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Inchiesta sui rifiuti

di Francesca Vasterella - 06/11/2006

Fonte: ilmattino





Tutti la vogliono, tutti la predicano ma pochi la praticano. Si chiama raccolta differenziata, due parole magiche, secondo alcuni, che potrebbero allontanare lo spettro dell’emergenza rifiuti.

«Differenziare, differenziare, differenziare», è il motto del ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio.
«Centra l’obiettivo, rifiutali con intelligenza», è lo slogan della campagna promozionale promossa dall’assessorato regionale all’Ambiente, sperimentata per un mese e che, presentata ieri, entra ora nel vivo con spot radiofonici e televisivi, sensibilizzazione nelle scuole.
«Il punto di forza - spiega l’assessore Luigi Nocera - saranno le locandine da distribuire porta a porta con i comportamenti corretti per la separazione in casa dei rifiuti».

Due settimane fa il governatore Antonio Bassolino ha illustrato un piano da 30 milioni di euro tra fondi Ue e ordinari per investire appunto in attrezzature per la differenziata. Tutti la vogliono, ma ancora non funziona. Su poco meno di tre milioni di tonnellate prodotte, la Campania l’anno scorso ne ha differenziate soltanto 400mila, di cui 100mila di umido e il resto plastica, carta, cartoni, alluminio e legno, molto meno del 13% rispetto all’obiettivo del 35 per cento fissato dalla legge.

Poco, troppo poco tanto è vero che il presidente della commissione Ambiente al Senato, Tommaso Sodano, la settimana scorsa ha proposto di sciogliere i Consigli nei Comuni che non raggiungono le quote dovute. In Campania sarebbe una catastrofe, su 551 comuni solo 70 superano la soglia. «La mia non è stata una provocazione - puntualizza Sodano, che ha dovuto affrontare la rivolta degli amministratori locali e le contestazioni dei colleghi -. Ho presentato una tabella con scadenze precise, proponendo l’obbligo ai Comuni di passare dal 35 per cento fissato oggi dalla legge al 40 nel giro di due anni. Una cosa è certa, se non diminuiscono i volumi aumentano sempre più le discariche e soprattutto i cittadini dovranno pagare di più. Se non dalla gestione dei rifiuti, da che cosa si misura una buona amministrazione?».

Due milioni e 600mila tonnellate sono andate ai sette impianti Cdr campani in perenne crisi. Le 400mila tonnellate hanno preso le vie più disparate. Una buona parte, carta e cartoni soprattutto, nelle piattaforme private. «Ma molto è tornato con tutto il resto - attacca un sindacalista che preferisce restare anonimo - ovvero nei bidoni e sui camion dell’indifferenziata, e dunque nei Cdr.
Doppio lavoro, doppia spesa, doppio smaltimento».

C’è una serie A e una serie B nella differenziata. Una bottiglia di plastica o una lattina di alluminio raccolta in provincia di Salerno, nel Nolano o in Penisola sorrentina ha molta più probabilità di finire nel giro giusto del riciclo. Beffardo il destino di una bomboletta spray depositata a Napoli.

Tolta la parte umida differenziata che è stata all’incirca di 100mila tonnellate, alle 34 piattaforme tutte private solo in teoria dovrebbero essere arrivate le 300mila tonnellate circa di legno, carta, alluminio, plastica, le cosiddette frazioni nobili dell’immondizia. Nobili perché l’alluminio delle lattine di aranciata, ad esempio, sono riciclabili al cento per cento e chi le porta al posto giusto guadagna pure un contributo. Dunque, un materiale appetibile per l’industria, così come il vetro e la plastica. Ma quante industrie campane sono pronte a comprare i materiali nobili per riciclarli?

«Si contano sulle dita di una mano - risponde Mimmo Merolla, responsabile regionale di Cisal enti locali e servizi -. Ci sono aziende irpine che vorrebbero il legno da triturare e sono costrette a cercarlo fuori regione. Per carta e cartone le aziende di trasformazione per alimentare il fabbisogno devono importare mentre le piattaforme di raccolta non riescono a crearsi un indotto. Peggio ancora per la frazione umida».

