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Iraq, un'occupazione insostenibile

di Dahr Jamail - 03/10/2006

 

Più l’occupazione dell’Iraq continua, più morte e distruzione saranno all’ordine del giorno. Di pari passo con un esercito allo stremo – messo a dura prova ogni giorno di più – e con famiglie in ansia per i propri cari, i cui nervi e cuori stanno per spezzarsi

Mentre i falchi da pollaio che "guidano" gli Stati Uniti concentrano i propri sforzi per muovere un’altra ingiustificata guerra di aggressione, questa volta contro l’Iran, ciò che rimane del loro provato esercito continua ad essere messo sotto torchio in Iraq.

Quando la situazione diventa talmente critica che persino i media ufficiali sono costretti a parlarne, si tratta di qualcosa di grave. La scorsa settimana, su NBC Nightly News, il Generale Barry McCaffrey, ora in pensione, discutendo dello stato attuale dell’esercito Usa ha dichiarato: "Penso sia doveroso prendere atto del peggior stato di preparazione che il nostro esercito abbia mai conosciuto dalla fine della guerra in Vietnam". La cosa non sorprende se consideriamo che numerosi soldati sono già al loro terzo servizio, che l’addestramento domestico è stato dimezzato e che due terzi di tutte le unità di combattimento dell’esercito non sono considerate al momento pronte all’azione.

Il fatto che il 60% dei soldati della guardia nazionale Usa abbiano già raggiunto il limite dei combattimenti oltreoceano non sembra potrà placare la sete di guerra dell’amministrazione Cheney. È molto più probabile, invece, che Rummy (Rumsfeld) si limiterà a modificare qualche regola interna del Pentagono, che al momento limita i servizi della Guardia Nazionale a due ogni cinque anni.

Il cambiamento sembra già piuttosto atteso dal generale della Guardia Nazionale Steven Blum, il quale ha dichiarato alla NBC: "Se si dice che la guardia nazionale ha parecchio da fare al momento, penso proprio che tra circa tre anni ci guarderemo alle spalle e diremo 'quelli sì che erano bei tempi’". Commento al quale McCaffrey ha risposto: "Viene chiesto loro di più – soprattutto alla guardia nazionale e alle riserve – rispetto ai doveri per cui sono stati assunti. A breve tutti i nodi verranno al pettine”.

Questo "a breve" si è rivelato un lasso temporale di circa 72 ore dal commento di McCaffrey. Una decina di giorni fa l’esercito ha fatto sapere che, considerate le unità impiegate per l’occupazione dell’Iraq, i servizi di migliaia di soldati sono stati prolungati oltre i 12 mesi inizialmente stabiliti. È la seconda volta in due mesi che ciò accade. Un esempio è quello della prima divisione delle brigate corazzate, di stanza nella provincia di Al-Anbar, di cui l’esercito ha perso il controllo da tempo. Tra i 3.500 e 4.000 soldati sono stati coinvolti in questa decisione.

L’iniziativa ha spinto l’analista militare Loren Thompson a dichiarare ai cronisti: "L’esercito sta raggiungendo il limite delle proprie risorse in Iraq. Semplicemente, non dispone di personale militare attivo sufficiente per sostenere il livello attuale". Attualmente, si trovano in Iraq oltre 142.000 soldati americani. Solo la settimana scorsa il generale John Abizaid, alto comandante Usa nella regione, ha dichiarato che probabilmente l'esercito manterrà inalterato il proprio impegno in Iraq e, anzi, forse esso verrà ulteriormente esteso la prossima primavera.

Quali saranno le conseguenze sulle truppe Usa di terra in Iraq? Di seguito il testo di una e-mail che ho ricevuto la settimana scorsa da una madre il cui figlio sta prestando servizio a Ramadi: "Mio figlio non è in grado di sopportare ciò che è costretto a fare; probabilmente, spinto da terrore, confusione e decisioni improvvise, ha ucciso civili innocenti. Egli ne è pienamente consapevole, sono stata testimone in prima persona del suo dramma. Mio figlio avrà anche le mani sporche di sangue innocente, ma ciò è tragicamente inevitabile. Si trova nella regione di Al-Anbar. Tu sei l’UNICA persona nel mondo dei media che ha risposto alle mie e-mail. Le altre che ho inviato chiedendo come mai si parlasse poco di Al-Anbar sono rimaste senza risposta. Credo sia perché gli Usa hanno perso quella regione, si vuol tenere nascosta la notizia al pubblico americano. Mio figlio mi ha chiamata la scorsa settimana da Ramadi e mi ha detto che la guerra è persa – stanno semplicemente agendo in maniera meccanica, di nuovo, obbligati ad obbedire ad ordini e a rischiare le proprie vite per uno scopo irraggiungibile, e ingiusto. Continuo a leggere il tuo sito e alcuni altri, mentre prego con tutte le mie forze che mio figlio torni a casa in primavera, sano e salvo".

L’angoscia, le parole spese per descrivere lo stato del figlio a Ramadi, non sorprendono. Mentre scrivo, più di 2.703 americani sono stati uccisi in Iraq, i feriti sono dieci volte tanto. Questo mese sono morti più di 61 soldati. Con una media quotidiana di oltre 2.5 militari uccisi, nel momento in cui scrivo stiamo parlando del terzo mese quest’anno più cruento per le forze della coalizione in Iraq.

