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Ma alla fine vinceranno i Talebani

di Massimo Fini - 26/10/2006

 

David Richards,
generale inglese cui
gli americani, dopo
aver fatto strage di decine
migliaia di civili di cui la
stampa occidentale non dà
notizia, hanno lasciato da
luglio lo scomodo ruolo
comandante delle forze
NATO in Afghanistan, ha
ammesso che solo il 20% della
popolazione appoggia
governo Karzai che è alle
dirette dipendenze dell’Amministrazione
USA; il resto,
quattro quinti, sta con
Talebani. E ha aggiunto che
anche quel 20% «deciderà
di appoggiare il mullah
Omar se nei prossimi sei
mesi non vedrà un miglioramento
delle proprie condizioni
di vita». Ma questo
impossibile, perché è proprio
la presenza occidentale,
armata e non, in quel
Paese ad averlo destrutturato,
economicamente
socialmente.
Gli afghani sono sempre stati
poveri, ma una cosa
essere poveri dove tutti sono
poveri e, una volta assicurata
la sussistenza, l’economia
ha poca importanza, perché
su di essa prevalgono i valori
tradizionali, familiari,
religiosi, altra è esserlo
un Paese dove prillano
improvvisamente enormi
ricchezze, fatte col traffico
di droga e con le attività criminali,
e dove
si è insinuato il tarlo
occidentale: il Dio Quattrino.
L’Afghanistan è sempre
stato un Paese agricolo,
dove la gente viveva di economia
di sussistenza, autoproduzione
e autoconsumo,
ed era contenta così. Oggi
Kabul ha quasi quintuplicato
i suoi abitanti, da 1 a 4,5
milioni, e così le altre più
importanti città. Questa
gente inurbata, spaesata,
non ha altra risorsa che la
criminalità, gli aiuti pelosi
vendersi agli occidentali (il
20% che li appoggia).
I Talebani avevano
riportato l’ordine,
e sia pure un
duro ordine, in un
Paese dove, a causa
della devastazione
provocata
dall’invasione
sovietica, i leggendari
comandanti
che l’avevano combattuta
erano
diventati, insieme
ai trafficanti di
droga che lo erano
sempre stati, dei
capi mafia che
taglieggiavano la popolazione,
che rubavano, ammazzavano,
stupravano. I Talebani,
con la loro valenza
guerriera, le loro fortissime
motivazioni ideologiche,
l’appoggio della stragrande
maggioranza della popolazione,
li avevano messi a
cuccia.
In quanto ai trafficanti di
droga, nel 2000, un anno
prima dell’invasione americana,
il mullah Omar aveva
proibito la coltivazione del
papavero da cui si ricava
l’oppio e questa produzione
era crollata praticamente a
zero (si vadano a vedere le
statistiche, please: Corriere
della Sera, 17/06/2006). Solo
un uomo dell’enorme prestigio
morale di Omar, giovanissimo
combattente nella
guerra contro l’URSS, in cui
aveva perso un occhio, leader
spirituale che anche
quando fu al vertice del
potere continuò a vivere da
povero tra i poveri, poteva
ottenere una cosa del genere
che colpiva centinaia di
migliaia di contadini, cioè
suoi sostenitori. E per i criminali
c’erano le severissime
leggi della sharia.
Oggi l’Afghanistan ha il
93% della produzione mondiale
di oppio, sulla quale
lucrano la cricca di Karzai,
i criminali e gli occidentali,
fra cui molte Ong, mentre al
contadino afghano resta
meno dell’1%.
Le bande criminali sono tornate
a spadroneggiare e la
sicurezza, che le truppe
occidentali avrebbero dovuto
garantire al posto dei
Talebani, è quella che tutti
possiamo vedere. Ma
soprattutto gli afghani,
popolo orgoglioso e guerriero,
non tollerano la presenza
di stranieri armati sul
loro suolo. Non tollerano
che le loro tradizioni siano
sostituite da Codici penali e
civili scritti dagli occidentali
(fra cui c’è anche la nostra
Margherita Boniver, roba
da matti). E si battono con
la valenza di sempre: un
tenente inglese raccontava il
suo stupore nel vedere i
Talebani, con quei loro vestiti
che sembrano una camicia
da notte, le ciabatte ai piedi,
armati di fucili, andare
all’attacco di un esercito
moderno costantemente protetto
dall’aviazione americana.
Dice il chirurgo Marco
Garatti, da anni in Afghanistan:
«Le offensive militari
internazionali non sono servite
a nulla, se ammazzano
500 Talebani ne arrivano
altri 5mila».
Gli afghani ci hanno messo
10 anni per cacciare i sovietici,
il primo Occidente che li
ha aggrediti (perché Marx è
nato a Treviri, non a
Kabul).
Prima o poi, con pazienza,
cacceranno anche noi. A
pedate nel culo.

www.massimofini.it