Centomila tonnellate di umido, tanto doveva finire nei compostaggi campani nel 2005 per essere trasformato in inerti per composizioni ambientali o in fertilizzanti. Invece, è stato tutto dirottato altrove perché dei tre compostaggi campani nulla funziona. Trecento tonnellate di parte umida dei rifiuti partono ogni giorno per il Veneto, Qualcosa va anche in Puglia e Calabria. Le piattaforme venete ne fanno inerti per ricomporre cave o fertilizzanti, soprattutto quando si tratta di residui delle potature.

La Campania aspetta che ci sia un compostaggio degno di questo nome. Quello della società mista Pomigliano Ambiente, da 30mila tonnellate, è in costruzione e nel frattempo serve come sito di trasferenza. Quello di Polla, consorzio Salerno 3, è da seimila tonnellate ma non in esercizio. A Bisaccia ce n’era uno privato da 30mila tonnellate, il Commissarito per l’emergenza l’aveva individuato come stoccaggio ma la magistratura è arrivata prima sequestrandolo. Insomma, l’umido, ovvero foglie di lattuga, bucce di banana, torsoli di mele e tutto il resto continuerà a partire per il Veneto.

Dei 551 comuni campani soltanto 70 sono oltre il 35% di differenziata e guadagnano da questo primato: pagano 78 euro anziché 106 per ogni tonnellata sversata negli impianti Cdr, risparmiano sulle quantità e hanno ulteriori contributi. Un’altra anomalia è nelle mancate assunzioni da parte dei comuni dei 2.300 lavoratori, molti ex socialmente utili, da impegnare nella differenziata. Per ognuno che ne assumono i comuni ottengono un contributo che si traduce in risparmio, ovvero 20 tonnellate gratis da sversare nei Cdr. Ma preferiscono affidare la differenziata a ditte esterne.

L’INTERVISTA
«Impianti sempre vuoti e il business va in fumo»

Della Gatta (Unionmaceri): «Settore a forte potenzialità invece le aziende chiudono. Per la raccolta essenziale migliorare il porta a porta, campane controproducenti»


«Ho costruito una piattaforma tredici anni fa ma ancora non riesco ad ammortizzare l’investimento. E pensare che di lavoro ce ne sarebbe tanto».

Michele Della Gatta è un imprenditore casertano, da vent’anni nel settore, a lungo con incarichi nazionali nell’Unionmaceri, l’associazione delle aziende di raccolta, recupero e valorizzazione dei rifiuti di carta e cartone.

Le strutture ci sono ma non decollano?

«Di piattaforme private ne erano state create abbastanza per far fronte a un prevedibile sviluppo del settore. Ma poi mano a mano molte hanno sospeso o bloccato le attività in attesa di tempi migliori».

Perché?

«Perché la materia da lavorare non arriva o ne arriva poca e di bassa qualità, con una resa peggiore. Di conseguenza i consorzi di filiera pagano poco per questo materiale. Riusciamo a stento a garantire un ciclo di lavorazione mentre ci sono potenzialità forti di sviluppo e assunzione: il 40% della produzione di rifiuti è secco riciclabile».

L’ideale è un’organizzazione capillare con i cassonetti ovunque?

«Niente affatto. In un certo senso i cassonetti sono nemici della differenziata perché finisce dentro di tutto. La soluzione ottimale è il porta a porta che abbiamo sperimentato con buoni risultati anche in zone urbanisticamente complesse».

Ma il costo è elevato.

«Quel che si spenderebbe con il porta a porta si risparmierebbe in discariche e inquinamento. Non a caso, in Germania i cittadini pagano solo l’indifferenziata mentre in molti comuni anche del Nord cominciano a scomparire i cassonetti in strada e aumentano i sacchetti che abituano le famiglie a differenziare in casa».

f.v.

INCHIESTA SUI RIFIUTI / 2

Nel piano originario dovevano essere gli anelli centrali, i garanti della tutela ambientale del sistema integrato dei rifiuti. Dovevano ridurre discariche e materiale da bruciare. Ma nel giro di due anni i sette impianti di combustibile da rifiuti (Cdr) erano già diventati il nodo dello scandalo, il tormento degli autisti in attesa di scaricare, la dannazione delle aziende che devono pagare gli straordinari, il bersaglio dei magistrati. Insomma, ridotti al rango di discariche nonostante si trovino all’interno di aree industriali. Altro che strutture a valle della differenziata dei Comuni, come recitava il contratto diventato da un anno e mezzo fa carta straccia.

