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Woodward: «La CIA avvisò la Rice di un attacco imminente agli USA»

di p. mas. - 03/10/2006

Woodward «Sull’Iraq Bush inganna l’America»  
L’ULTIMO LIBRO DEL REPORTER DEL WATERGATE: NEL 2001 LA CIA AVVISÒ LA RICE DI UN ATTACCO IMMINENTE AGLI USA

La nuova «bomba» di Woodward «Sull’Iraq Bush inganna l’America»


Il mito del Watergate contro il presidente Bush. Dopo l’imbarazzante rapporto dell’intelligence americana, che accusa la guerra in Iraq di aver alimentato il terrorismo invece di ridurlo, Washington ora parla solo del nuovo libro di Bob Woodward, «State of Denial», che rimprovera all’amministrazione di aver compromesso l’intervento a Baghdad. Brutto colpo, a poche settimane dalle elezioni parlamentari del 7 novembre. Woodward è il giornalista del Washington Post che insieme a Carl Bernstein cavalcò lo scandalo Watergate, ma ha reputazione di essere vicino ai repubblicani e aveva già scritto due libri, «Bush at War» e «Plan of Attack», che dipingevano il capo della Casa Bianca quasi come un eroe. Ora ha cambiato opinione. La lista delle rivelazioni contenute in «State of Denial», che già dal titolo accusa l’amministrazione di negare la realtà in Iraq, è assai lunga. Il 10 luglio del 2001 l’allora consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice, aveva liquidato senza troppa attenzione il capo della Cia, George Tenet, che l’avvertiva della minaccia di un imminente attacco terroristico.

Dopo l’11 settembre lo stesso Tenet, il segretario di Stato Colin Powell, e persino Bush padre, avevano seri dubbi sull’invasione dell’Iraq, ma nessuno ne aveva parlato al capo della Casa Bianca. Cominciata la guerriglia, che il presidente non voleva chiamare «insurrezione», l’amministrazione non ha considerato varie richieste per aumentare le truppe in Iraq, venute dagli uomini sul campo come il «governatore» Bremer. Visti i problemi, dopo le elezioni del 2004 il capo dello staff della Casa Bianca, Andrew Card, aveva sollecitato due volte Bush a licenziare il leader del Pentagono Donald Rumsfeld, con la collaborazione della first lady Laura. Il presidente però aveva rifiutato, perché il vice Dick Cheney lo aveva convinto che questa mossa sarebbe stata interpretata come una sconfessione della sua strategia. Eppure lo stesso generale Abizaid, capo delle forze impegnate in Iraq, aveva dichiarato che «Rumsfeld non ha più alcuna credibilità», mentre le tensioni fra il ministro della Difesa e il nuovo segretario di Stato Rice erano salite al punto che il primo non rispondeva alle telefonate della seconda. Bush, però, non aveva mollato: «Non ritirerò le truppe, anche se Laura e il mio cane Barney rimanessero gli unici a sostenermi». A quel punto, una volta deciso di andare avanti per la stessa strada, sono cominciate le negazioni della realtà. Nel febbraio del 2005, ad esempio, un rapporto della diplomazia aveva definito l’Iraq come «uno Stato fallito», ma nessuno lo aveva preso in considerazione. Oggi, secondo Woodward, il presidente continua a non dire la verità agli americani sulla gravità della situazione, anche se sul terreno avviene un attacco ogni 15 minuti.

Il colpo è stato così forte che la Casa Bianca ha pubblicato una smentita ufficiale, intitolata «Cinque miti chiave nel libro di Bob Woodward». Il primo mito è che un rapporto dell’intelligence del 24 maggio 2006 smentiva le valutazioni ottimistiche sulla guerra date dal presidente nei suoi discorsi; il secondo è che l’amministrazione ha ignorato le richieste di mandare più truppe; il terzo è che la Rice aveva liquidato gli allarmi di Tenet; il quarto sono le critiche di Abizaid a Rumsfeld; il quinto è il complotto di Card e Laura per licenziare il capo del Pentagono. Card, però, non ha negato di aver proposto la sua sostituzione con l’ex segretario di Stato Baker. Il libro di Woodward mette in discussione più la gestione della guerra che non la sua razionalità, ma i limiti di giudizio evidenziati nel governo fanno dubitare anche del processo che ha portato a decidere l’invasione. E un’altra biografia in arrivo, «Soldier: The Life of Colin Powell», di Karen DeYoung, mette il dito pure nella piaga della scelta strategica. I difensori della Casa Bianca dicono che Woodward attacca per rifarsi una reputazione, dopo le critiche ricevute per gli altri due libri troppo teneri con Bush. Bob però non fa parte della schiera dei «democratici disfattisti», e la sua denuncia corrode la pietra angolare della sicurezza, su cui i repubblicani hanno costruito la campagna per le elezioni di novembre.

p. mas.
Fonte:
www.lastampa.it