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Uno scenario apocalittico per l'economia globale

di Marzio Paolo Rotondò - 02/11/2006

 
Peggio della ‘grande depressione’ e di tutte le guerre mondiali messe insieme. I cambiamenti climatici rischiano di essere a lungo termine un gravissimo problema, oltre che per il pianeta, anche per l’economia mondiale. L’allarme è stato lanciato ieri in un rapporto commissionato dal governo britannico a Sir Nicholas Stern, ex capo economista della Banca Mondiale. Nell’approfondito studio di settecento pagine, Stern giunge alla conclusione che si è ancora in tempo per evitare il peggio ma i governi dovranno agire al più presto per arginare gli effetti dei cambiamenti climatici, già oggi tangibili. Se invece non verrà fatto nulla per alleggerire l’inquinamento quotidiano che devasta ogni giorno di più il nostro pianeta, le conseguenze potrebbero essere drammatiche sia dal punto di vista della salute collettiva del pianeta che per l’economia mondiale.
Tsunami, tornado, uragani, siccità, alluvioni, desertificazione, effetto serra, riscaldamento globale, buco dell’ozono, contaminazioni, ed altro ancora sono il prezzo da pagare per un progresso economico e tecnologico non sostenibile, cieco a tutto quello che non genera profitto.

Le previsioni per il futuro si fanno sempre più pessimistiche e l’opinione pubblica inizia a rendersi conto di questa situazione intollerabile. Il costo del profitto incondizionato incomincia a diventare molto alto, tanto da creare problemi non solo alla nostra stessa sopravvivenza, ma anche agli stessi interessi delle persone che operano nella spirale distruttiva del guadagno, grandi responsabili dei cambiamenti climatici.

Secondo lo studio commissionato dal governo britannico, se non verrà fatto nulla per contrastare la nostra espansione autodistruttrice, la perdita economica nei prossimi decenni si attesterà a circa il 20% del Pil modiale, ovvero i costi materiali, e forse anche umani, della somma delle due guerre mondiali. Infatti, nei prossimi anni si rischia di vedere 200 milioni di possibili profughi, la maggiore migrazione della storia moderna, causata dalla distruzione di intere zone da siccità e alluvioni.
L’unico modo per fare fronte all’emergenza è sostenere costi equivalenti all’1% del Pil mondiale entro il 2050; un costo già elevato, stimato a 5 mila miliardi di euro, ma che potrebbe salire ulteriormente a 12 mila miliardi di euro se il problema venisse trascurato. Un prezzo sicuramente astronomico, ma tutto sommato irrisorio rispetto ai danni irreparabili che stiamo procurando senza indugio alla vita sul nostro pianeta.

Per evitare in parte un disastro che stiamo già causando da anni e che continueremo ancora a provocare per molto, il rapporto di Stern parla chiaro: l’obiettivo dell’economista è stabilizzare le emissioni di Co2 a 500-550 parti per milione rispetto alle attuali 430. A prima vista pare un risultato assai ragionevole, ma il rapporto spiega che per raggiungerlo, da qui al 2050, bisognerà ridurre di tre quarti le emissioni potenziali che si accumulerebbero al ritmo di crescita attuale. Per fare ciò, oltre a ridurre le emissioni di Co2, i governi dovranno porre al più presto un freno alla deforestazione che pesa per ben il 18% delle emissioni mondiali, più di quanto causato dall’intero sistema dei trasporti. Bisognerà promuovere dunque progetti ambiziosi, che coinvolgano la sensibilità di governi e cittadini, e soprattutto che riescano ad infrangere il muro degli interessi delle potentissime multinazionali e delle corporazioni, spesso indisposte a tali radicali cambiamenti.

Sarà inoltre compito arduo far cambiare rotta a tutti quei Paesi che non hanno firmato un blando Protocollo di Kyoto, in testa gli Stati Uniti, la più grande macchina industriale ed economica al mondo che si ostina a promuove una politica distruttrice. La Conferenza Internazionale sui cambiamenti climatici indetta annualmente dall’Onu, in programma a Nairobi dal 5 novembre, si pone come sfida proprio convincere gli Stati Uniti ad aderire al Protocollo, oltre che accelerare la messa a punto di serie regole a lungo termine, necessarie per stabilire le tappe di un cambiamento indispensabile. Infatti, malgrado i risultati fissati per la prima fase dell’accordo internazionale siano piuttosto modesti, ovvero la riduzione del 5% delle emissioni di gas serra entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990, la comunità mondiale fatica a centrarli. Fra il 2000 e il 2004 le emissioni da parte dei Paesi industrializzati sono invece aumentate dell’11%. Al momento, inoltre, il Protocollo di Kyoto non prevede nessun limite alle emissioni dei Paesi di via di sviluppo come Cina e India, che però hanno ormai raggiunto quelle delle grandi potenze industriali.

Da questo punto di vista lo studio britannico di Stern propone di estendere il sistema detto ‘cap and trade’, nel quale le emissioni di anidride carbonica vengono fissate a un certo tetto massimo: se un’azienda vuole inquinare di più deve comprare questo diritto da industrie meno inquinanti, che non raggiungono il tetto. Così, si auspica, le aziende accelereranno la ricerca di sistemi di produzione meno inquinanti. I governi, al tempo stesso, devono raddoppiare gli investimenti nella ricerca di fonti energetiche pulite ed i cittadini devono essere più consapevoli che il cambiamento di certi comportamenti può contribuire molto ad una causa che coinvolge tutti noi ed i nostri figli.

È necessario dunque prendere maggiore consapevolezza del possibile scenario apocalittico che potrebbe caratterizzare la quotidianità del futuro. Il grande sforzo deve essere fatto da ognuno di noi, ma per arrivare ad una società sostenibile è necessario che vi siano precise scelte politiche che vadano contro le ideologie di mercato, al consumismo sfrenato ed i grandi interessi economici, veri e propri macellai del nostro pianeta e della nostra società.