Hanno trattato e trattano il 100 per cento anziché il 65 per cento dei rifiuti raccolti in strada, senza differenziata, senza piattaforme di vagliatura e preselezione. Tre per Napoli e provincia, uno ciascuno ad Avellino, Benevento, Caserta, Salerno. Il primo, Pianodardine (Avellino), entrò in funzione a luglio del 2003, l’ultimo Battipaglia (Salerno) ad aprile del 2003.

Semplice la procedura di trattamento: separazione doppia di secco e umido. Di tutto e di più capita invece nei macchinari che spesso vanno in tilt. Così sono ripetutamente finiti sotto sequestro, se non bloccati per impossibilità di funzionare e produrre un combustibile adeguato alle previsioni del contratto con l’ex società appaltatrice Fibe, ora solo azienda di servizio del Commissariato in seguito alla rescissione dell’appalto.

Il Cdr di Tufino è chiuso da giugno perché paralizzato dalla sua stessa produzione: solo due settimane fa è stato avviato il piano di svuotamento delle balle accumulate.

E nel nuovo piano che fine faranno i Cdr? Questo è ancora tutto da capire. Nessuno certo, potrà pensare di distruggere queste centrali costate 260 milioni di euro e scelte nell’ambito del piano che fu varato dal governatore Antonio Rastrelli sulla base di un ordinanza di Protezione civile firmata dall’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano. Le opere di adeguamento suggerite un anno e mezzo fa per far funzionare correttamente i macchinari non sono state mai fatte, sebbene il programma fu stilato in seguito ai ripetuti interventi della magistratura per fermare anomalie, eccesso di cattivi odori, produzione di ecoballe fuori dalle regole. Nell’appalto varato ad agosto e revocato a settembre di quest’anno veniva chiesto alle nuove aziende appaltatrici di accollarsi i costi degli adeguamenti delle apparecchiature. Indicazione che ha pesato non poco sulla decisione di alcune imprese di tirarsi indietro, fino a quando con decreto del governo la gara non è stata revocata.

«Certo, se si vuole bruciare meno immondizia non si potrà prescindere dai Cdr, una tecnologia che sotto diversa forma è presente in molte regioni», avvertono i tecnici del commissariato per l’emergenza. «E poi, visto che ci sono, nessuno potrà proporre di rimandare tutto in discarica o bruciare l’immondizia così com’è», aggiunge un altro tecnico. Ma c’è anche chi la pensa in maniera diversa, come i tecnici che hanno convinto a tirarsi indietro dalla gara la cordata di aziende di cui faceva parte l’Unione industriali di Napoli: «I Cdr in queste condizioni sono un intralcio. Meglio potenziare la differenziata e poi andare direttamente al recupero energetico nei termovalorizzatori».

Dunque, si dovrà capire che funzione si vuole dare agli impianti Cdr e soprattutto come metterli nelle condizioni di funzionare bene. La prima terapia è la raccolta differenziata al 35% e poi ancora una ulteriore raffinazione dei rifiuti nelle piattaforme prima della lavorazione nei Cdr. Solo così si può raggiungere l’obiettivo finale del 20 per cento di materiale da termovalorizzare, il minimo che minimizza pure il ricorso alle discariche, comunque indispensabili per liberarsi degli scarti costituiti soprattutto da frazione organica stabilizzata (Fos) e sovvalli.

Intanto, per tenere in funzione i Cdr, sette mesi fa il Commissariato li ha ulteriormente degradati dichiarandoli tritovagliature, accorgimento tecnico-amministrativo che ha consentito di superare i rilievi dei magistrati, a cominciare dal basso potere calorifico del combustibile stoccato. Che significa? Secondo gli esperti, il potere calorifico massimo si raggiunge soltanto con un 30 per cento di differenziata, mentre la Campania è venti punti sotto questa percentuale e negli impianti entra da sempre una quantità troppo alta di materiale umido. Quando piove, poi, c’è qualche azienda che aumenta in media del 15 per cento la sua quota di conferimento, insomma, nella macchine arriva immondizia inzuppata di acqua e va a farsi benedire il contenuto energetico.

Se prima si chiamavano ecoballe da bruciare nei termovalorizzatori in costruzione ad Acerra e Santa Maria la Fossa, adesso i più, confortati dalle perizie ordinare dai pm, le definiscono immondizia impacchettata. Si potrebbe anche scherzare sulle parole se non fosse una valanga di cinque milioni di tonnellate di cui non si sa cosa fare. Mandarle all’estero? Seppellirle in discarica? Rischiare una vertenza con Fibe che ne era proprietaria e destinataria dei ricavi di energia elettrica prodotta? Una sola cosa è evidente: cento ettari della Campania sono diventati montagna di balle e due ettari al mese continuano ad essere divorati dalle balle poco ecologiche e molto sospette.

