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Afghanistan, a febbraio tutti sotto comando statunitense

di Manlio Dinucci - 03/10/2006

 
Anche gli italiani finiranno alle dipendenze di Dan McNeil. Aggirato il dispositivo sul rifinanziamento della missione: un generale dell'esercito americano assumerà il controllo sia dei militari della nuova Isaf sia dei 10mila soldati Usa che combattono i taliban

Riuniti in Slovenia per un «incontro informale» del Consiglio nord-atlantico (28-30 settembre), i ministri della difesa dei 26 paesi della Nato hanno autorizzato l'Isaf a «espandere la sua area di operazioni ad altre 14 province nell'est dell'Afghanistan, accrescendo la presenza e il ruolo della Nato nel paese». A tale scopo il numero dei militari Nato sarà portato da 20mila a 32mila. Ciò grazie alla decisione del Pentagono di mettere sotto comando Nato 12mila soldati Usa di Enduring Freedom già impegnati nell'est del paese. Resteranno comunque sotto esclusivo comando Usa altri 10mila soldati, appartenenti per la maggior parte alle unità per le operazioni speciali. Con questa mossa il Pentagono ha aggirato la riluttanza degli alleati, tra cui Germania e Italia, ad accrescere le proprie forze in Afghanistan.
Il fatto che i soldati messi dagli Usa sotto comando Nato siano aumentati da 2mila a 14mila, non significa che il Pentagono intenda cedere il comando supremo agli alleati. Il «comandante di teatro» è in questo momento il generale britannico David Richards, ma egli dipende come tutti gli altri dal top operational commander (così definito nel comunicato del 28 settembre), ossia dal generale statunitense James Jones che è il comandante supremo alleato in Europa. Ma poiché fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, il Pentagono ha deciso di assumere il comando diretto anche della missione Nato Isaf.

Dal febbraio 2007 il generale a quattro stelle dell'esercito Usa, Dan McNeil, assumerà il comando sia della Nato Isaf che delle forze Usa in Afghanistan. Lo ha comunicato il 26 settembre il portavoce dell'Isaf, maggiore Luke Knittig. Egli ha precisato che la nomina di McNeil (che dovrà essere ratificata dal senato Usa) è stata approvata il 22 settembre «dopo una consultazione col segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer». Ciò permetterà di «unificare due comandi separati, quello delle forze della coalizione a guida Usa, con a capo il generale Usa Karl Eikenberry, e quello delle forze internazionali che ora operano sotto la Nato».

Da febbraio, dunque, anche il contingente italiano in Afghanistan sarà agli ordini diretti di un generale statunitense. Verrà in tal modo definitivamente vanificato quanto affermato nella «Mozione in materia di missioni italiane all'estero» (14 luglio 2006), con cui è stato risolto il contenzioso sul rifinanziamento della missione: «In territorio afghano l'Italia non è più in alcun modo impegnata militarmente nell'ambito della missione Enduring Freedom». Tale affermazione viene superata dal fatto che, con l'unificazione di tutte le forze direttamente nella catena di comando del Pentagono, di fatto il contingente italiano opererà nel quadro di Enduring Freedom, comunque sia denominato.
Ciò conferma che il coinvolgimento italiano nella guerra in Afghanistan non si può misurare solo in termini numerici. La questione nodale, elusa nel dibattito politico, è che le nostre forze armate sono inserite sempre più nella catena di comando e controllo del Pentagono. In tal modo esse vengono sottratte all'effettivo controllo del parlamento e dello stesso governo, legando sempre più il nostro paese alla strategia statunitense. Quando si aspetta ad affrontare tale questione? All'ultimo minuto quando, a dicembre, il governo riproporrà di rifinanziare la missione in Afghanistan?