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Liberiamo la diversità: le sementi e i privilegi dell'agricoltore

di redazionale - 30/10/2006



 

Se ne è parlato in Spagna a "Liberiamo la diversità", l'appuntamento tra le reti di sementi contadine organizzato dalla Red de Semillas


Non c'è spazio per la diversità nel nostro sistema agricolo, per quanto riguarda le sementi. Ma il malessere di fronte a norme di legge restrittive è sempre maggiore: in Francia e Germania, dove le industrie sementiere agiscono con più fermezza e rigore, capita ormai che degli agricoltori siano citati in giudizio per aver riprodotto sementi nelle loro aziende e magari averle vendute. Inoltre la legge vuole che le varietà siano distinte, uniformi e stabili. In questo contesto non poteva che chiamarsi «Liberiamo la diversità» l'appuntamento tra le reti di sementi contadine che si è tenuto in Spagna dal 12 al 14 ottobre, organizzato dalla Red de Semillas («rete dei semi»).

L'incontro spagnolo segue quello del 2005 di Poitiers (Francia), che ha sancito la nascita di un vero e proprio movimento europeo sulle sementi contadine. L'obiettivo è recuperare saperi (ma non potremmo chiamarla scienza?) e varietà, magari riprendendole dalle banche frigorifere dove sono state conservate, e usare questa diversità biologica per costruire un modello agricolo alternativo.

Il miglioramento delle varietà locali in un processo di ricerca partecipata tra contadini e ricercatori non è più un miraggio: ha cominciato a diventare realtà nei paesi del sud del mondo e lentamente sta entrando anche nei nostri centri di ricerca.

Queste sementi, anche l'agricoltura biologica se ne sta accorgendo, sono quelle più adattate ai diversi ambienti in cui dovranno essere coltivate, quindi avranno bisogno meno input. Inoltre, con le sementi contadine è possibile creare delle filiere locali in grado di valorizzare il lavoro degli agricoltori. Si pensi, ad esempio, ai panifici che fanno il pane con tecniche tradizionali e hanno bisogno di varietà e lieviti adatti al loro sistema di panificazione.

Le reti di sementi contadine europee non si limitano a rivendicare il diritto di riprodurre in azienda sementi migliorate e certificate, quello che la legge definisce «privilegio dell'agricoltore» e che con il tempo sta scomparendo dalle nostre legislazioni. Si badi bene alla parola «privilegio»: non è un diritto dell'agricoltore, è una deroga che viene concessa per generosità. Il nuovo movimento vuole, piuttosto, sottolineare la centralità del contadino (e dei saperi tradizionali di cui è portatore) all'interno del sistema di produzione e miglioramento delle sementi: l'innovazione non nasce solo nelle accademie ma anche nei campi.

La scienza e la legge, al contrario, hanno cercato negli ultimi cento anni di allontanare sempre più il contadino dalla produzione sementiera, non riconoscendo il sistema di valori e di conoscenze legato al suo mondo. Il brevetto non è altro che l'ultimo tassello di un percorso lineare compiuto dalle società occidentali e che ora si impone al resto del mondo.

Nei tre giorni di incontro spagnolo ci sono state discussioni tecniche sulla legislazione sementiera europea (ad esempio sull'inattuata direttiva 98/95 che istituisce le varietà da conservazione), e sui diritti degli agricoltori sanciti dal Trattato Fao (l'organizzazione dell'Onu per l'alimentazione) sulle risorse genetiche agricole, che purtroppo restano lettera morta. Altri incontri più pratici trattavano della produzione di sementi in azienda o della commercializzazione locale dei prodotti agricoli. Anche la questione Ogm è stata affrontata, per ribadire il rifiuto del «geneticamente modificato» e testimoniare l'esistenza di un modello di ricerca agricolo alternativo.

Una delle proposte dell'incontro «Liberiamo la diversità» è stata quella di usare il termine sementi contadine al posto dell'ormai abusato biodiversità o risorse genetiche. Il passaggio non è scontato: la biodiversità e ancor di più le risorse genetiche sono termini sostanzialmente neutri, astratti, che non rimandano all'azione dell'uomo. Anzi, in genere, il termine esclude l'uomo, e rimanda all'inutile diatriba tra natura e uomo. Sono parole che vanno bene per conservare le sementi in asettiche banche o per discuterne in convegni internazionali. Diventano prive di significato in un contesto produttivo agricolo. Le sementi non sono naturali, sono il frutto della selezione negli anni degli agricoltori: e solo nell'ultimo secolo sono diventate appannaggio esclusivo dell'industria sementiera e della ricerca ufficiale. Ecco perché è importante non usare «biodiversità agricola», ma «sementi contadine».

Va messo in risalto il lavoro umano, le mani, le facce, il sudore che hanno creato e riprodotto le sementi fino ai nostri giorni. I diritti su queste sementi sono collettivi ed è una pazzia imporre brevetti e monopoli in un sistema di creazione dell'innovazione basato sullo scambio e il lavoro incrementale attuato da tante persone.