Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Trump è la fine del '900 non dell'Impero americano

Trump è la fine del '900 non dell'Impero americano

di Simone Santini - 12/11/2016

Trump è la fine del '900 non dell'Impero americano

Fonte: Megachip

 

La fine del '900
Tra la sequela di sciocchezze proferite nella notte elettorale americana dai commentatori italiani, specchio provinciale ma non deformato del cretinismo dell'intellighenzia globalizzata, una sola frase mi ha colpito: con il 9 novembre 2016 è definitivamente finito il '900. In realtà il '900 finiva il 9 novembre del 1989, ma ne abbiamo preso atto solo ventisette anni dopo.
Lo spirito dell'Impero
Gli Stati Uniti sono una nazione-impero. Nascono con la missione spirituale di realizzare tale obiettivo messianico e le élite che li governano ininterrottamente da secoli sono votate al compimento di questo "destino manifesto".
I tre passi dell'Impero
Il primo passo fu la creazione della Nazione che i Padri fondatori fecondarono sull'ideale della Nuova Gerusalemme: per questo con una rivoluzione si staccarono dalla Madrepatria e poi combatterono una sanguinosa guerra civile tra i confederati che pensavano che l'Impero dovesse essere solo il Nuovo Mondo (con una economia terriera basata sul latifondo) e i federalisti che l'Impero dovesse essere Tutto il Mondo (con una economia capitalistica produttivista ed espansiva).
Il secondo passo fu una conseguenza naturale. Gli Stati Uniti combatterono due guerre mondiali e così conquistarono l'Occidente. Il necessario consolidamento dell'Impero occidentale avvenne durante la successiva guerra fredda. Già negli anni '70 la presidenza Nixon inaugurò quella che oggi conosciamo come "globalizzazione" (decretando che la moneta americana, il dollaro, dovesse essere la valuta di tutti i popoli) e negli anni '90 avevamo creduto che la globalizzazione fosse la "fine della storia". In realtà era una fase di transizione e di cerniera propedeutica alla conquista finale.
Nel terzo passo, a partire dalla caduta del Muro, siamo immersi fino al collo. Esso mira, ora sì, alla fine della Storia. La creazione di un Impero globale che porti l'Isola nordamericana al controllo del blocco eurasiatico, il Cuore della Terra. Detto in termini più prosaici, al controllo della Cina e della Russia.
L'Impero non è in crisi
Se si osserva una cartina politica del 1989 e la si confronta con una odierna, prendendo atto della progressione imperiale che in questi venticinque anni è dilagata nel mondo, ci si potrà rendere conto, con freddezza, della strategia concatenata di conquista politica, economica, militare compiuta dagli Stati Uniti.
Nel '90-'91, con la Guerra del Golfo, occupano militarmente la penisola arabica. Nel frattempo, e fino a nostri giorni, allargano la sfera d'influenza nell'Europa orientale, arrivando ad insediarsi stabilmente con la Nato, o strutture da essa dipendenti, ai confini della Russia, un arco che va dai Paesi Baltici all'Ucraina occidentale (con esclusione, per ora, della sola Crimea e della Novorussia) fino alla Georgia. Nei Balcani, nel corso degli anni '90, occupano militarmente gli snodi fondamentali dei corridoi commerciali ed energetici, in Bosnia e Kosovo. Dopo l'11 settembre 2001 occupano militarmente Afganistan e Iraq e, benché non consolidino in assoluto tale posizione, impediscono alla Cina di inserirsi nelle rotte strategiche tra India e Pakistan e Asia Centrale e creano de facto un fondamentale avamposto "usraeliano" nel Kurdistan iracheno, allargabile alla Siria e in futuro all'Iran. Con le primavere arabe fanno saltare in aria la Libia e sprofondano nel caos la Siria.
Molti ricorderanno la ormai celebre lista degli stati nel mirino rivelata dal generale Wesley Clark nel post 11 settembre. La tabella di marcia è in ritardo rispetto alle previsioni di allora ma gli obiettivi sono stati ormai quasi tutti raggiunti. Manca solo il più importante. L'Iran.
Se si osserva la realtà con gli occhi della storia, e non con quelli della cronaca, non si può che ammettere che l'Impero non è in crisi, bensì in piena offensiva.
Si potrà obiettare che in questa brevissima disamina non si è tenuto conto di altre importanti aree geografiche, come America Latina o Africa, su cui l'Impero, mentre procedeva verso Oriente, sembra aver perso almeno in parte il controllo. Anche qui, però, l'invito è a guardare la realtà con gli occhi della storia e non della cronaca. Cosa sarà rimasto in America Latina del bolivarismo chavista tra dieci o venti anni? E il futuro dell'Africa, di nazioni come Nigeria, Kenya, Sudafrica, sarà in seno alla Cina o piuttosto del Commonwealth britannico che risorge dalle ceneri della Brexit?  
