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Manifesto per la costruzione della terza forza (introduzione)

di Gianfranco La Grassa - 25/09/2006

 

Finalmente pubblichiamo sul nostro Blog “Costruire la Terza Forza,” una sorta di documento-manifesto, elaborato da Gianfranco La Grassa,  che si propone di delineare le qualità specifiche e la struttura che dovrà avere una nuova forza antiegemonica ed anticapitalistica in grado di proporsi quale agente di rivoluzionamento (in tempi che, tuttavia, non saranno brevi ma nemmeno troppo proiettati in un indefinibile futuro) dei rapporti di forza tra “classi sociali”, oggi fortemente squilibrati a tutto vantaggio dei funzionari(privati)del capitale.

Con questo manifesto si vuole puntare ad un’accumulazione delle forze, positiva e propositiva, di quelle parti della società che avvertono la necessità di una trasformazione e la cui azione dovrà ineluttabilmente indirizzarsi verso il compattamento dei blocchi sociali dominati (fortemente stratificati e, quindi, tutt’altro che definibili come un’unica “classe” in sé o per sé, nonché diversificati soprattutto per livelli di reddito) al fine di opporre una resistenza che sia realmente tale, ed, in prospettiva,  rilanciare una controffensiva (sulla quale per ora poco si può dire) a danno degli attuali dominanti capitalistici.

Per fare questo occorrerà sgombrare il campo dai vecchi convincimenti e dalle teorie vetuste che hanno segnato il passo; si dovrà procedere ad una inevitabile sostituzione di queste teorie (pseudo)anticapitalistiche (anche se “marxisteggianti”), ormai inservibili per la comprensione di una realtà sociale stravolta dalle innumerevoli rivoluzioni avvenute all’interno del capitalismo (e si badi bene, dentro il capitale e non fuori di esso). Queste stesse teorie hanno avuto, nell’epoca storica nella quale si sono dispiegate, un afflato “similrivoluzionario”, a volte sono state anche utili per il  coinvolgimento delle masse in processi di miglioramento e di avanzamento sociale (comunque dentro il capitale), oggi, invece rappresentano meri accumuli di macerie che sbarrano il percorso a chi vuole di fatto ricominciare ad agire in termini anticapitalistici.

Per iniziare, quanto a lungo dovremo ancora girare in tondo come i sufi, nella magica circolarità solo apparentemente polarizzata, qual è quella tra destra e sinistra? Dovremmo deporre nella pattumiera storica delle cose inutilizzabili queste due categorie perché completamente svuotate della loro funzione originaria. Destra e sinistra hanno esaurito la loro missione epocale, converrebbe oggi chiamarle “Fattore D” e “Fattore S” (come dice bene La Grassa in questo manifesto) con la consapevolezza che, come in una proiezione ortogonale, “D” e “S” si sono alla fine incontrate in un punto di convergenza capitalistica, qui hanno subito una metamorfosi e sono state sussunte, divenendo la migliore proiezione “formale” di una comune sostanza capitalistica. Di esse resta solo un involucro identitario che rimanda ad un passato, qualche volta glorioso (almeno per quanto concerne una parte di questa  sinistra), andato irrimediabilmente perduto.

Certo, una possibile Terza Forza avrà la necessità di agire tatticamente (all’interno di una visione strategica più completa) e tale tattica potrà richiedere alleanze provvisorie per la conquista di spazi d’azione sempre più ampi e per l’allargamento della base sociale sulle cui gambe camminerà la nuova forza antisistemica. La sinistra, in questo senso, potrebbe essere una momentanea sponda di dialogo (anche perché controlla blocchi sociali rilevanti) ma tenendo presente, con anticipo, la sua storica propensione al tradimento. Questo dovrà spingerci sempre a preservare la nostra identità, faremo solo brevi tratti di strada con questa gente, guardandoli a vista e non dando mai loro le spalle.

Dunque, nella definizione della strategia complessiva che una Terza Forza dovrà adottare, occorrerà specificare una serie di obiettivi (da quelli più contingenti a quelli di più lungo periodo, sempre con una certa flessibilità adattativa, almeno sulle modalità di conseguimento di tali obiettivi) quali, ad esempio, la nostra collocazione rispetto alla politica internazionale o quella interna al contesto nazionale (quale campo privilegiato d’azione, il terreno che sosterrà il nostro peso, a meno di non voler dare adito alle nefandezze sulle moltitudini transnazionali di un impero senza centro).

Intanto, è imprescindibile per noi un antiamericanismo “ragionato” (e non pregiudiziale e indirizzato contro ogni aspetto della cultura americana) perché gli Usa sono il paese attualmente dominante, l’area del modo dove si è sviluppata la formazione sociale dei Funzionari del Capitale. Noi contestiamo gli Usa perché sono il centro di un’area egemonica capitalistica di “predominanza” che cerca d’inglobare nella sua sfera d’influenza altre formazioni capitalistiche ad essa affini (in quanto formazioni sociali di funzionari(privati) capitalistici), tenendole in posizione di “subdominanza” (vedi i paesi dell’occidente sviluppato, quelli semicentrali) o addirittura di totale asservimento (i paesi non centrali). Per realizzare questa preminenza gli Usa approntano strategie di potenza a “variazione geometrica”  che a volte possono sfociare in guerre aperte (come in Afghanistan, Iraq o Serbia) altre volte contemplano l’uso delle “armi” della diplomazia (un po’ bastone un po’ carota a seconda dei casi e delle opportunità). L’Europa, in primis, è un’area che si sta legando agli Usa a causa delle sue inette classi dirigenti che accettano di riprodursi negli spazi lasciati liberi dal paese centrale proprio in virtù di tale sub-ordinazione, batterie controllate di “polli” che non metteranno mai in discussione l’egemonismo statunitense. Anche l’Italia, essendo parte dell’Europa, sta giocando il suo ruolo nell’accelerazione di tale processo d’inglobamento, il nostro paese ha una funzione geo-strategica fondamentale per i dominanti americani e le numerose ingerenze nella vita politica ed economica italiana non fanno che corroborare questa convinzione (vedi il ruolo della Goldman Sachs in molti affari ancora poco chiari).

