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Destra/Sinistra, la deriva egualitaria

di Carlo Corsale - 30/10/2005

Fonte: opifice.it

Provate a pensare alla storia dell'elefante che entra nel negozio di cristalli, o ancora a quei quattro rinoceronti che cercano di prendere posto all'interno di una cinquecento. Da una parte c'è un mondo fatto di delicatezze, di piccoli e misurati gesti, dall'altra invece si muovono dei pachidermi che palesano imbarazzo, difficoltà. Con questa e con mille altre metafore si potrebbe disegnare la vicenda metapolitica che ruota intorno al dualismo (binomio?) Destra/Sinistra.

Contenitori vuoti di idee vecchie, involucri colorati e allettanti che celano una sostanza inconsistente, bucce che ricoprono un frutto oramai marcio.

La vita politica che quotidianamente ci viene dipinta dall'informazione persiste nel rappresentare delle istanze che non hanno più ragione di esistere; manda in scena uno spettacolo che il pubblico conosce a memoria, ma di cui non riesce ad apprezzare il significato, il messaggio.

La società dei consumi, quel meccanismo che nelle parole di Massimo Fini si autoraffina ed oramai va avanti in totale indipendenza da chi l'ha creato, pone quotidianamente innumerevoli domande, crea giocoforza dei terreni di scontro, costringe il politico ad una scelta. Ecologismo profondo o sviluppo senza freno? Riconsiderare i parametri del progresso o incentivarne la marcia? Globalismo o regionalismo? Bene o male?

Queste ed altre numerosissime domande rimangono tuttavia prive di una risposta efficace. Davanti al problema ecologico ci si divide tra sostenitori dello sviluppo a prescindere e sognatori di un progresso “buono”, in entrambe le circostanze è palesemente disattesa la prospettiva di un definitivo cambio di marcia, di una ridiscussione totale del nostro modus vivendi. E così avviene per la deriva progressista, la quale mette sullo stesso piano una sinistra che nel progresso ha il codice genetico ed una destra imbevuta di stupido liberalismo e quindi ancor più risoluta nel spingere sull'acceleratore. Si assiste a rivendicazioni identitarie e a carattere nazionalista da parte di movimenti dell'ultrasinistra, con una destra che – in evidente imbarazzo – non riesce ad instaurare un dialogo con le realtà regionali. Si combattono guerre promosse tanto dalla destra quanto dalla sinistra, in nome degli stessi principi e con in ballo gli stessi interessi.

Lo spettacolo è quindi desolante, l'incapacità di rispondere ai nuovi impulsi da parte del mondo politico conformista è lampante, così come è lampante la voglia e l'interesse di protrarre questo spettacolo il più a lungo possibile. Si continua a gettare benzina su un fuoco di cui sono rimaste le ceneri, con la sola ed evidente intenzione di conservare il potere.

Tutto può essere concesso tranne che una ridiscussione dei parametri sui quali poggia la società odierna. E' altresì vietato mettere sul banco degli imputati quei valori e principi che, emersi più di duecento anni fa dalla Rivoluzione Francese, rimangono dei pilastri fondamentali del modus operandi occidentale. E anzi con essi e per essi ci facciamo promotori di aggressioni in più parti del mondo nei confronti di quelle realtà che hanno ritmi, regole, leggi e parametri diversi dai nostri.

L'ingombrante paradosso della democrazia occidentale è insito nella sua natura: incapace di accettare la diversità ed ormai inabile nel confrontarsi con le conseguenze che il suo stesso modello ha prodotto, si rinchiude in sé stessa, chiude gli occhi e, con in mano un mitra, spara all'impazzata verso tutto quello che non riconosce come suo. L'educazione alla complessità che nella società globale dovrebbe essere il vero terreno fertile sul quale seminare il germe politico è colpevolmente soppiantata da uno strisciante ed arrogante anti-relativismo culturale a destra e da un'incapacità di calarsi nella profondità del diverso (appunto perché diverso e non eguale) della sinistra.

A guerre di aggressione portate avanti da entrambi i pachidermi del mondo politico occidentale risponde – alla meglio – uno stupido pacifismo in salsa radical-chic, imbevuto di ipocrisia e di falsi miti di uguaglianza e di difesa dei sacrosanti diritti umani, in nome della pace e contro qualsiasi guerra. Sempre e comunque.

Allontanandosi da una disamina che appare a tratti persino fin troppo facile, diventa di primaria importanza confrontarsi con quelle realtà che giocano la loro partita su campi diversi. Il movimentismo, l'agire metapolitico, la versatilità di internet e la forza dei mezzi di comunicazione (tralasciando ovviamente le lottizzazioni a cinque stelle…) appaiono la reale alternativa entro la quale alimentare una dialettica anticonformista.

Rivolgersi alle comunità politiche che fanno della difesa delle identità il loro vessillo principe è il compito fondamentale, farsi promotori del germe della diversità e dell'accennata educazione alla complessità può e deve essere il monito per chi non si riconosce nella rappresentazione teatrale dei parlamenti di mezzo mondo.

Riscoprire innanzi tutto il valore delle identità, per costruire nelle coscienze degli anticorpi efficaci contro la deriva egualitaria ed umanitaria.

In questo senso ha valenza autentica la valorizzazione della comunità umana e politica, che non può prescindere dal legame forte con la natura ed il mondo circostante. La speranza è quella di costruire un'Europa che sappia vivere di sé stessa, che sappia guardarsi dentro prima che attorno; un'Europa delle macro-regioni, delle piccole patrie. Un'Europa identitaria, fortemente identitaria.

Tutto il contrario del mondo monocolore che oggi ci circonda, tutto e il contrario di tutto, ma non questo mondo.