Cos'è allora questa crisi?
L'Occidente è in crisi. L'Occidente ha la peste e infetta il resto del mondo. È crisi politica, dei valori e dei principi delle cosiddette democrazie liberali. È crisi economica, del modello capitalistico-finanziario che ha raggiunto i suoi limiti ed ha cominciato a mangiare se stesso per non collassare. È crisi demografico-ambientale, che minaccia l'esistenza stessa dell'umanità.
Storicamente, l'Impero si è finora identificato con il modello di nazioni liberal-democratiche e capitaliste. Tendiamo quindi a sovrapporre queste crisi a quella dell'Impero. Ma non è necessariamente così. I valori liberal-democratici, il capitalismo finanziario, le crisi ambientali sono strumenti di conquista usati dall'Impero, determinano cicli di caos distruttivo su cui rigenerare nuove forme di dominio. Ma gli strumenti del dominio non sono il dominio stesso, sono sue modalità funzionali.
Stiamo già osservando che quando il dominio sarà stato definitivamente stabilito, non necessariamente il modello politico e socio-economico ideale sarà liberal-democratico, quanto, piuttosto, oligarchico, gerarchizzato, piramidale.
Il dominio imperiale globale non ha necessariamente bisogno di nazioni liberal-democratiche, non ha bisogno del capitalismo finanziario, non ha bisogno di un ambiente sano a misura d'uomo. L'Impero potrà esistere, ed esisterà, anche senza di essi.
Trump
Le élite americane hanno scelto di porre Donald Trump alla guida pro-tempore dell'Impero non perché il sistema sia impazzito, ma perché è sembrato essere il candidato più adatto per questo tempo. Come lo sono stati Reagan, Clinton o lo stesso Obama. Tutti presidenti formidabili per il loro tempo, dal punto di vista dell'Impero.
A Trump, o meglio alla sua Amministrazione, saranno affidati questi compiti.
Ripristinare e proteggere l'economia interna ricostruendo le sue basi fondamentali. Stati Uniti di nuovo come motore produttivo, manifatturiero, con piena occupazione. Fine delle delocalizzazioni selvagge.
Distensione con la Russia ma senza cedere nulla di quanto conquistato finora. Congelamento dello status quo, fine delle aggressioni, reciproco rispetto formale e collaborazione laddove gli interessi fossero convergenti.
Massima competizione commerciale ed economica con la Cina ma senza spingere al momento sull'acceleratore del confronto militare. Massimo sostegno alla cintura di contenimento anti-cinese sul Pacifico, dalla Corea del Sud al Giappone, dalle Filippine al Vietnam, dalla Thailandia al Myanmar. La Cina, per ora, non va affrontata ma accerchiata e colpita ai fianchi. Sul medio periodo si dovrà alzare sempre più l'asticella della competizione globale e porre Pechino davanti ad una scelta strategica: accettare la supremazia americana in cambio di una parziale condivisione dei dividendi dell'Impero oppure il confronto militare, sempre più aggressivo.
Concentrarsi nell'immediato sullo scacchiere mediorientale, lo scenario più urgente. Fine della sponsorizzazione del jihadismo sunnita, che ha esaurito in quell'area la sua funzione, e spinta verso la democratizzazione delle petromonarchie del Golfo, a partire dall'Arabia Saudita. Il nemico principale, tuttavia, torna ad essere lo sciismo politico e i suoi alleati, il cosiddetto asse della resistenza, e il suo centro nevralgico, l'Iran.
Sostanziale freddezza per tutto l'apparato delle organizzazioni e dei trattati sovranazionali. Si favorirà il ritorno agli stati nazionali a sovranità controllata. Organizzazioni come l'Unione europea hanno fatto il loro tempo. Non saranno difese ad oltranza se lo spirito del tempo spingerà verso la loro dissoluzione.
Conclusioni
I fautori di un mondo multipolare e della sovranità popolare non possono essere rassicurati da una presidenza Trump né consolati dalla prospettiva che Hillary Clinton sarebbe stata peggio. Come popoli europei, due sono le direttive, per quanto sarà possibile fare: contrastare ogni tentativo di aggressione all'Iran; sostenere trasversalmente tutti quei partiti e movimenti di massa che ambiscono a recuperare il massimo di sovranità popolare-nazionale.
È possibile che nei duri anni a venire, come nel caso di ulteriori crisi sistemiche e/o di dissoluzione della Ue, si possano riaprire spazi di manovra in cui il politico prevarrà sull'economico. Ricordandoci che il '900 è finito, l'Impero americano no.