Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Onorevole Presidente della Camera

Onorevole Presidente della Camera

di Massimo Fini - 02/11/2005

Fonte: lineaquotidiano.it

Gentile Presidente, mi
rivolgo a Lei per una
questione che è privata,
ma anche pubblica e politica
perché coinvolge un membro
della Camera che Lei così
autorevolmente presiede, l’onorevole
Teodoro Bontempo.
In data 9/2/1998 il Tribunale di
Monza mi ha condannato per
diffamazione dell’onorevole
Bontempo a pagare allo stesso
una provvigionale di 15 milioni
delle vecchie lire. L’onorevole
Bontempo mi aveva infatti querelato
perché in un articolo
scritto per l’Indipendente del
6/2/96 profilandosi un governo
‘tecnico’ presieduto da Maccanico
lo avevo definito un ‘pateracchio’
in cui avrebbero dovuto
stare insieme “lo stupratore
Bontempo e la femminista radical
chic Sandra Bonsanti”.
Perché avevo usato quel termine:
‘stupratore’?
Perché lo stesso Bontempo, in
un’intervista rilasciata a Francesco
Merlo del Corriere della
Sera, ripresa da altri autorevoli
giornali come La Stampa e
mai smentita dall’interessato
aveva dichiarato: “Uno di questi
giorni prendiamo in aula
Casini e lo stupriamo. E quando
dico stuprare non lo intendo
in senso metaforico, ma letterale”
(Corriere della Sera
14/12/1994). Inoltre 
riteneva che, in un articolo
tutto politico, fosse evidente che il
termine ‘stupratore’ fosse un contrappunto
ironico all’altrettanto
ironico ‘radicalchic’ appioppato
alla Bonsanti. E se era lecito al
deputato Bontempo usare una
metafora del genere - peraltro
dichiarando che non era tale -
doveva essere lecito anche a me.
Il tribunale di Monza fu di diverso
avviso e mi condannò.
Io non ho gridato all’attentato alla
libertà di stampa, nemmeno al
‘complotto’ di toghe di un qualche
colore com’è ormai abitudine
invalsa fra alti e altissimi esponenti
della nostra classe dirigente.
Ho fatto quello che ogni buon cittadino
fa, dovrebbe fare: ho rispettato
il mio giudice, ho pagato
all’onorevole Bontempo i 15 milioni
(diventati poi fra annessi e connessi,
20) sia pur con qualche fatica
perché a Lei quei quattrini sembreranno
un’inezia, ma per me non
lo sono, e ho interposto Appello. Al
momento dell’Appello, nel febbraio
2004 (sei anni dopo la sentenza di
primo grado) ho rinunciato alla
prescrizione perché ritenevo di
avere buone ragioni da far valere.
Con sentenza del 6/2/2004 il Tribunale
di Milano me le ha riconosciute
e, su richiesta dello stesso
Pubblico ministero, mi ha assolto.
Ho richiesto allora a Bontempo i
soldi che gli avevo dato. Ma il
deputato ha opposto che mancava
una sentenza definitiva. Se è per
questo era ancora meno definitiva
la sentenza di primo grado, quando
avevo pagato quanto chiesto.
In ogni caso il 16/11/2004 la Cassazione
mi ha assolto in via definitiva.
Ma l’onorevole Bontempo si
rifiuta lo stesso di pagare. Aggrappandosi
a uno degli infiniti, possibili,
ricorsi che il nostro Codice
consente anche contro una sentenza
definitiva, tira le cose per le
lunghe. E conoscendo l’aberrante
durata delle procedure italiane è
chiaro che io quei soldi non li rivedrò
mai.
Nella sostanza l’onorevole Teodoro
Bontempo trattiene presso di sé i
quattrini che non ha più alcun titolo
di detenere. Mi chiedo, e Le
chiedo, Signor Presidente, se questo
è un comportamento degno per
un onorevole, per un deputato, per
un membro del Parlamento, per un
rappresentante del popolo italiano
al cui stipendio contribuisco con
una quota, anch’io, o se invece non
disonori la Camera che Ella presiede.
Le dico questo, signor Presidente,
anche perché il discorso è più
generale. Con noi cittadini (quelli
che vengono chiamati con un sottofondo
di disprezzo ‘gente comune’),
la legge è inflessibile, spesso
vessatoria, e quando incorriamo in
qualche infrazione, anche minima,
non c’é scampo.
Ma quando siamo noi ad avere delle
ragioni nei confronti dei potenti
o dei prepotenti, di qualsiasi tipo,
in questa società, non riusciamo
mai, per una ragione o l’altra, a
farle valere. E questo alla lunga,
dai e ridai, provoca, Signor Presidente,
un’esasperazione pericolosa.
Con i più rispettosi saluti.