In questo senso occorrerà favorire lo “scornamento” reciproco tra gli schieramenti politici del “Fattore D” e del “Fattore S”, perché entrambi sono legati ai dominanti americani e ritardano, con la loro supinità e arrendevolezza (e questo vale anche per gli schieramenti politici degli altri paesi europei), il formarsi  di agenti sociali terzi, pronti a smarcarsi dall’egemonismo Usa.

Ovviamente, tante cose dovranno essere ripensate, abbiamo bisogno di una teoria sociale nuova (La Grassa la definisce nel manifesto “Teoria Sociale dello Sviluppo Ineguale dei Capitalismi) che consenta un miglior orizzontamento nelle mutate condizioni sociali concretatesi col passaggio dalla formazione economico-sociale borghese a quella dei funzionari (privati) del capitale.

In questo ripensamento dovrà necessariamente rientrare tutto il marxismo d’antan (da spazzare via una volta per tutte) ma anche la stessa elaborazione teorica di Marx.

Non vogliamo commettere nessun “parricidio” dicendo questo, ma non si può tollerare ancora questa operazione di pietrificazione del pensiero del grande pensatore di Treviri. L’ossificazione delle categorie da Marx utilizzate, al fine di cogliere la dinamica di sviluppo del sistema capitalistico, fa solo il gioco dei dominanti della sfera ideologica, i quali vogliono costringere la scienza marxiana in uno spazio senza tempo, fuori dalla storia e dalla possibilità di comprendere/rovesciare gli attuali rapporti di forza, hic et nunc. Per utilizzare una metafora scientifica (si parva licet), abbiamo dinnanzi lo stesso problema che ebbe Einstein (con i dovuti distinguo) nell’elaborazione della sua teoria della relatività generale. Di fatti, quando principiò ad elaborare tale teoria Einstein utilizzò i concetti della geometria euclidea in uno spazio che non poteva più esserlo, perchè occorreva trattare il tempo come una coordinata che si aggiungeva alle tre coordinate spaziali. Oggi noi ci troviamo nella stessa situazione, ci serviamo delle categorie marxiane sul modo di produzione ma cerchiamo di accordarle con le politiche degli agenti strategici dominanti a livello di geopolitica. Se è vera l’affermazione che si è costituita una diversa formazione economico-sociale, che non è più la Borghesia capitalistica dei tempi di Marx, viviamo in uno spazio modificato rispetto a quello che lui poteva osservare e spiegare con la sua teoria scientifica. E’ tutta qui la nostra esigenza di una nuova teoria che “riorienti il tutto della complessità strutturale della società capitalistica mondiale”(G. La Grassa).

La Grassa parla, come dicevamo, di Teoria Sociale dello Sviluppo Ineguale dei Capitalismi (TSSIC) perché il “Capitalismo” non esiste se non come lotta tra diversi capitali (che originano in diversi stati che sono anche nazioni)  che sono il “motore” di una dinamica competitiva più vasta (di potenza geopolitica), dipanantesi all’interno della formazione sociale mondiale(capitalistica). Lo sviluppo ineguale indica, allora, la disomogeneità intrinseca delle diverse parti che compongono la formazione sociale mondiale; da tale disarticolazione dipende il modificarsi dei rapporti di forza derivante dallo scontro tra segmenti di dominanti che puntano alla predominanza sugli altri. In tale ottica si alternano fasi più caotiche (policentrismo) quando la lotta per la predominanza è aperta o, al contrario, più stabili (apparentemente stabili) quando un segmento di formazione sociale riesce ad affermare la propria supremazia (provvisoria) sulle altre altri parti della formazione sociale mondiale(capitalistica). Il richiamo al sociale non può che essere riferito a questa alternanza tra fasi “mono” e “policentriche”, nell’ambito delle quali mutano le classificazioni sociali, in una spirale vieppiù crescente di complessificazione (sedimentazione orizzontale e stratificazione verticale) che è propria della dinamica capitalistica. Diventa, tutto ciò premettendo, davvero difficile comprendere come, i marxisti più ostinati, possano ancora parlare di contrapposizione tre due classi sociali, Borghesia e Proletariato, con la seconda che avrebbe la tendenza ad ingrossarsi a causa della concentrazione del capitale in poche mani.

Detto questo, l’intenzione del manifesto stilato da Gianfranco La Grassa è tutta politica ed ha l’obiettivo esplicito di dare sostanza (intervenendo come fattore riaggregante di ciò che la dinamica capitalistica disaggrega) ad una “massa d’urto” volta alla trasformazione sociale contro il capitale. I soggetti di questa trasformazione sono identificati per grandi linee, ma non esistono confini netti tra le classi stratificate (in basso), quelle che potrebbero essere artefici del rivoluzionamento (qui dovranno nascere molte alleanze che si sfalderanno o si rafforzeranno nell’azione di contrasto alle forze capitalistiche). Molto si capirà nella pratica organizzativa quotidiana.

Concludo questo intervento invitando gli interessati a considerare “Il manifesto per la costruzione della Terza Forza, come un “work in progress” che richiede un’affinazione collettiva. Siamo aperti al dialogo, ma solo con chi è davvero interessato alla creazione di una forza anticapitalistica con queste caratteristiche.