L’INTERVISTA
Ronchi: non cambio idea in Europa sistema diffuso

«In Campania arrivano troppi rifiuti ai Cdr. Meglio impianti di piccole dimensioni perché se sono grandi rischiano di ingolfarsi».

Edo Ronchi, oggi senatore dell’Ulivo e vicepresidente della commissione Ambiente, era ministro Verde dell’Ambiente al tempo delle scelte tecnologiche per il piano rifiuti in Campania.

Senatore, riproporrebbe i Cdr?

«Sono una delle opzioni più diffuse in Europa, ma più piccole e facili da gestire».

Perchè allora la Campania optò per sette grandi?

«Perché era difficile riuscire a localizzarli, si rischiava una catena infinita di proteste. La tecnologia è valida, elimina sostanze pericolose per la combustione, diminuisce i volumi, toglie vetro e metalli».

C’è chi ritiene invece che i Cdr siano un intralcio e meglio sarebbe portare tutto nei termovalorizzatori.

«Non cambierebbe granché. Si tolgono i Cdr, aumenterebbero i termovalorizzatori. A meno che non si voglia tornare alle discariche tradizionali. Meglio un sistema equilibrato con una buona differenziata, i Cdr e lo stretto indispensabile di termovalorizzatori e discariche».

Ma in Campania perché i Cdr non funzionano?

«Ritengo che arrivi una quantità eccessiva di rifiuti, che non concede il tempo di far maturare ed essiccare l’immondizia prima di trasformarla in combustibile. Comunque, visto che ci sono vale la pena adeguarli e soprattutto metterli in condizione di funzionare bene».

f.v.
INCHIESTA SUI RIFIUTI / 3
Una montagna nera, sempre uguale. Ecco le ecoballe, un milione e più di tonnellate. Cammini per due-tre chilometri e la montagna nera è sempre lì come un’ombra. Quando soffia il vento dal mare uno strano odore si diffonde nella valle, corre nella palude, ammorba l’aria di frutteti e allevamenti di bufale. Da due anni la lunga montagna, che dall’alto sembra un enorme serpente nero, è parte integrante del paesaggio sulla provinciale che da Aversa porta a Ischitella, un tempo perla di vacanze del litorale domizio. Nella rilevazione del satellite era un mostro già due anni fa, una macchia nera che oscura il bianco delle vecchie serre di fragole. È qui a Villa Literno il più grosso deposito regionale di balle, il cosiddetto combustibile da rifiuti prodotto dai sette impianti Cdr.
Intorno gli agricoltori smobilitano e la gente scappa.

Creare le piazzole costò notti insonni al commissariato per i rifiuti, enormi ritardi ai treni bloccati per le proteste, le rivolte della gente di Villa Literno e dell’agro aversano poi sedate a colpi di manganelli e promesse di bonifica. Ma non ci fu niente da fare, non c’era alternativa alle piazzole. E dunque, avanti fin su, otto o dieci piani di balle fino a riempire gli spazi stipando, incastrando, pressando, spingendo, ricavando spazi e ampliando le piazzole ai terreni vicini.

Due ettari al mese divorati dal combustibile da rifiuti che per i più non è altro che immondizia impacchettata: tanta umidità e poco potere calorifico e dunque poca energia da produrre bruciando le balle nei termovalorizzatori. Ma intanto le balle stanno e restano lì, in attesa di un miracolo. Quale miracolo? Che si decida che farne. Bruciarle all’estero, seppellirle in una discarica. Immaginate che fatica trasferire una montagna. E di montagna non c’è solo questa. Cinque milioni di tonnellate accumulate, centoventi ettari di ex campagne fertili.

