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Il peggio del peggio televisivo

di Massimo Fini - 25/10/2005

Fonte: www.lineaquotidiano.it

Menestrello Celentano

Qualche giorno fa
l’Ansa mi ha telefonato
per chiedermi
se avrei visto RockPolitic.
Ho risposto di no, perché
considero Celentano uno
straordinario menestrello,
per quella voce così singolare
e per i testi, peraltro
scritti da altri, di certe sue
canzoni che hanno accompagnato
gli amori della
nostra adolescenza e della
nostra giovinezza, ma non
posso prenderlo sul serio
come ‘maitre a penser’.
Non si può avere tutto: Dio
gli ha dato la voce, ma non
il bene dell’intelletto. Mi
ricordo Fantastico e le lunghissime,
imbarazzanti,
pause, che i critici compiacenti
si affrettarono a definire
‘silenzi dal profondissimo
significato’ e che erano
invece il segno della confusione
mentale di uno che nella
vita avrebbe dovuto limitarsi
a cantare, ballare e
suonare la chitarra e che
invece i tempi e la Tv hanno
promosso a profeta come
egli stesso si crede. Perché
Celentano dice una cosa e
insieme, o subito dopo, il suo
contrario, senza accorgersene,
senza rendersene conto.
Non sa che cosa sia la logica
e fa solo una grande
confusione trasmettendola
ai telespettatori, che se ne stanno
lì estasiati, Bouche beant!
Mi vengono i brividi al pensiero
che l’altra sera, nei suoi cosiddetti
monologhi, ha probabilmente
parlato (dico probabilmente perché
la trasmissione, come ho detto
non l’ho vista, ma ne ho letto le
recensioni e mi baso sulle anticipazioni
fornite da un articolo di
Maria volpe sul Corriere della
Sera (di “bambini mutilati dalle
armi chimiche”, “della guerra
nucleare”, “dell’inquinamento”,
“della guerra del Vietnam”, “di
Bush”, “della libertà di formazione”
e (poteva mancare in quest’orgia
di demagogia spicciola?)
“della fame in Africa”.
La strillatrice televisiva Simona
Ventura, sottratta al ricamo e al
ferro da stiro, ha dichiarato, non
senza compiacimento, che “un
minuto di Tv vale un anno di
cinema” (Corriere della Sera, 2).
E questo è il punto. Questi personaggi
scambiano la potenza del
mezzo che hanno a disposizione
con la propria. E poiché la
potenza del mezzo è enorme (non
per una qualche sua sofisticata
tecnologia, perché “fa vedere”,
ma per il semplice fatto che è
piazzato, a priori, in casa nostra
(anche il cinema “fa vedere” ma
bisogna perlomeno uscire e scegliersi
un film e comunque non
trasmette ‘in tempo reale’) ecco
che i Celentano, le Ventura, i
Bonolis, i Costanzo, i Pupo e
compagnia cantante son coloro
che oggi danno al pubblico le
categorie, etiche, morali, di comportamento,
di costume e anche
politiche. Un tempo questa funzione
era svolta da Aristotele e
Platone, in seguito dai Padri della
Chiesa, poi da San Tommaso
d’Aquino e dalla Scolastica, nell’età
moderna da Kant, da
Hegel, da Schopenauer, da Fichte,
da Schelling da Marx, da Heidegger
e, ancora in tempi recenti,
da Benedetto Croce, da Arturo
Carlo Jemolo, da Pier Paolo
Pasolini, in Italia, da Thomas
Mann ed Herman Hesse in Germania,
da Bertrand Russell in
Inghilterra, da Ortega y Gasset
in Spagna, da Sartre, da Camus,
da Merleau-Ponty in Francia.
Adesso c’è Adriano Celentano, il
Molleggiato che, passati abbondantemente
i sessant’anni, si
dimena come quando ne aveva
diciotto, e mentalmente è rimasto,
a essere molto indulgente, a
quell’età. Secondo Maria Volpe in
Rockpolitic c’è anche una polemica
contro “il peggio che il piccolo
schermo propone di questi
tempi, in primis i ‘reality show’
che - ci piaccia o no - zittiscono le
nostre parole”. Bene, se i ‘reality’
riuscissero a zittire le parole
di Adriano Celentano, avrebbero
svolto, una volta tanto, una funzione
utile. Perché, sbattuto in
Tv a fare il profeta, il peggio del
peggio è proprio lui.