti, nei suoi libri sono degli insulti senza argomentazioni. Anche lo stile (un tempo molto rigoroso) non è più quello di una volta. Ma il problema non è Oriana Fallaci, piuttosto il successo dei suoi libri. Ciò significa che basta poco per destabilizzare l’opinione pubblica. Il fascismo non s’afferma in virtù dei fascisti, ma soprattutto per l’opportunismo e la viltà di chi si adegua ad esso. Personalmente critico il “Corriere della Sera” che utilizza persone come Oriana Fallaci per vendere più copie. Penso che i suoi libri tra cinquant’anni verranno letti come “Mein Kampf “ di Adolf Hitler.”


La scheda

Massimo Fini ha 62 anni. Laureato in giurisprudenza, comincia la sua attività giornalistica nel 1970 all’Avanti. Nel 1972 passa all’Europeo, settimanale che lascia nel 1979. Agli inizi degli anni Ottanta è animatore, insieme al fondatore Aldo Canale, di “Pagina”, mensile di politica e cultura. Nel 1982 passa al Giorno, giornale che lascerà dieci anni dopo per l’Indipendente di Vittorio Feltri. Nel frattempo, nel 1985, torna a lavorare anche per l’Europeo e cura la rubrica “Il Conformista”. Quando Feltri abbandona l’Indipendente per il “Giornale” di Silvio Berlusconi, si rifiuta di seguirlo. Attualmente collabora per “Il Gazzettino”, il “Giorno”, “La Nazione” e “Il Resto del Carlino”. Ha partecipato alla rifondazione del “Borghese”. Ha scritto opere “La ragione aveva torto?” (Camunia, 1985 e Marsilio, 2004, in edizione tascabile); “Elogio della guerra” (Mondatori 1989 e Marsilio 1999); “Il Conformista” (Mondatori 1990); “Nerone, 2000 anni di calunnie” (Mondadori 1993); “Catilina, ritratto di un uomo in rivolta” (Mondatori 1996); “Il denaro, sterco del demonio” (Marsilio 1998); “Dizionario erotico, manuale contro la donna a favore della femmina” (Marsilio 2000); (Nietzsche, L’apolide dell’esistenza” (Marsilio 2002); “Il servizio oscuro dell’Occidente” (Marsilio 2003). La sua ultima opera è “Sudditi” (Marsilio 2004). Fini è anche autore dell’opera teatrale “Cyrano, se vi pare”, in cui ha scoperto un nuovo ruolo, quello di attore. Si tratta di un’esperienza nata dall’incontro con il regista Eduardo Fiorillo.