Ci vorrebbero 250mila camion, secondo alcuni calcoli, per portare tutte le balle accumulate all’estero o fuori regione. Per questo al Commissariato per l’emergenza si pensa anche alle navi e ai treni, si tratta ancora con discariche polacche e inceneritori tedeschi a corto di immondizia da bruciare. E quanto costerebbe questo trasferimento? Milioni e milioni di euro, di certo più di qualche impianto. E non ci sarebbe altra scelta visto che secondo i calcoli dei pessimisti quando entreranno in funzione i due termovalorizzatori campani ci vorrebbero 50 anni a smaltire le balle bruciando produzione nuova e quote di arretrato. Secondo i più ottimisti invece basterebbero venti anni. In ogni caso è troppo. E troppo è anche per i magistrati che da tempo hanno contestato la qualità del materiale stoccato ipotizzando una truffa e una frode contrattuale visto che non è quello previsto. Meglio liberarsene quanto prima.

A cinque chilometri in linea d’aria da Villa Literno, territorio di Giugliano, la scena è molto simile anche se le dimensioni sono inferiori. La prima piazzola per le ecoballe fu individuata qui, nelle vicinanze dell’impianto Cdr e nel cuore di una campagna coltivata a frutteto. Quando lo spazio non bastò più se ne scelse un’altra. Inutile dire che all’agricoltore convenne molto di più fittare perché il fitto annuo garantito era dieci volte il reddito agricolo.

Insomma, l’immondizia rende molto più di pesche e albicocche, mele annurche e kiwi. Senza contare che da allora il mercato è cresciuto, chi doveva cedere i terreni ha avuto facile gioco alzando le richieste alla Fibe, l’azienda che per concessione doveva garantire discariche di servizio dei Cdr e piazzole per stoccare le balle da bruciare. Impossibile cedere perché almeno nei primi tempi le balle erano considerate oro: almeno in teoria ancora oggi bruciandole se ne dovrebbe ricavare energia elettrica da vendere ottenendo un incentivo con fondi Ue.

Dunque l’ultimo anello della catena dello smaltimento che invece è diventato il dramma della Campania. Un dramma che in fase di risoluzione del contratto con Fibe potrebbe anche dare adito a una vertenza infinita visto che le balle sono appunte considerate danaro.

Caivano, area industriale, ecco l’altro maxideposito a due passi dall’impianto Cdr. Lunghi teli neri coprono le balle. Ma qua e là si vedono crepe scavate dal sole o dal gelo. La Fibe ha installato moderni sistemi di sicurezza e monitoraggi contro incendi e inquinamento. Un po’ come negli impianti Cdr intasati da scarti e balle e che non riescono a funzionare.

Piccoli depositi sono stati rivacati nelle vicinanze dei sette impianti, da Avellino a Casalduni, da Battipaglia a Giugliano e Caivano passando per Villa Literno: è la Campania delle balle.



L’INTERVISTA
Amendolara: l’agricoltura così condannata a morte

«Non solo la speculazione edilizia, anche l’emergenza rifiuti ha sottratto terreni all’agricoltura più fiorente della Campania, e c’è qualcuno che è responsabile».

Sulle ecoballe, Vito Amendolara, direttore regionale della Coldiretti, si accende.

Le ecoballe come le cavallette, stanno divorando le coltivazioni. Due ettari di campagna spariscono ogni mese per far posto ad esse. Di questo passo che succederà all’agricoltura regionale?

«L’agricoltura in Campania è marginalizzata, nessuno ci pensa più. Eppure l’area rurale copre il 61% di tutta la Campania. Quanto alle ecoballe la colpa è di chi individua i siti da utilizzare per questo scopo: la scelta non può essere fatta sulla cartina. Non si dovrebbero toccare i terreni destinati all’impresa agricola e alimentare. Invece...».

Sta accusando il Commissariato per l’emergenza rifiuti?

«Certo, la colpa è di chi l’ha gestito negli anni. Da Rastrelli in poi. L’economia dei prodotti campani è stata letteralmente travolta dall’emergenza rifiuti. Il danno inferto è doppio, alla qualità, ma anche all’immagine dei prodotti stessi: la gente non si fida più della frutta e verdura raccolte a ridosso di certi siti. Già quattro anni fa, quando furono scoperte tracce di diossina nel latte delle bufale nel Casertano, la vendita delle mozzarelle crollò. Da allora nulla è stato fatto per tutelare le imprese agricole».

I contadini danno i loro terreni in gestione al Commissariato. Ricavano di più.

«Si possono capire. Sono altri, per prima la Regione, che dovrebbe sostenerli. Anche creando l’Agenzia per la sicurezza alimentare. Sono anni che ci battiamo per questo. Inutilmente».

c.d.n.