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Così in alto, così in basso: l'unità del tutto secondo Gurdjieff

di Georges Ivanovitch Gurdjieff - 02/11/2006

Fonte: globalvillage

 

 

Lei è un esperto di letteratura occulta", cominciò Gurdjieff, "e per questo motivo mi riferirò alla ben nota formula della Tavola Smeraldina di Ermete: "Come in alto, così in basso". Questa formula è un ottimo punto di partenza per la nostra conversazione. Ma le premetto che non è affatto necessario ricorrere all'occultismo per avvicinarsi alla conoscenza della verità. La verità parla da sé, qualunque sia la forma in cui si manifesta. Questo fatto le si chiarirà solo con l'andar del tempo, ma fin d'ora vorrei almeno un granello di comprensione. Ripeto, parto da questa formula occulta perché sto parlando con lei. So che ha tentato di decifrarla, e che in un certo senso la comprende: ma questa sua comprensione non è che un debole e lontano riflesso della luce divina.

"Non le parlerò della formula in se stessa, né ho intenzione di analizzarla o decifrarla. Non si tratta di discuterne il significato letterale, ma di prenderla semplicemente come punto di partenza; e parleremo della grande unità di tutto ciò che esiste, dell'unità nella diversità. Voglio attirare la sua attenzione su due o tre facce di un prezioso cristallo, per individuare le immagini quasi impercettibili che vi si riflettono.

"So che lei capisce l'unità delle leggi che governano l'universo, ma le dirò che la sua comprensione è solo astratta e teorica. Non basta che lei concepisca con l'intelletto, ma deve sentire con tutto il suo essere l'esattezza assoluta e l'infallibilità di tale verità; soltanto allora potrà dire in coscienza e con piena convinzione: io so." Questo fu il senso delle parole con cui Gurdjieff iniziò la conversazione.

Poi, con le idee atte a spiegare la formula ermetica citata, cominciò una stupefacente descrizione della sfera in cui si svolge la vita di tutta l'umanità. Per analogia, passò dai piccoli avvenimenti della vita quotidiana di un singolo uomo, alle grandi epoche della storia dell'umanità intera, mettendo così in risalto l'azione ciclica della legge di analogia nell'ambito ristretto alla vita dell'umanità terrestre. Poi, nello stesso modo, passò dall'umanità a ciò che chiamerei la vita della Terra. Egli, facendo ricorso alla fisica, alla meccanica, alla biologia, ecc., descrisse la Terra come un grande organismo simile a quello dell'uomo. Mi resi conto che la luce del suo pensiero convergeva progressivamente verso un unico punto focale. Di tutto ciò che diceva, la conclusione inevitabile era la grande legge della tri-unità, cioè la legge delle tre forze di azione, reazione ed equilibrio, o dei tre princìpi attivo, passivo e neutro. Basandosi su questa legge, e prendendo la Terra come punto di partenza, il suo pensiero, con un volo ardimentoso, si estese a tutto il sistema solare. Esaminando le relazioni Terra-Sole, sottolineò quegli aspetti della legge che sono più vicini all'uomo. Poi, con una breve frase, oltrepassò i limiti del sistema solare. Inizialmente mi balzarono agli occhi i dati astronomici, ma a poco a poco essi impallidirono nell'immensità dello spazio, finendo per svanire completamente: restò soltanto la grande idea emanata da quella stessa legge. Le sue parole risuonavano lente e maestose, e nello stesso tempo sembravano allontanarsi e perdere ogni senso. Dietro di esse si percepiva il pulsare di un pensiero prodigioso.

"Siamo arrivati al ciglio di quell'abisso che l'intelligenza ordinaria dell'uomo non può mai valicare", disse. "Sente come le parole diventano simili e superflue? Sente come la ragione, da sola, è impotente? Ci siamo avvicinati al Principio di tutti i Principi." Poi tacque, guardando pensoso davanti a sé.

