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Karaoke

di Goffredo Fofi - 04/10/2006





Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, questo brano tratto dal libro di Goffredo Fofi “Da pochi a pochi, appunti di sopravvivenza”, editore Elèuthera.

È certamente il karaoke il modello educativo berlusconiano, compimento di un progetto latente nella nostra società da molti anni, perlomeno dai primi anni Ottanta. In che consiste? Nel burattinizzare un popolo, cominciando dalla sua gioventù.

In Pinocchio, il libro più rappresentativo della nostra storia letteraria otto e novecentesca, si cominciava burattini e si finiva esseri umani attraverso un durissimo apprendistato e avventure, fame, fatiche, paure, vanità, rischi, persecuzioni da parte di guardie e di ladri e di giudici, irriverenze, reverenze, sogni, delusioni, confetti, frustate. Nella voga del karaoke si è assistito ai tempi di Fiorello e del trionfo di Berlusconi a un'operazione diversa: piazza per piazza (senza trascurarne nessuna, senza dimenticare un solo centro di un solo paese e paesino), il sempre-ridente e molleggiato Fiorello, che si lasciava manipolare per il successo da marionettisti più astuti nella amministrazione del paese di Bengodi, prendeva dal pubblico (dalle «masse») una persona alla volta e la sbatteva davanti alle telecamere indicandogli le mosse da fare, la poesiola da recitare: insegnandogli i trucchi della perfetta imitazione in una perfetta illusione di protagonismo.

Nella società che tanti anni fa ci si preparava e che poi è arrivata saremo tutti famosi, cinque minuti per uno diceva preveggente Andy Warhol. La tappa intermedia, nella società dello spettacolo, l'ha segnata Arbore con le sue trasmissioni festaiole, dalle quali estraeva un divo transitorio riconoscibile per un suo tic, che bastava a illuderlo (illudendo tutto un popolo che bastasse un tic o un look) di essere diverso dagli altri, originale e unico. Come un burattinaio, modello per altri burattini.

Il compimento è stato il karaoke di Fiorello, data importante per la società dello spettacolo almeno quanto lo era stato anni prima la diretta da Vermicino. Volete mettere il karaoke con il passo dell'oca del tempo di Hitler? Oggi non c'è più bisogno, almeno in Occidente, di dittature: la «gente» aderisce spontaneamente, la «gente» è allegra e ricca e si diverte. Nel potere si ha sempre a che fare, tra gli animali-uomini, come diceva il vecchio Orwell, con animali che predicano l'uguaglianza e che sono più uguali degli altri: sono i maiali, gli animali da comando. Oggi il segreto del potere sta nel personalizzare il passo dell'oca. Sta nel far credere a ciascuno di essere diverso (o meno uguale), sta nel solleticare il suo narcisismo e nel fargli piacere, con queste consolazioni, l'assoluto conformismo che gli viene richiesto.

Il segreto sta nel «decervellarlo» l'animale-suddito, diceva il dittatore della grande farsa futuribile, il «padre Ubu» di Jarry, ma facendogli credere di entrare così nel mondo perfetto dei senza-pensieri, nel paese dei balocchi. Il bello è che, salvo guerre mondiali e carestie, il gioco funzionerà, per il motivo semplice semplice che, qui in Italia, abitiamo quella parte del mondo privilegiatissima nella quale il benessere è assodato, alta è la capacità d'acquisto, e non vige morale diversa da quella dello star bene e del possedere sempre di più, come unica garanzia e unico ideale dello star bene. Dato il benessere, data la televisione, a che serve il passo dell'oca? A niente. A che serve il karaoke? A tutto.

Parlavo di progetto educativo «karaoke». Esso infatti riguarda in particolare i giovani, anche se in questa società si è giovani fino a età indefinibili, salvo precipitare poi velocemente e irrimediabilmente non nella vecchiaia, ma nella decrepitezza. D'un colpo si passa dalla gioventù alla pensione. E maturi sono solo i governanti e i presidenti della Repubblica (e di « la Repubblica »). Non vi ha colpito sapere che il nostro re dei puffi, giunto al potere tramite tv e tramite assenza d'opposizione (di progetto diverso dal suo fondato su modelli, valori, comportamenti, norme di convivenza diversi da quelli che lui proponeva), non permetteva ai figli di vedere la televisione? (Lo so, ha la moglie steineriana; un tocco di originalità ci vuole, nel quadro delle molteplici imitazioni ed evocazioni burattinesche; ma il risultato è lo stesso: ai figli di Berlusconi non era permesso vedere la televisione, che è invece nel modello Berlusconi l'arma della conquista e della conservazione del potere, vista obbligatoriamente da tutti i bambini e giovani d'Italia, e anche da quei neo-giovani – non perché la moda lo impone, ma per effetto di regressione e rincoglionimento – che sono gli anziani).

Tutti i bimbi d'Italia, di tutte le età e correnti d'opinioni, destra-centro-sinistra, guardano la televisione. Ma i figli di Berlusconi non la guardano. E studieranno, da grandi, come quelli di Agnelli, in Svizzera o usa. E studieranno da capi, da padroni, da burattinai in grado di manipolare i milioni di abitanti di un paese che fa parte ancora per poco dei più Grandi del mondo per potere economico.

Continuo a girare intorno al problema dei giovani, ma è chiaro che non vedo oggi gran differenza tra giovani e meno giovani, in un mondo tutto giovanile e scattante, fiorellesco e arboriano. L'unità nasce dal fatto che tutti vogliono essere giovani, e che tutti veniamo trattati da eterni giovani. Il progetto educativo è uno solo, ed è facile facile. Forse soltanto nell'infanzia si avverte ancora negli italiani il brivido della coscienza e dell'autonomia del pensiero, non ancora irrimediabilmente inquinato da insegnanti «giovani», da media zeppi di «giovani», servi di un burattinaio forse provvisorio (altri ne verranno!) e forse non tanto (durerà il suo modello, durerà, salvo crisi economiche, salvo guerre e catastrofi).

Dunque, la stragrande maggioranza dei nostri giovani sono stati cresciuti nella convinzione, che un tempo se la potevano permettere, per dire, solo i Cacciari e gli Agnelli, di onnipotenza: aitanti, felici, consumisti, intelligenti, ciascuno con il look personalizzato. Ai giovani si è fatto credere di essere ciascuno unico, eccezionale, irripetibile, fortunato, mentre sono trattati e cresciuti da burattini, da imbecilli. Si sono fatti fottere molto facilmente, i giovani, da un modello tremendamente falso, in cui hanno creduto perché era «l'unica proposta di mercato», la pubblicità più ossessiva di tutte. E si è fatto credere anche ai vecchi di essere giovani, di far parte della parte vincente dell'umanità. Su, fate uno sgargiante sorriso alle telecamere, giovani e vecchi, in puro stile coca-cola. E battete le mani, applaudite, applauditelo, applauditevi!