Un altro rapporto diffuso due settimane fa dalla Veterans Health Administration [ente Usa che si occupa dei veterani di guerra, NdT] ha rivelato che più di un terzo dei veterani di Iraq ed Afghanistan bisognosi di cure mediche stanno riportando gravi sintomi di stress o altre malattie mentali. Nei soli ultimi 18 mesi la cifra è aumentata di dieci volte. La drammatica impennata è ascrivibile al fatto che sono sempre di più le truppe che stanno prestando molteplici servizi in nei due paesi.

Tutto ciò è ovviamente complicato dal fatto che la Veteran Administration non è in grado di soddisfare la crescente domanda di servizi da parte dei gruppi di veterani, i quali hanno già dovuto far fronte a lunge attese per appuntamenti medici (spesso oltre sei mesi), scarsità di personale e mancanza di attrezzature nei centri medici.

La signora che mi ha inviato l’e-mail precedente ha acconsentito affinché pubblicassi quest’altra, in cui emergono chiaramente le ripercussioni sul figlio dei tanti obblighi cui far fronte: "Grazie a Dio sono riuscita a mettermi in contatto con mio figlio: mi scrive ogni giorno delle atrocità irachene, e come vorrebbe sconfiggerle. Il suo morale è a terra, ma anche fisicamente non è in grado di prestar fede agli impegni assegnati al ritmo richiesto. Vorrei tanto condividere queste e-mail con te, ma sono spaventata dalle possibili implicazioni che potrebbero derivarne. Non voglio fare nulla che metta in pericolo la comunicazione con mio figlio. L’impressione che mi sono fatta dalle mie letture e dai contatti con i soldati è che gli iracheni siano in generale buone persone. L’occupazione americana sembra rendere la vita ancora peggiore per l’iracheno medio. Penso che l’Iraq sia un paese senza speranza. Non importa cosa si è fatto, non avranno mai un governo stabile, qualunque forma esso prenda. Da quello che mi dice mio figlio, sono in grado di percepire il totale CAOS in cui si trova Ramadi, la situazione è disperata. Come madre, voglio che mio figlio faccia qualsiasi cosa necessaria per tornare a casa. Non addolcirò i miei pensieri: voglio che mio figlio torni a qualsiasi costo. Naturalmente, non dovrebbero essere uccisi civili innocenti, ma chi può deciderlo? Come capire chi è innocente e chi rappresenta una minaccia? Per questo, mio figlio crede che abbattere la città sia l’unica soluzione. Naturalmente questo non succederà, ed egli esagera. Si tratta comunque di un segnale della gravità della situazione laggiù... la lotta tra i marines e i ribelli non ha mai fine. Il tipo di bomba che viene ora impiegata dai guerriglieri (chiunque essi siano) è spaventosa... una piastra metallica nel terreno: quando il marine ci cammina sopra, aziona l’ordigno e tutto salta in aria. Mio figlio svolge missioni lungo vicoli bui... e si trascina una mitragliatrice che gli sta distruggendo la schiena. È un ragazzo esile, e l’equipaggiamento che si porta dietro sta compromettendo la sua salute. Può camminare certo per miglia e miglia, ma non con chili di roba addosso. Nelle sue e-mail leggo già tanta durezza, e un morale a terra. E ha appena iniziato il suo attuale servizio (è il terzo, si spera sia l’ultimo). L’America è una grande nazione, compassionevole verso molti, ed è la mia patria. Sono disgustata di fronte a ciò che sta accadendo, e a cosa stanno facendo fare a mio figlio come marine. In definitiva, ci siamo trasformati in un impero. Mi si spezza il cuore sapere che mio figlio potrebbe morire sul suolo straniero mentre combatte una guerra inutile che porterà solo più morte e distruzione...".

Più l’occupazione dell’Iraq continua, più morte e distruzione saranno all’ordine del giorno. Di pari passo con un esercito allo stremo – messo a dura prova ogni giorno di più – e con famiglie in ansia per i propri cari, i cui nervi e cuori stanno per spezzarsi.

 

Dahr Jamail è un giornalista free lance che ha trascorso oltre otto mesi nell’Iraq occupato. Lo scorso gennaio a New York ha fornito le prove dei crimini di guerra Usa alla Commissione Internazionale d’Inchiesta sui Crimini contro l’Umanità commessi dall’Amministrazione Bush. Scrive regolarmente per ‘Inter Press Service’, ‘Truthout.org’, ‘Asia Times’, ‘TomDispatch’; il suo sito è www.dahrjamailiraq.com.
Dahr Jamail è tra gli autori dell’antologia
Tutto in vendita – Ogni cosa ha un prezzo. Anche noi.

Sull'Iraq vedi Iraq Confidential – Intrighi e raggiri: la testimonianza del più famoso ispettore ONU (prefazione di Seymour Hersh, prefazione all'edizione italiana di Gino Strada).

 

 

Fonte: TruthOut
Traduzione a cura di Arianna Ghetti per Nuovi Mondi Media