Incantato dalla bellezza e dalla grandiosità di quei pensieri, poco alla volta, anziché ascoltare il suono delle parole, le vivevo, e nello stesso tempo coglievo il pensiero non con la ragione ma con l'intuizione. L'uomo, laggiù in basso, si era ridotto a una nullità, ed era poi scomparso senza lasciare traccia. Ero invaso dal sentimento di essere in presenza di un'Infinità Impenetrabile, e nello stesso tempo ero profondamente conscio della mia personale nullità.

Indovinando il mio pensiero, Gurdjieff disse: "Siamo partiti dall'uomo: dove l'abbiamo lasciato? La legge dell'unità è grande, abbraccia tutto. Nell'universo, tutto è uno; ci sono solo differenze di scala. Nell'infinitamente piccolo, troviamo le stesse leggi dell'infinitamente grande. Come in alto, così in basso.

"Quando si leva il sole, la cima delle montagne si illumina, ma la valle è ancora in ombra. Ugualmente, la ragione che trascende la condizione umana contempla la luce divina, mentre coloro che dimorano in basso sono ancora immersi nell'oscurità. Ma ripeto che nell'universo tutto è uno. Siccome la ragione partecipa di quest'unità, essa rappresenta un formidabile strumento di indagine.

"Ora che siamo risaliti all'origine di tutto, scenderemo di nuovo sulla Terra, per darle il posto che le spetta nella struttura dell'universo. Guardi..."

Tracciò un disegno molto semplice e, riferendosi alle leggi della meccanica, sviluppò uno schema della struttura dell'intero universo. Attraverso cifre e numeri disposti secondo un ordine preciso e armonioso, fece in modo da rendere trasparente la molteplicità nell'unità. A poco a poco, questi dati si riempirono di significato, e concezioni fino ad allora morte, cominciarono a prendere vita sotto i miei occhi. Un'unica e sola legge regnava su tutto, e la mia comprensione si schiuse con un senso di beatitudine allo sviluppo armonioso dell'universo. Lo schema aveva preso origine da un Grande Principio terminando alla Terra.

Nel corso di questa esposizione, Gurdjieff sottolineò la necessità di ciò ch'egli definì uno "shock" esterno il quale interviene in momenti ben precisi per armonizzare i due princìpi opposti in un'unità equilibrata. In meccanica, esso corrisponde al punto di applicazione delle forse in un sistema in equilibrio.

"Siamo arrivati al punto in cui si inserisce la nostra vita terrestre", disse. "E per il momento non procederemo oltre. Per esaminare meglio quanto ho appena detto, e per evidenziare ancor più l'unità delle leggi, prenderemo un'unità di misura qualsiasi e l'applicheremo al microcosmo." E mi propose di scegliere personalmente qualche struttura regolare a me nota, come lo spettro solare, la scala musicale, ecc. Dopo un attimo di riflessione, scelsi la scala musicale.

"Ottima scelta", disse Gudjieff. "Effettivamente, la scala delle note musicali, nella sua forma attuale, è stata costruita in tempi antichi da uomini che possedevano la Conoscenza, e lei vedrà quanto può essere utile per capire le leggi fondamentali."

 

Quel vasto nulla – l’esperienza olistica dell’unità tra le cose.

Un ologramma di vita - Quando l'interno e l'esterno non sono più separati

"... ascoltare; è tutto lì, aperto e chiaro. Devi fare il viaggio non sulla luna, non verso gli dèi ma dentro te stesso. Puoi camminare spedito al tuo interno, e così mettere rapidamente fine al dolore, o prolungare il viaggio, oziando, pigro e disamorato. Occorre avere passione per porre fine al dolore e la passione non si compra con la fuga. È lì quando tu smetti di fuggire.

