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Farmaci,verità sul mercato mondiale

di Monia Cappuccini - 19/10/2006

 
Il grande imbroglio, la truffa del secolo. Non esistono altre definizioni per il mondo delle Big Pharma, alla luce di quanto emerge da Farma&Co. Storie straordinarie di ordinaria corruzione (Il Saggiatore, pp. 254, euro 16,50, introduzione di Domenico Gallo), l’inchiesta a firma di Marcia Angell, medico ed ex-direttrice del New England Journal of Medicine - una delle riviste mediche più prestigiose al mondo. Che i colossi dell’industria farmaceutica agiscano nel mercato globale alla stregua di qualsiasi altra impresa commerciale, benché abbiano a che fare con la salute, il benessere e la sopravvivenza delle persone, non è mai stato un mistero per nessuno. Basti pensare alla vergognosa vicenda dei farmaci retrovirali per la cura dell’Aids, negati ai paesi del terzo Mondo per non perderne il monopolio.

Marcia Angell non si limita a smontare il castello di bugie costruite per coprire un vertiginoso volume d’affari, ma delinea la sua inchiesta lungo un asse che spiega i meccanismi che legano i laboratori per la sperimentazione alle stanze del potere. Facendoci comprendere quali ragioni di opportunismo politico abbiano spinto l’industria farmaceutica americana, nel giro degli ultimi vent’anni, al terzo posto nella classifica delle più remunerative al mondo, preceduta solo da petrolio e banche commerciali. Alcuni dati basteranno a comprendere l’entità del volume di affari in cui l’inchiesta si addentra: un fatturato annuo di 400 miliardi di dollari (di cui la metà realizzato negli Usa); dal 1960 al 1980 vendita di farmaci cresciuta in linea con l’incremento del pil e triplicata nel ventennio successivo, con un rendimento medio che si attesta del 18% sulle vendite e del 33% sui valori azionari.

Cifre da capogiro e scalate in odor di miracolo economico. L’inchiesta si riferisce a situazioni peculiarmente americane, ma ha il merito di spiegare le linee di tendenza che regolano il funzionamento dell’industria globale del farmaco, distribuita equamente tra America ed Europa. Per cominciare, la ricerca e lo sviluppo rappresentano una parte relativamente piccola nei budget delle grandi aziende farmaceutiche, ridotte a poca cosa se paragonata alle enormi spese per il marketing e l’amministrazione. In secondo luogo, per quanto possa sembrare incredibile, l’industria farmaceutica non è particolarmente innovativa e negli ultimi anni è stata introdotta nel mercato solo una manciata di farmaci nuovi, mentre la maggioranza di essi risulta essere una semplice variazione su quelli già presenti sul mercato (tra il 1998 e il 2002 la Food and Drug Administration ha approvato 415 nuovi farmaci, di cui 133 erano entità molecolari effettivamente nuove mentre solo 58 offrivano un beneficio superiore a quelli già in commercio). Infine, l’industria farmaceutica non rappresenta un modello di libera impresa ma rimane completamente dipendente dai monopoli garantiti dal governo.

Negli Stati Uniti tutto ebbe inizio nel 1980 sotto la presidenza di Ronald Reagan, con l’approvazione della legge Bayh-Dole, dal nome dei due senatori promotori - uno democratico l’altro repubblicano -, che consentì alle università e alle piccole aziende di brevettare i ritrovati, frutto di ricerche finanziate dal National institutes of health, il maggior distributore di soldi dei contribuenti per la ricerca medica, e di concedere licenze esclusive alle aziende farmaceutiche. Così l’industria farmaceutica è andata strutturandosi come una formidabile macchina commerciale, il cui core business è prolungare il brevetto sulle varie specialità, decaduto il quale infatti il prodotto (declassato a farmaco generico) subisce un deprezzamento dell’80%.

Ricerche e sperimentazioni truccate, sindromi inventate a tavolino come il “disordine di ansia sociale”, medici comprati con sovvenzioni da favola, modifiche “cosmetiche” a farmaci già esistenti. «E’ straordinaria - sottolinea Marcia Angell - la pressoché totale mancanza di consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale in proposito, nonostante sia evidente di per sé che, per dirne una, il contenuto educativo di congressi organizzati dalle aziende, in genere veri e propri viaggi-merenda in splendide località di villeggiatura dove i medici vengono ospitati in alberghi lussuosi e intrattenuti in banchetti regali, non può che essere prossimo allo zero». Farma&Co ha il merito di ristabilire la verità sul mercato della salute, illustrando il funzionamento della catena industriale che dai fondi pubblici per la ricerca arriva fino ai pazienti. Sui quali, particolare non meno importante, grava l’intero costo di questa gigantesca macchina in guerra contro la loro stessa salute. Negli Stati Uniti infatti non esiste regolazione sul prezzo dei farmaci, che rimane totalmente a carico dei pazienti o, per chi se lo può permettere, delle assicurazioni private. L’ennesima menzogna, ancora un altro scandalo d’America, non a caso scelto dal regista Micheal Moore come materia d’indagine per il suo prossimo film Sicko.