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Perché ci odiano

di Marco Albanesi - 03/11/2006

odiano1.jpg se lo chiede Paolo Barnard in un libro edito da BUR e Marco Albanesi ne ha fatto una lettura per noi

Paolo Barnard, giornalista di Report, ha scritto un saggio che si legge come un romanzo. Manca però il lieto fine. Perché ci odiano non è la domanda di un occidente che non comprende la ragione di tanto disprezzo verso il “nostro mondo”. Al contrario, il libro espone in maniera documentatissima le cause probabili e innegabili di questo odio.

Il libro è indispensabile se si vuole guardare da un’altra angolazione e capire a fondo la questione della lotta al terrorismo o del presunto scontro di civiltà (tra un Occidente ovviamente “nel giusto” cui di solito è contrapposto un nemico generico, intercambiabile di volta in volta - prima l’Afghanistan, poi l’Iraq e ora l’Iran - e mosso dalla volontà sprezzante di annientare le nostre libertà). Barnard scava nella storia, soprattutto nella storia delle politiche estere di alcune nazioni occidentali (USA, Russia, Inghilterra) e di Israele. Attraverso un analisi puntuale e documentata mostra come le radici del terrorismo islamico e anti-occidentale vadano cercate non nel generico disprezzo verso l’Occidente ma piuttosto nell’impatto devastante delle politiche estere portate avanti per anni da alcuni governi occidentali verso quei paesi. Proprio quei paesi da cui ora parte, con ben poca casualità, il riflusso di terrore che è sotto gli occhi di tutti.

La tesi di Barnard è che a monte ci siano state azioni di terrorismo da parte di nazioni occidentali verso Paesi latinoamericani, asiatici o mediorientali. Paesi dove si annidava, sempre e non a caso, un interesse economico o geopolitico occidentale. Azioni di terrorismo guidate, tollerate e a cui alcuni governi (gli USA su tutti) hanno fornito appoggio economico e logistico. Tra gli episodi citati nel libro, uno mi ha colpito su tutti: l’annientamento di un intero villaggio nel Salvador – El Mozote - compiuto nel dicembre del 1981 da parte delle truppe d’elite salvadoregne del Battaglione Atlacatl. Le milizie responsabili dell’eccidio – finanziate dagli Usa e addestrate  nella base statunitense di Fort Benning, in Georgia – avevano ucciso oltre ottocento civili, tra cui quattrocento bambini, tutti sgozzati. Solo una testimone si è salvata, colei che ha permesso al mondo di conoscere quel massacro.
Ovvia precisazione: Barnard non giustifica e non tenta di ridimensionare la portata del terrorismo islamico, ma va a scavare nei coni d’ombra delle verità ufficiali. Al lettore rimane, a questo punto, la decisione di rifiutare o meno ricostruzioni e verità parziali, nel duplice significato di “incomplete” e “di parte”.

Tento di concludere con la domanda che troviamo a pagina 181 del libro: “Perchè Bin Laden che arma e sostiene diciannove persone che uccidono tremila americani innocenti è un terrorista, mentre Lyndon Johnson o Henry Kissinger (o Bush, Blair o Putin, aggiungo io) che hanno armato e sostenuto un esercito che (in quel caso) di innocenti ne uccise un milione non lo sono?” Barnard non cerca di stabilire dove siano il torto e la ragione, ma di fornire al lettore gli strumenti per capire oltre quanto concesso dalle verità ufficiali. E facendo ciò, restituisce spessore e valore alla parola “giornalismo”.

Scrivo queste righe dopo aver appreso dell’assassinio di una delle poche giornaliste libere della Russia. Anna Politkovskaya è stata uccisa sabato 7 ottobre da un killer mentre rientrava nella sua casa alla periferia di Mosca. Anna Politkovskaya, reporter della Novaja Gazeta, è stata l’unica giornalista russa, o forse non l’unica ma certo la più nota a noi occidentali, ad aver pubblicamente attaccato con decisione la guerra di Putin in Cecenia, smascherandone orrori e vergogne (un suo libro sulla guerra cecena è stato pubblicato in Italia da Fandango, un altro sulla Russia di Putin da Adelphi). Anna Politkovskaya l’ho incontrata tra le pagine del libro di Barnard. Perché ci odiano è chiuso infatti da un documento sulla guerra cecena di Giorgio Fornoni, collega di Paolo Barnard nella redazione di Report. Nel documento compaiono alcuni stralci di conversazioni tra il giornalista italiano e Anna Politkovskaya.

In Russia, settori di potere facilmente intuibili, hanno tentati di zittire una voce libera con una manciata di piombo. A noi la scelta di rimanere spettatori passivi di verità preconfezionate, cullati dai troppi best seller di pessima qualità o scegliere invece le nostre letture e farci cassa di risonanza per tutte quelle voci libere – come quella di Barnard – che, senza concessioni al potere e senza arrendersi alle verità presunte, ci danno la possibilità di “venire a sapere”. Guardando il mondo con i nostri occhi e, finalmente, capire.