4 dicembre

Sotto gli alberi c'era molta pace; c'erano molti uccelli che chiamavano, cantavano, cinguettavano, eternamente irrequieti. I rami erano enormi, dalla forma armoniosa, levigati, lisci ed era sorprendente vederli e avevano uno slancio e una grazia che strappavano le lacrime e ti facevano stupire delle cose della terra. La terra non aveva niente di più bello dell'albero, e quando esso fosse morto sarebbe ancora stato bello; ogni ramo nudo, aperto al cielo, sbiancato dal sole, e ci sarebbero stati uccelli che si riposavano sulla sua nudità. Ci sarebbe stato un riparo per le civette, lì in quella profonda cavità, e i vivaci, striduli pappagalli avrebbero fatto il nido in alto nell'incavo di quel ramo; sarebbero venuti i picchi, con la loro cresta rossa di piume alta sulla testa, per entrare in qualche buco; naturalmente ci sarebbero stati quegli scoiattoli striati in corsa per i rami, sempre brontolanti per qualcosa e sempre curiosi; proprio sul ramo più alto di tutti, ci sarebbe stata un'aquila bianca e rossa a scrutare il paesaggio, altera e solitaria. Ci sarebbero state molte formiche, rosse e nere, affaccendate verso la cima dell'albero e altre che correvano in giù, e il loro morso sarebbe stato piuttosto doloroso. Ma ora l'albero era vivo, meraviglioso, e c'era moltissima ombra e la vampa del sole non ti raggiungeva mai; potevi sederti lì per quell'ora e vedere e ascoltare all'esterno senza continuare a spaziare verso l'interno. In realtà l'esterno è l'interno e l'interno è l'esterno ed è difficile, quasi impossibile separarli. Osservi questo meraviglioso albero e ti domandi chi dei due sta osservando l'altro e immediatamente dopo non esiste più osservatore. Ogni cosa è così intensamente viva ed esiste solo la vita e l'osservatore è morto come quella foglia. Non c'è una linea di confine fra l'albero, gli uccelli e quell'uomo che siede all'ombra e la terra che è così generosa. La virtù esiste senza il pensiero e perciò c'è ordine; l'ordine non è permanente, c'è solo momento dopo momento, e quell'immensità arriva con il sole cadente così incidentalmente, così liberamente affettuosa. Gli uccelli sono divenuti silenziosi perché sta facendosi buio e ogni cosa si sta lentamente acquietando, pronta per la notte. I1 cervello, quella cosa meravigliosa, sensitiva e viva, è completamente silenzioso, solo in osservazione, in ascolto senza un attimo di reazione, senza registrare, senza fare esperienza, solo a vedere e ascoltare. Con quell'immensità c'è amore e distruzione, e quella distruzione è forza inaccessibile. Queste sono tutte parole, come quell'albero morto, un simbolo di ciò che era e ciò che esso non è mai. Essa è sparita, è fuggita via dalla parola; la parola è morta, destinata a non afferrare mai quel vasto nulla. come può il cervello essere consapevole di quell'amore, il cervello che è così attivo, affollato, caricato di conoscenza, di esperienza? Tutto deve essere rifiutato perché l'amore sia.

L'abitudine, per quanto possa essere conveniente, distrugge la sensitività; l'abitudine dà il senso della sicurezza e come può esserci lucidità; sensitività, quando si coltiva l'abitudine; non che l'insicurezza porti lucida consapevolezza. Quanto rapidamente ogni cosa diviene abitudine, il dolore così come il piacere, e quindi si insatura la noia e quella particolare cosa chiamata tranquillità. Dopo l'abitudine che ha funzionato per quarant'anni, hai la tranquillità, o la tranquillità alla fine del giorno. L'abitudine ha il suo tempo e ora è la svolta della tranquillità che ancora si trasforma in abitudine. Senza sensitività non ci sono affetto e quell'integrità che non è la reazione guidata dalla contraddittoria esistenza. Il meccanismo dell'abitudine è pensiero sempre in cerca di sicurezza, di una qualche comoda situazione in cui non verrà mai più disturbato. È questa ricerca del permanente che contiene la negazione della sensitività. Essere sensitivi non fa mai soffrire, solo le cose in cui ha preso rifugio provocano sofferenza. Essere totalmente sensitivi è essere totalmente vivi e questo è amore. Il pensiero è molto abile; esso eluderà chi lo insegue che è un altro pensiero; il pensiero non può inseguire un altro pensiero. Solo il fiorire del pensiero può essere visto, ascoltato, e ciò che fiorisce nella libertà giunge a una fine, muore senza lasciare segni.

*da 'Vedute sul mondo reale"